Verso il nuovo Codice: la “polarizzazione” del public procurement verso un’amministrazione del “risultato”

A cura di Alessandro Massari

Alessandro Massari 14 Marzo 2023
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Editoriale estratto dal numero 3/2023 del mensile Appalti&Contratti

AppaltiContratti 1200x944 1024x806 1Si avvicina la definitiva approvazione del nuovo Codice dei contratti pubblici: nel momento in cui si congeda il numero di Marzo la commissione istituita presso il MIMS sta apportando gli ultimi correttivi dopo l’acquisizione dei pareri delle commissioni parlamentari, dell’ANAC, della Corte dei Conti, della Conferenza unificata, ecc.

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Per comprendere le linee portanti del nuovo emanando Codice, occorre partire dall’ovvia premessa per la quale esso è stato fortemente voluto quale fondamentale riforma abilitante nel quadro delle misure previste dal PNRR, nella ferma convinzione della Unione Europea che gli appalti pubblici costituiscono oggi più che mai una essenziale leva strategica di rilancio di un’economia drammaticamente provata dalla pandemia da Covid-19 e, in tempi ancora più recenti, ulteriormente compromessa dai devastanti effetti indotti dal confitto bellico russo-ucraino. Da qui l’avvertita esigenza di un riassetto normativo che ponga come prioritaria la più rapida ed efficace realizzazione di investimenti pubblici e la tempestiva iniezione di liquidità nel sistema economico, grazie a procedure di affidamento e di esecuzione di commesse pubbliche tempestive ed efficienti e a stazioni appaltanti qualificate in grado di gestirle adeguatamente.

Il nuovo Codice scaturisce dunque da un contesto emergenziale e dell’esigenza irrinunciabile di funzionalizzare tutto il sistema dei contratti pubblici quale leva strategica per il rilancio dell’economia, a partire dalla piena ed efficace attuazione del PNRR, di cui costituisce diretta espressione: in tale contesto si delinea “l’interesse nazionale  alla  sollecita  e  puntuale realizzazione degli interventi inclusi nei Piani…” (art. 1, comma 2, DL 77/2021).

Alcune delle innovazioni più significative del nuovo Codice sono state anticipate dai decreti “semplificazioni” (a partire dal DL 76/2020 e DL 77/2021), nel quadro delle c.d.  “Misure urgenti” previste dal PNRR. Il regime “transitorio-derogatorio”, che nell’intenzione del legislatore avrebbe dovuto concludersi inizialmente il 31 dicembre 2021, e, dopo la proroga introdotta dal DL 77/2021,  il 30 giugno 2023, ha prodotto un impatto dirompente, non solo sul piano strettamente tecnico-giuridico, ma anche e soprattutto sul piano culturale nel diritto amministrativo.

Anzitutto mediante la polarizzazione dell’intero ciclo di vita della commessa pubblica nella direzione della massima accelerazione e semplificazione, e soprattutto verso l’effettivo perseguimento del “risultato”, ovvero la concreta e tempestiva realizzazione dell’opera, del servizio o della fornitura.

Non sorprende dunque che il nuovo Codice ponga, proprio nel primo articolo, il principio del “risultato” inteso come interesse pubblico primario e sovraordinato rispetto agli altri principi e valori nel sistema dei contratti pubblici e soprattutto nelle azioni necessarie alla politica di ripresa dell’economia.

Dunque, il perseguimento del “risultato” costituisce il nuovo baricentro normativo (e culturale) rispetto al quale gli altri principi subiscono una rifunzionalizzazione e, in alcuni casi, una  nuova “curvatura” o riconfigurazione, e ciò con particolare riguardo alla concorrenza tra gli operatori economici, che viene espressamente definita dal comma 2 dell’art. 1 come “funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti”.

Nel valorizzare una nuova “amministrazione del risultato” e non del mero procedimento, si assiste invero ad una tendenziale «demitizzazione della concorrenza», la quale diventa appunto strumentale al raggiungimento del miglior risultato. Secondo le parole della Relazione illustrativa «Una diversa impostazione (secondo cui la P.A. non cura più l’interesse pubblico, perché il suo obiettivo diventa la gara) sarebbe, oltre che irragionevole, ancor più difficile da sostenere in un contesto economico-sociale che, nel quadro di un drammatico conflitto bellico, oggi richiede una nuova leva economica, da realizzare anche (e soprattutto) nel settore delle commesse pubbliche… L’idea che l’Amministrazione in materia di appalti debba perseguire solo la concorrenza – prosegue la Relazione –  rischia, allora, di contrastare con il più generale principio di buon andamento, di cui il “principio del risultato” rappresenta una derivazione “evoluta”, sulle orme di studi di autorevolissima dottrina, che ormai da decenni auspica e teorizza “l’amministrazione del risultato”».

Il risultato deve necessariamente inquadrarsi nel contesto della legalità e della concorrenza, “ma tramite la sua codificazione si vuole ribadire che legalità e concorrenza da sole non bastano, perché l’obiettivo rimane la realizzazione delle opere pubbliche e la soddisfazione dell’interesse della collettività. Questa “propensione” verso il risultato è caratteristica di ogni azione amministrativa, perché ogni potere amministrativo presuppone un interesse pubblico da realizzare”.

Al fine di realizzare concretamente il “risultato dell’affidamento del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività e il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo” si è reso necessario introdurre anche misure per contrastare la c.d. “burocrazia difensiva” e la “paura della firma”, fonti di inefficienza e immobilismo e, quindi, un ostacolo al rilancio economico, che richiede, al contrario, una Pubblica Amministrazione dinamica ed efficiente.

Il principio della fiducia di cui all’art. 2 del Codice, costituisce un segno di svolta rispetto alla logica fondata sulla sfiducia (se non sul “sospetto”) per l’azione dei pubblici funzionari, che si è sviluppata negli ultimi anni. I nuovi principi del risultato e della fiducia si traducono in una più ampia libertà di iniziativa e di auto-responsabilità delle stazioni appaltanti, valorizzandone autonomia e discrezionalità (amministrativa e tecnica) in un settore in cui spesso la presenza di una disciplina rigida e dettagliata ha creato incertezze, ritardi, inefficienze.

In questa prospettiva, osserva la Relazione, il nuovo Codice vuole dare, sin dalle sue disposizioni di principio, il segnale di un cambiamento profondo, che – fermo restando ovviamente il perseguimento convinto di ogni forma di irregolarità – miri a valorizzare lo spirito di iniziativa e la discrezionalità degli amministratori pubblici, introducendo una “rete di protezione” rispetto all’alto rischio che accompagna il loro operato.  La finalità delle nuove misure  è quello di contrastare ogni forma di burocrazia difensiva: in quest’ottica si “premia” il funzionario che raggiunge il risultato attenuando il peso di eventuali errori potenzialmente forieri di responsabilità.

La perimetrazione della “colpa grave” si inquadra in questo disegno: il comma 3 dell’art. 2 del Codice prevede che «Nell’ambito delle attività svolte nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti, ai fini della responsabilità amministrativa costituisce colpa grave la violazione di norme di diritto e degli auto-vincoli amministrativi, nonché la palese violazione di regole di prudenza, perizia e diligenza e l’omissione delle cautele, verifiche ed informazioni preventive normalmente richieste nell’attività  amministrativa, in quanto esigibili nei confronti dell’agente pubblico in base alle specifiche competenze e in relazione al caso concreto. Non costituisce colpa grave la violazione o l’omissione determinata dal riferimento a indirizzi giurisprudenziali prevalenti o a pareri delle autorità competenti».

Ancora, per promuovere la fiducia nell’azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti adottano azioni

– per la copertura assicurativa dei rischi per il personale,

– per riqualificare le stazioni appaltanti

– per rafforzare e dare valore alle capacità professionali dei dipendenti, compresi i piani di formazione

Si apre dunque un nuovo potenziale scenario di maggiore serenità e benessere nelle stazioni appaltanti a tutto vantaggio della qualità dell’operato dei funzionari e delle procedure di realizzazione delle commesse pubbliche.

Il nuovo Codice innova profondamente la figura del RUP, che diventa “Responsabile Unico di Progetto” o, in altri termini, responsabile unico “dell’intervento pubblico” complessivamente inteso, ovvero un “project manager”.  La transizione dalla responsabilità del “procedimento” a quella del “progetto” è anzitutto coerente con il nuovo contesto delineato dal principio del risultato.

Come si dà conto nella Relazione illustrativa, l’art. 15 del Codice – conservandone la centralità e la trasversalità del ruolo – ridisegna la portata e la figura del RUP, che è un responsabile “di progetto” (o di “intervento”) e non di “procedimento” (definizione forse viziata dal riferimento alla legge n. 241 del 1990, che non appare pienamente conferente): infatti, si tratta del responsabile di una serie di “fasi” preordinate alla realizzazione di un “progetto”, o un “intervento pubblico” (fasi per il cui espletamento si potrà prevedere, la nomina di un “responsabile di fase”, a sostegno dell’attività del RUP).

Nonostante si sia comunemente parlato di responsabile unico del procedimento, a rigore, viene in rilievo un soggetto responsabile non di un singolo procedimento, ma di una pluralità di procedimenti: tutti quelli relativi, appunto, alle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione degli interventi da realizzarsi mediante contratti pubblici. La complessa attività amministrativa attraverso cui si svolgono le fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione degli interventi pubblici implica, come è evidente, lo svolgimento non di un solo procedimento, ma di una pluralità di procedimenti, e l’emanazione di altrettanti provvedimenti amministrativi e, talvolta, di comportamenti materiali e atti di diritto privato.

Il codice ha quindi voluto superare l’equivoco concettuale, dovuto alla scelta del nome e poi dell’acronimo R.U.P. mantenendo inalterato l’acronimo (per una pura coincidenza) ma mutando il nome al fine di sottolineare che il ruolo ricoperto è quello di responsabile non di uno o più procedimenti ma di tutto l’intervento pubblico. Non si tratta di un procedimento unitario articolato in più sub-procedimenti, eventualmente di competenza di diversi uffici. Nel caso dei contratti disciplinati dal codice, si tratta di procedimenti diversi, ciascuno dei quali destinato a sfociare nell’adozione di un provvedimento o atto autonomo. Il codice dei contratti fa riferimento al responsabile unico del progetto come persona fisica e non come un ufficio.

Si prevede la possibilità per le stazioni appaltanti di nominare un responsabile per le fasi di programmazione, progettazione ed esecuzione e un responsabile per la fase di affidamento. Tale opzione, si osserva, “presenta il vantaggio di evitare un’eccessiva concentrazione in capo al RUP di compiti e responsabilità direttamente operative, spesso di difficile gestione nella pratica. In caso di nomina dei responsabili di fase, infatti, rimangono in capo al RUP gli obblighi – e le connesse responsabilità – di supervisione, coordinamento, indirizzo e controllo, mentre sono ripartiti in capo ai primi i compiti e le responsabilità delle singole fasi a cui sono preposti. Si introduce, quindi, un principio di “responsabilità per fasi””.

Anche la disciplina della commissione di gara viene integralmente ripensata dal nuovo Codice in armonia con il principio della fiducia nell’operato delle stazioni appaltanti e dei suoi funzionari.  Dalla logica dell’albo nazionale dei commissari si passa alla regola della composizione interna, come peraltro già anticipato dalla legge delega attraverso il criterio direttivo recante il “.. superamento dell’Albo nazionale dei componenti delle commissioni giudicatrici, il rafforzamento della specializzazione professionale dei commissari all’interno di ciascuna amministrazione”.

Importante svolta anche su una delle questioni più controverse e dibattute in dottrina, giurisprudenza e nella prassi applicativa: la possibilità per il RUP di essere membro della commissione giudicatrice. L’art. 93, comma 3, prevede infatti: “3. La commissione è presieduta da un dipendente della stazione appaltante ed è composta da suoi funzionari, in possesso del necessario inquadramento giuridico e di adeguate competenze professionali. Della commissione giudicatrice può far parte il RUP. In mancanza di adeguate professionalità in organico, la stazione appaltante può scegliere il Presidente e i singoli componenti della commissione anche tra funzionari di altre amministrazioni e, in caso di documentata indisponibilità, tra professionisti esterni. Le nomine di cui al presente comma sono compiute secondo criteri di trasparenza, competenza e rotazione”.

Come si legge nella Relazione “L’incompatibilità assoluta tra i ruoli di RUP e di componente della commissione giudicatrice era stata già superata dal decreto legislativo n. 56 del 2017, che aveva introdotto un secondo periodo al comma 4 dell’art. 77 del decreto legislativo n. 50 del 2016, secondo cui «la nomina del RUP a membro delle commissioni di gara è valutata con riferimento alla singola procedura», norma, tuttavia, di non univoca interpretazione”; con la novella invece “… è stato definitivamente chiarito che il RUP può far parte della commissione giudicatrice…”.

L’innovazione è coerente con quella di più ampia portata relativa alla soppressione della generale incompatibilità endoprocedimentale di cui al comma 4 dell’art. 77 del DLgs. 50/2016, che aveva comportato disagi alle stazioni appaltanti (specie di dimensioni ridotte) impendendo loro di nominare commissari dipendenti che nelle fasi precedenti della procedura si erano occupati dell’appalto. Come si dà conto nella Relazione: “si è reputato opportuno superare la presunzione di condizionamento sulla scelta dell’aggiudicataria, preferendo l’idea che essi, conoscendo in maniera più approfondita l’oggetto dell’appalto, possano più agevolmente individuare l’offerta migliore”.

Insomma, un ribaltamento di centottanta gradi rispetto all’impostazione del vigente Codice.

In questo numero il dossier è dedicato alla figura del Direttore Lavori nel nuovo Codice. Altri interessanti e attuali approfondimenti sono quelli sull’inversione procedimentale, sulle novità del nuovo Codice in materia di servizi tecnici, sulla gestione delle sopravvenienze e sul requisito di iscrizione al MEPA. Nella rubrica “Indirizzi operativi” pubblichiamo due contributi su affidamenti diretti e procedure negoziate alla luce del nuovo Codice.

 

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