Ubi commoda, ibi incommoda e tassatività delle cause di esclusione: applicazione del principio nel caso di cessione di ramo di azienda

A cura di Arianna Savio

29 Gennaio 2025
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Ubi commoda, ibi incommoda – Rifiuti – Art. 94 del D. Lgs. n. 36/2023 ‒ Liquidazione giudiziale ‒ Tipicità – tassatività – Offerta – Favor partecipationis – Cessione ‒ Affitto ‒ Recesso

Secondo il Collegio, nelle operazioni di cessione il compendio aziendale si trasferisce al cessionario a titolo definitivo, realizzando così una cesura che rende difficilmente ravvisabile quella continuità gestoria più palpabile nell’ambito dell’affitto di azienda in cui la titolarità della stessa rimane in caso alla società locatrice”.
“Nel Codice dei contratti pubblici non vi è alcuna specifica previsione che imponga espressamente, sic et sempliciter, l’esclusione dell’operatore economico, affittuario d’azienda e/o ramo d’azienda, allorché l’impresa concedente/affittante sia stata medio tempore assoggettata ad una procedura concorsuale: se è vero che l’art. 94, co. 5, lett. d) del d. lgs. n. 36/2023 prevede, quale ipotesi di esclusione automatica dalla gara, la sottoposizione (tra l’altro) alla procedura di liquidazione giudiziale, è parimenti incontestabile che tale disposizione si riferisce al solo “operatore economico”, così circoscrivendo in capo al soggetto che prende parte alla procedura di appalto l’ambito di operatività della causa di esclusione di cui trattasi”.
La mancanza di una disposizione ad hoc che preveda espressamente tale effetto escludente non può essere colmata attraverso il principio di ordine generale “ubi commoda, ibi incommoda” evocato dalla ricorrente”.

T.a.r. Campania, Napoli, Sez. VIII, 7 gennaio 2025, n. 109

Indice

Il caso di specie

Nel giugno del 2023, veniva indetta dal Comune di Omissis una procedura aperta con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità prezzo, ai sensi degli artt. 71 e 108 del D.Lgs. n. 36/2023, per l’affidamento dei servizi di gestione dei rifiuti urbani e assimilati avviati al recupero e smaltimento nel territorio del suddetto Comune.

L’appalto veniva aggiudicato al costituendo A.T.I. Omissis, successivamente ridotto ad un unico partecipante, a seguito del recesso della società Omissis.
La ricorrente seconda graduata impugnava il provvedimento di aggiudicazione dell’appalto, adducendo diversi profili di illegittimità della procedura e segnatamente:

1. carenza dei requisiti morali di partecipazione prescritti dall’art. 94 del D. Lgs. n. 36/2023 in capo alla mandataria receduta dall’R.T.I.;
2. violazione del principio della continuità nel possesso dei requisiti dell’A.T.I. aggiudicataria e lacunosità dell’istruttoria condotta dalla stazione appaltante;
3. irregolarità procedurali per mancanza di una verifica adeguata da parte della stazione appaltante delle comunicazioni antimafia dell’aggiudicataria;
4. illegittimità della procedura di gara per previo concerto tra i commissari in ordine ai risultati della selezione.

In particolare, secondo la tesi della ricorrente, l’aggiudicataria avrebbe dovuto essere esclusa dalla procedura de qua per sopravvenuta carenza di requisiti di partecipazione in quanto la cessionaria del ramo d’azienda, nel 2024, veniva sottoposta a liquidazione giudiziale con sentenza del Tribunale Ordinario di Milano.

Secondo l’impresa ricorrente, invero, in base al principio di cui al brocardo “ubi commoda, ibi incommoda”, la conseguenza che è costretta a subire l’impresa cedente (i.e. nella specie l’esclusione dalla gara, in forza dell’articolo 94, co. 5, lett. d) del d.lgs. n. 36/2023) dovrebbe applicarsi anche all’ente ceduto; ciò in quanto con il contratto di cessione si avrebbe una mera “continuazione mascherata della precedente realtà societaria”. Pertanto, dal provvedimento di liquidazione giudiziale a carico del cedente sarebbe dovuta conseguire ex se la sopravvenuta carenza dei requisiti anche da parte del cessionario con conseguente esclusione automatica dello stesso dalla procedura di gara, ai sensi dell’art. 94, co. 5, lett. d), del d.lgs. n. 36/2023.

D’altronde, sempre secondo la tesi della seconda graduata, l’esigenza sottesa a tale principio sarebbe proprio quella di evitare che attraverso una vicenda societaria formale, quale la cessione del ramo d’azienda, si sterilizzino le conseguenze negative in termini di partecipazione, soprattutto allorché vi sia una continuità aziendale di fatto, come in concreto avvenuto nel caso di specie.

La decisione del TAR

Il Tribunale adito, con una pronuncia particolarmente eloquente, respingeva il ricorso confermando la legittimità dell’aggiudicazione disposta dal Comune di Omissis.

Secondo il Collegio, nelle operazioni di cessione, il compendio aziendale si trasferisce al cessionario a titolo definitivo, realizzando così una cesura che rende difficilmente ravvisabile quella continuità gestoria più palpabile nell’ambito dell’affitto di azienda in cui la titolarità della stessa rimane in caso alla società locatrice.

Nel caso in esame, il Giudice di primo grado ha, altresì, sottolineato che dalla cessione del ramo di azienda (che aveva interessato la società mandataria dell’RTI) erano trascorsi tre anni, sicché ipotizzare che le vicende della cedente continuino a riflettersi sulla cessionaria senza limiti temporali, oltreché contrastare con il principio di massima partecipazione, significherebbe porre a carico delle stazioni appaltanti un onere di controllo sproporzionato.

In secondo luogo, T.a.r. ha evidenziato che la società mandante dell’originario RTI, di cui la recedente era mandataria, risultava autonomamente in possesso dei requisiti di qualificazione necessari alla partecipazione alla gara come richiesti dalla lex specialis, in conformità con il disposto di cui all’art. 68, co. 17 del d.lgs. n. 36/2023.

Inoltre, anche a prescindere dalle considerazioni in ordine alla rilevanza dell’apertura di una procedura concorsuale nei confronti della società cedente il ramo di azienda, il recesso operato dal cessionario dal raggruppamento configura proprio una delle misure di ravvedimento operoso (c.d. self cleaning) che, ai sensi dell’art. 96, co. 6, del Codice dei contratti pubblici, consente di dimostrare l’affidabilità dell’operatore, in linea con i principi del risultato e di efficienza.

Dunque, la società aggiudicataria, una volta scioltosi il raggruppamento per effetto del recesso operato dalla mandataria, eliminava “in radice la causa della dedotta inaffidabilità senza intaccare la capacità tecnica e professionale attestata dall’incontestato possesso in proprio dei requisiti di partecipazione alla gara, ben potendo uno dei componenti del RTI recedere senza intaccare l’effettività della partecipazione”.

Né, infine, secondo il g.a., vi è una disposizione normativa che induce a ritenere che la liquidazione giudiziale dell’impresa concedente il ramo di azienda si rifletta “per contagio” in capo al concessionario.
A tal proposito, secondo il Collegio, “se è vero che l’art. 94, co. 5, lett. d) del d. lgs. n. 36/2023 prevede, quale ipotesi di esclusione automatica dalla gara, la sottoposizione (tra l’altro) alla procedura di liquidazione giudiziale, è parimenti incontestabile che tale disposizione si riferisce al solo “operatore economico”, così circoscrivendo in capo al soggetto che prende parte alla procedura di appalto l’ambito di operatività della causa di esclusione di cui trattasi”.

Il T.a.r. ha, inoltre, richiamato la disciplina sulle procedure concorsuali attualmente contenuta per quanto di interesse nell’art. 184, co. 1 del d.lgs. n., ai sensi del quale “L’apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del concedente non scioglie il contratto di affitto d’azienda, ma il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, può recedere entro sessanta giorni […]”.

Detta norma, secondo il Collegio“accorda un termine massimo entro il quale l’organo della procedura può esercitare la facoltà di recesso (trattasi di una sorta di “ius poenitendi”), decorso il quale il contratto conserva (si potrebbe dire “consolida”) i propri effetti: la ratio di fondo è garantire la conservazione dei valori imprenditoriali laddove essi siano inseriti in altro contesto e gestiti da altro soggetto ai fini di un loro proficuo impiego produttivo, e ciò anche nell’interesse della massa dei creditori del soggetto insolvente. In un’ottica sistematica, e “calando” tale previsione nel contesto di una procedura di evidenza pubblica che veda la partecipazione dell’affittuario dell’azienda, è da privilegiarsi un’interpretazione che neghi il verificarsi, in capo al medesimo, di effetti “escludenti” di tipo automatico, sub specie di mancanza ab origine o intervenuta perdita dei requisiti di partecipazione alla gara, altrimenti risultando vanificato l’obiettivo di fondo che la disposizione persegue” (T.a.r. Lazio, Roma, n. 15416/2024).

Tale giurisprudenza consente espressamente la prosecuzione dei contratti di affitto o cessione di azienda anche quando il cedente è sottoposto a liquidazione giudiziale.

La ratio della previsione summenzionata è quella di garantire la continuità dell’attività economica e salvaguardare il valore imprenditoriale del ramo d’azienda.

In conclusione, rileva il Tribunale, la mancanza di una disposizione ad hoc che preveda espressamente tale effetto escludente non può essere colmata attraverso il principio di ordine generale “ubi commoda, ibi incommoda” evocato dalla ricorrente.

Inoltre, fermo quanto sopra illustrato, ipotizzare che le vicende relative alla sola ditta cedente (avvenuta oltre tre anni prima la data di indizione della procedura) si riflettano anche sulla cessionaria non solo risulta in chiaro contrasto con il dettato normativo, ma avrebbe imposto in capo alla p.a. un onere di controllo manifestamente sproporzionato.

Considerazioni conclusive

Nel nuovo Codice dei contratti pubblici il principio di tassatività, previsto dall’art. 10, ha una valenza e un ambito di applicazione, senza dubbio, più chiari e circoscritti rispetto alla normativa previgente (cfr. art. 83, co. 8 del d.lgs. n. 50/2016).

Ciò si desume sia dalla collocazione sistematica del suddetto principio, sia dalla strumentalità della stessa rispetto al principio fondamentale dell’accesso al mercato di cui all’art. 3 del Codice.

Ne deriva una maggiore tassativizzazione delle cause di esclusione con la conseguenza che le ipotesi di estensione delle stesse sono da considerarsi eccezionali.

Invero, l’art. 94, comma 5, lett. d) circoscrive espressamente la portata della causa di esclusione automatica in esame (relativa alla sottoposizione ad una procedura di liquidazione giudiziale) al solo operatore economico partecipante alla procedura ad evidenza pubblica.

Nella specie era pacifico che il concorrente (in qualità di cessionario del ramo d’azienda) non fosse attinto da tale causa escludente che invece aveva, come visto, colpito la sola impresa cedente. 

Né la mancanza di una disposizione specifica che contempli tale esclusione può essere aggirata attraverso il principio, più volte evocata dalla ricorrente, dell’“ubi commoda, ibi incommoda” che, ove applicato, avrebbe avuto l’effetto di introdurre una nuova causa di esclusione in aperto contrasto con gli articoli 3 e 10 del c.c.p.

Alla luce di quanto sopra, la decisione del T.a.r. Campania – in conformità con il panorama delineato dal nuovo Codice dei contratti basato sul principio di tassatività e sulla necessità di favorire la massima partecipazione alle gare pubbliche – mette in evidenza come ogni provvedimento espulsivo per andare esente da illegittimità debba trovare esclusivo fondamento nelle ipotesi delineate dall’articolato normativo.

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