Una delle novità contenute nel nuovo “Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica” (decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, in Gazzetta Ufficiale n. 120 dell’8 settembre 2016) , che maggiormente è passata in sordina è quella contenuta nel comma 15 dell’articolo 11, a mente del quale “agli organi di amministrazione e controllo delle società in house si applica il decreto legge 16 maggio 1994, n. 293, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 1994, n. 444”, ovvero la disciplina della proroga degli organi amministrativi.
Essa palesa l’intenzione del legislatore di assimilare, sia pure limitatamente al profilo qui considerato, le società in house agli enti pubblici.
La sottolineatura appare necessaria e va ben oltre l’ambito angusto della norma in commento, dimostrando la labilità dei confini tra pubblico e privato, lontani cioè dalla tranquillizzante idea «che esistano due diritti, l’uno per i rapporti tra privati, l’altro per quelli tra amministrazioni pubbliche e privati»(1).
Probabilmente, essa può essere spiegata in modo convincente solo con l’idea secondo cui, indipendentemente dalla qualificazione formale in termini di ente pubblico, a talune società a capitale pubblico che presentano determinati requisiti possono applicarsi specifiche discipline settoriali previste per i soggetti pubblici, se ciò è ritenuto necessario per la tutela di determinati interessi rilevanti per l’ordinamento: con valutazioni fatte in alcuni casi dallo stesso legislatore (come ad es. in materia di appalti pubblici ,ai sensi del d.lgs. 50/2016, o in tema di diritto di accesso agli atti – art. 22, l.241/1990).
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