CONSIGLIO DI STATO, sez. V, 23 maggio 2022, n. 4056
La ratio perseguita dall’art. 95, comma 15 del Codice dei contratti pubblici riposa nell’esigenza di impedire impugnazioni di carattere strumentale, in cui il conseguimento dell’aggiudicazione è ottenibile non già per la portata delle censure dedotte contro gli atti di gara e per la posizione in graduatoria della ricorrente, ma solo avvalendosi degli automatismi insiti nella determinazione automatica della soglia di anomalia.
Le variazioni intervenute nella platea dei concorrenti, per effetto della riammissione in gara di soggetti in precedenza illegittimamente esclusi, attengono ancora alla fase di ammissione e/o esclusione delle offerte, ossia ad una fase che l’art. 95 comma 15 del Codice dei contratti pubblici ancora non sottopone all’applicazione del principio di invarianza.
Il caso di specie
Con un primo ricorso dinanzi al T.A.R., una ditta, operante nel settore dei lavori pubblici, impugnava la sua esclusione (e l’aggiudicazione all’R.T.I. controinteressato) da una procedura di gara indetta dal Ministero della difesa per l’ampliamento della capacità di un deposito di carburanti. Più specificamente, tale azienda contestava il provvedimento con cui la stazione appaltante – in base ad una norma del disciplinare di gara – l’aveva ritenuta priva (in proprio) di un’attestazione SOA che la stessa impresa (come ammesso dal bando di gara) aveva però dichiarato di possedere tramite ricorso all’istituto dell’avvalimento.
In pratica – nonostante l’operatività di tale istituto (e quindi il possesso del requisito tecnico da parte dell’impresa) – la P.A., attraverso l’applicazione di una clausola della lex di gara (in particolare del disciplinare), poi riconosciuta illegittima, aveva impedito la partecipazione alla competizione perché l’azienda ausiliata non possedeva una (propria) attestazione SOA.
Si è detto “propria” attestazione SOA perché la problematica emersa (poi definita con sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 16 ottobre 2020, n. 22, chiamata a pronunciarsi dalla quinta sezione del Consiglio di Stato presso cui pendeva l’appello avverso la sentenza T.A.R.) non era legata tanto al possesso della SOA tramite l’istituto dell’avvalimento, ma al fatto che un bando di gara potesse subordinare il ricorso a detto istituto (in tal caso, per palesare il possesso di requisiti SOA) solo previa dimostrazione – da parte dell’azienda ausiliata – del possesso di una “personale” attestazione SOA (evidentemente per differenti categorie rispetto a quelle oggetto di avvalimento).
L’Adunanza Plenaria, nel decidere la questione, dichiarava illegittima la clausola del disciplinare che subordinava la possibilità di ricorrere all’avvalimento (di attestazione SOA) alla dimostrazione del possesso di una (propria) attestazione da parte dell’impresa. Secondo il giudice, la disposizione, in primo luogo, appariva intrinsecamente contraddittoria: “Essa, inoltre, prevedendo una causa di esclusione (il mancato possesso della propria attestazione SOA) sprovvista di idonea base normativa, si pone in contrasto col divieto di porre cause di esclusione non previste per legge, a pena di nullità della clausola (art. 83, comma 8, ultimi due periodi)”.
Nell’occasione, peraltro, l’Adunanza Plenaria formulava i seguenti principi di diritto, che è utile qui riportare: “a) la clausola del disciplinare di gara che subordini l’avvalimento dell’attestazione SOA alla produzione, in sede di gara, dell’attestazione SOA anche della stessa impresa ausiliata si pone in contrasto con gli artt. 84 e 89, comma 1, del d.lgs. n. 50 del 2016 ed è pertanto nulla ai sensi dell’articolo 83, comma 8, ultimo periodo, del medesimo decreto legislativo; b) la nullità della clausola ai sensi dell’art. 83, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016 configura un’ipotesi di nullità parziale limitata alla clausola, da considerare non apposta, che non si estende all’intero provvedimento, il quale conserva natura autoritativa; c) i provvedimenti successivi adottati dall’amministrazione, che facciano applicazione o comunque si fondino sulla clausola nulla, ivi compresi il provvedimento di esclusione dalla gara o la sua aggiudicazione, vanno impugnati nell’ordinario termine di decadenza, anche per far valere l’illegittimità derivante dall’applicazione della clausola nulla”.
Tornata, poi, la questione alla sezione remittente del Consiglio di Stato (sez. V), la problematica veniva definita con sentenza 3 giugno 2021, n. 4238, la quale respingeva “nel merito” il gravame avverso la sentenza di primo grado (che, come detto, aveva disposto l’annullamento dell’esclusione della ricorrente e dell’aggiudicazione in capo all’R.T.I. controinteressato).
Pendenti tali procedimenti giurisdizionali, e qui torniamo all’oggetto del nostro commento, la commissione di gara, nel proseguire le sue attività (i cui esiti, lo si ripete ancora, saranno posti nel nulla in virtù dell’annullamento dell’esclusione dalla gara della ricorrente e dell’aggiudicazione in capo all’R.T.I. controinteressato disposto dal T.A.R. e confermato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4238/2021, cit.), determinava la soglia di anomalia (sulla base delle offerte ammesse) nella misura del 31,785%.
Ad un certo punto, l’amministrazione aggiudicatrice, considerate le vicissitudini giudiziarie sopra tratteggiate, vistasi confermare l’annullamento dei propri atti (l’esclusione della ditta ricorrente e l’aggiudicazione all’R.T.I. controinteressato), riattivava l’iter procedimentale per arrivare a una nuova aggiudicazione dell’appalto.
In sostanza, riammetteva le imprese che, come la ricorrente, erano state inizialmente escluse sulla base del medesimo presupposto poi rivelatosi illegittimo (come sancito dall’Adunanza Plenaria), ancorché non tutte avessero impugnato il relativo provvedimento, e ri-determinava la soglia di anomalia dell’offerta, ritenendo di doversi adeguare alla mutata situazione di fatto sopravvenuta, tenendo quindi conto di tutte le offerte ammesse in competizione.
A fronte di tali decisioni della P.A., l’impresa originariamente ricorrente adiva ex novo il giudice amministrativo. In primo luogo, obiettava che tale modus operandi avrebbe violato il principio di invarianza della soglia di anomalia, come stabilito dell’art. 95, comma 15 Codice dei contratti pubblici (naturalmente, l’impresa aveva interesse a far valere l’assunto, poiché, in base all’originario calcolo della soglia, la sua offerta, caratterizzata da un ribasso più consistente rispetto a quello dell’operatore originariamente primo classificato, sarebbe risultata la migliore); in secondo luogo, contestava la riammissione in gara di tutte le imprese in precedenza escluse (per gli stessi motivi poi ritenuti illegittimi dalla Plenaria), eccependo l’inoppugnabilità per decorso dei termini dei relativi provvedimenti (di esclusione) e, comunque, la tardività dell’esercizio di autotutela da parte della pubblica amministrazione (art. 21-nonies l. 7 agosto 1990, n. 241).
Il giudice di prime cure dava (nuovamente) ragione all’impresa ricorrente, muovendo – per quanto qui di interesse – dal presupposto che erroneamente sarebbe stata ricalcolata la soglia di anomalia. In tal senso, le vicende processuali che avevano portato alla riammissione degli originari concorrenti esclusi si sarebbero comunque situate “a valle dell’aggiudicazione definitiva” (la quale, a suo tempo, era comunque intervenuta in favore di un concorrente), con il risultato che mai avrebbero potuto avere una qualche rilevanza nel calcolo di tale soglia, la quale sarebbe dovuta rimanere ferma in quella originariamente individuata (e cioè 31,785%).
La decisione del Consiglio di Stato
Avverso la sentenza T.A.R. interponeva appello l’amministrazione della difesa, lamentando l’erronea applicazione alla fattispecie dell’art. 95, comma 15 d.lgs. n. 50/2016, come interpretato dalla più recente giurisprudenza.
Il giudice d’appello, questa volta, ha dato ragione alla stazione appaltante, riconoscendo la correttezza dell’operato della P.A. che – dopo la riammissione a gara di tutti i concorrenti in precedenza esclusi (in attuazione della sentenza del Consiglio di Stato n. 4238/2021, cit.) – aveva (tra l’altro) definito nuovamente la soglia di anomalia, in principio individuata al 31,785%.
Ma qual è stato il ragionamento seguito dal giudice?
Innanzitutto, il Consiglio di Stato riporta il contenuto della norma oggetto di indagine, che così recita (art. 95, comma 15 d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50): “15. Ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte non rileva ai fini del calcolo di medie nella procedura, né per l’individuazione della soglia di anomalia delle offerte”.
Secondo il giudice, nel corso della seduta in cui (in origine) sarebbe stata fissata la soglia di anomalia (il richiamato valore del 31,785%), la P.A. avrebbe operato non sulla base di tutti i ribassi presentati in gara, ma solo su quelli in quel momento noti al seggio, non essendo state conteggiate, a questo fine, le offerte presentate dagli operatori economici nel frattempo (illegittimamente) esclusi. Dunque, in principio, il valore della soglia sarebbe stato determinato solamente in misura parziale (e quindi in modo non corretto), non considerando la globalità delle offerte degli operatori presenti in gara.
Ma a quali principi risponde l’invarianza della soglia ai sensi del comma 15 dell’art. 95?
La regola dell’invarianza, ricorda il consesso, serve a evitare che variazioni sulle ammissioni/esclusioni dalle gare, ancorché accertate in via giudiziaria, possano sortire effetti in punto di determinazione delle medie e delle soglie di anomalia, valori che devono ritenersi immutabili al momento dell’aggiudicazione e che si legano (soprattutto per quanto riguarda l’anomalia) al paradigma della serietà dell’offerta del concorrente (l’anomalia rappresenta quella soglia minima di utile al di sotto della quale l’offerta si presume senz’altro poco attendibile).
Il principio, che costituisce attuazione pure dei criteri di trasparenza, correttezza del confronto concorrenziale e conservazione degli atti giuridici, rende così irrilevanti le controversie: “…meramente speculative e strumentali da parte di concorrenti non utilmente collocatisi in graduatoria mossi dall’unica finalità, una volta noti i ribassi offerti e quindi gli effetti delle rispettive partecipazioni in gara sulla soglia di anomalia, di incidere direttamente su quest’ultima traendone vantaggio” (Cons. Stato, sez. V, 30 luglio 2018, n. 4664).
La “cristallizzazione” del livello d’anomalia – con il corredo di “indifferenza” di tale valore alle successive sopravvenienze in termini di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte – non è però parametro fisso e immutabile, cioè del tutto neutro rispetto al procedimento di evidenza pubblica. Non è preclusa la possibilità di intervenire (a date condizioni) sulla soglia, che, mutando, può porre in discussione (anche) gli esiti della gara. Diversamente argomentando, ritiene il giudice amministrativo: “…il «fatto compiuto» derivante dalla determinazione delle medie, laddove a monte di questa si sia consumata un’illegittimità che abbia avuto rilievo decisivo in tale operazione aritmetica, assumerebbe un ruolo dirimente in grado di frustrare i principi che conformano l’azione amministrativa e, prima ancora, di sovvertire la gerarchia assiologica dei valori ad essi sottesi”.
E quale sarebbe il momento in cui si determina la cristallizzazione della soglia?
Secondo il Consiglio di Stato, il momento matura quando si definisce (si conclude), in sede amministrativa, la fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte, fase che non può ritenersi esaurita: a) fino a quando non sia spirato il termine per impugnare le ammissioni o le esclusioni; b) comunque, fino a quando la stazione appaltante possa esercitare – in qualunque momento della procedura (art. 80, comma 6 Codice dei contratti pubblici) – il potere (di esclusione) in autotutela, con il limite invalicabile dell’aggiudicazione (su tale limite, si v. anche T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 24 dicembre 2019, n. 3077 e giurisprudenza ivi citata).
Ne consegue, chiarisce il giudice, che le variazioni intervenute (prima dell’aggiudicazione) nella platea dei concorrenti per effetto della riammissione in gara di operatori in precedenza illegittimamente esclusi, attengono ancora alla fase di ammissione /esclusione delle offerte (e a tale fase appartiene anche, in un certo senso, la proposta di aggiudicazione), parte di procedura che l’art. 95, comma 15 Codice dei contratti pubblici ancora non sottopone all’applicazione del principio di invarianza.
Peraltro, proprio il riferimento testuale dell’art. 95, comma 15 alla “regolarizzazione”, conferma, per il Consiglio di Stato, la possibilità, per l’amministrazione, di normalizzare, prima di procedere all’aggiudicazione della gara, eventuali offerte affette da mere irregolarità non invalidanti (e quindi suscettibili di essere sanate: si cita Cons. Stato, sez. V, 22 gennaio 2021, n. 683), sempre ammesso – per quanto di interesse in questa sede – che tali irregolarità siano idonee a incidere sulla soglia di anomalia (o sul calcolo di medie).
Infine, in merito all’individuazione del momento in cui si determina la cristallizzazione delle medie (e la soglia d’anomalia), il giudice ricorda come abbia a suo tempo inciso pure l’introduzione nel Codice del processo amministrativo del rito c.d. super accelerato (d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 120, comma 2 bis e 6 bis), oggi abrogato per effetto del d.l. 18 aprile 2019, n. 32 (“Sblocca Cantieri”), il quale imponeva l’immediata impugnazione delle ammissioni o esclusioni dalla gara.
Muovendo da tale specifico istituto, la giurisprudenza aveva potuto precisare l’autonomia e la specificità della fase di ammissione/esclusione dei concorrenti, ai sensi degli artt. 80 e 83 d.lgs. n. 50/2016, fase che (appunto) ostava a ogni ipotesi di “invarianza”, dal momento che un eventuale accoglimento dell’impugnazione: “…in una fase della gara nella quale l’ammissione non si è ancora stabilizzata per essere ancora sub iudice, non può non retroagire, una volta accolta, al momento della illegittima ammissione, tempestivamente impugnata, in quanto, diversamente ritenendo, la stabilizzazione della soglia sarebbe «sterilizzata» da ogni eventuale illegittimità di una ammissione o esclusione tempestivamente contestata” (Cons. Stato, sez. III, 27 aprile 2018, n. 2579).
Alcuni profili ricostruttivi
Il comma 15 dell’art. 95 Codice dei contratti pubblici rammenta la disposizione contenuta a chiusura del previgente comma 2 bis dell’art. 38 del Codice del 2006 (d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163), il quale introduceva (per inciso) pure l’ipotesi del soccorso istruttorio integrativo “a pagamento” (il comma 2 bis, materialmente, è stato introdotto solo nel 2014 con l’art. 39, comma 1 d.l. 24 giugno 2014, n. 90).
La norma, di identico tenore rispetto a quella attuale, traeva la sua ragion d’essere (proprio come la disposizione vigente) dalla necessità di sterilizzare il rischio che la permanenza in gara di un concorrente in seguito escluso potesse alterare, in guisa anticoncorrenziale e perfino fraudolenta, il calcolo della soglia di anomalia o delle medie (dunque, con alterazione della trasparenza e della correttezza del confronto concorrenziale).
La regola mirava a impedire che la stazione appaltante, chiusa la fase di ammissione/esclusione (o regolarizzazione) delle offerte, potesse essere costretta – in conseguenza, ad esempio, di una contestazione sull’esito della gara – a retrocedere il procedimento fino alla ri-determinazione della soglia di anomalia, fatto che avrebbe ingenerato una conseguente diseconomica dilatazione dei tempi di conclusione del procedimento unita a un irragionevole dispendio di risorse umane e strumentali (si cfr. Cons. Stato, sez. III, 12 luglio 2018, n. 4286).
Premessi questi cenni, più in generale, sul tema dell’invarianza delle medie e della soglia di anomalia si sono nel tempo confrontati due indirizzi giurisprudenziali.
Uno, di tipo “letterale” (tendenzialmente più rigoroso), secondo cui la disposizione in esame precluderebbe, oltre che la rideterminazione di questi valori (medie e anomalia) in esito a un procedimento giurisdizionale, pure l’autotutela della P.A., con impossibilità di ricalcolare gli stessi parametri in base a una modificata platea di operatori rispetto a quanto stabilito nei provvedimenti di ammissione/esclusione (e ciò a prescindere dall’intervenuta aggiudicazione della gara).
L’altro indirizzo, invece, di natura “teleologica” (che guarda dunque allo scopo perseguito dal legislatore), pur riconoscendo che la norma sull’invarianza sembrerebbe precludere tout court ogni possibilità di modificare la soglia di anomalia, ritiene non di meno che un’interpretazione troppo rigida – che prescinda sia dalla fase in cui si trova la procedura di gara sia dalle iniziative giudiziarie dirette a contestare l’ammissione in gara di imprese prive dei requisiti di partecipazione o portatrici di offerte invalide incidenti sulla soglia di anomalia – andrebbe a violare alcuni parametri costituzionali, come gli artt. 24, 97 e 113.
Un buon esempio di interpretazione letterale è dato dalla sentenza Cons. Stato, sez. V, 26 maggio 2015, n. 2609.
Secondo il giudice, la regola generale introdotta nell’art. 38, comma 2 bis (ma identico discorso vale per l’art. 95, comma 15 del Codice attuale) riguarderebbe: “…l’andamento del procedimento amministrativo di settore, nel senso che, una volta conclusa la «fase» procedimentale riguardante l’ammissione, la regolarizzazione o l’esclusione delle offerte, le sopravvenienze non possono essere prese in considerazione dalla stessa amministrazione. Nella sistematica della norma, effettuato il calcolo della media e individuata la soglia di anomalia, qualsiasi successiva variazione nella platea dei concorrenti, anche ove discendente da una pronuncia giurisdizionale, non giustificherebbe il loro rifacimento.
Trattandosi, ritiene il Consiglio di Stato, di regola di diritto sostanziale (e non di norma processuale), che ha inteso innovare la disciplina del procedimento di gara e che solo di riflesso riverbera le proprie coerenti conseguenze sul terreno processuale: “…la stessa non può essere sospettata di avere inciso sulle garanzie costituzionali che presiedono alla tutela giurisdizionale”.
Tanto il calcolo della media delle offerte quanto la determinazione della soglia di anomalia attengono, d’altra parte, ricorda il consesso, a dati convenzionali, sicché il legislatore, nell’esercizio della proprie scelte discrezionali, ben può circoscrivere gli elementi rilevanti per la definizione di entrambe le grandezze, nello specifico negando rilevanza alle sopravvenienze cui la norma in esame ha avuto riguardo.
La disposizione, per il giudice, disconosce quindi: “…in radice qualunque forma di protezione giuridica per l’interesse sostanziale dell’impresa che prospetti la necessità della rinnovazione di una fase del procedimento, in quanto il legislatore ha posto la regola della irrilevanza di alcune sopravvenienze, per rendere più stabili gli esiti finali del procedimento ed evitare che – anche ipoteticamente – possano esservi iniziative distorsive della leale concorrenza tra le imprese”.
Secondo altra pronuncia, che pure segue l’impostazione letterale, la par condicio competitorum è assicurata proprio dal considerare di portata generale l’effetto di invarianza, nel senso di imporne ab origine l’applicazione in modo indifferenziato, cioè assolutamente prescindendo da quale potrebbe essere l’esito concreto del confronto concorrenziale (T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 2 febbraio 2018, n. 725).
Pertanto, stando a questa tesi, non potrebbe trovare condivisione l’assunto secondo cui l’effetto “conservativo” riceverebbe applicazione solo per modifiche della platea dei concorrenti – in senso ampliativo o restrittivo – intervenute di seguito all’adozione del provvedimento di aggiudicazione. Tale effetto, diversamente, accompagnerebbe ogni fase della procedura, restando, pertanto, immune a tutte le vicende della gara successive alla fase di ammissione/esclusione delle offerte.
La ricostruzione teleologica dell’istituto, come accennato, guarda invece allo scopo perseguito dal legislatore con la norma in esame. Il fine è ravvisabile, secondo Cons. Stato, sez. V, 22 gennaio 2021, n. 683, nell’esigenza di impedire impugnazioni giudiziarie strumentali, all’esito delle quali il conseguimento dell’aggiudicazione sia ottenibile non già per la portata delle censure dedotte contro gli atti di gara e per la posizione in graduatoria del ricorrente, ma grazie agli automatismi insiti nella determinazione automatica della soglia di anomalia.
Pur tuttavia, nell’ambito di questo indirizzo, si è precisato, sul piano sistematico, che l’art. 95, comma 15 d.lgs. n. 50/2016 non può essere inteso nel senso di precludere iniziative giurisdizionali legittime, che anzi sono oggetto di tutela costituzionale (artt. 24 e 113 Cost.), dirette in particolare a contestare l’ammissione alla gara di imprese prive dei requisiti di partecipazione o autrici di offerte invalide, le quali nondimeno abbiano inciso sulla soglia di anomalia già determinata (su tali profili, si v. Cons. Stato, sez. V, 12 febbraio 2020, n. 1117; Cons. Stato, sez. V, 27 ottobre 2020, n. 6542; Cons. Stato, sez. V, 23 novembre 2020, n. 7332). Nella descritta prospettiva (che poi è quella fatta propria dalla sentenza in commento) si ritiene, dunque, che sia consentito all’amministrazione di rivedere il proprio operato e, in particolare, di regolarizzare offerte affette (anche) da mere irregolarità non invalidanti e suscettibili, quindi, di essere sanate, avuto in questo caso riguardo al fatto che l’art. 95, comma 15 si riferisce alla fase di “regolarizzazione”, oltre che di “ammissione (…) o esclusione delle offerte”, come sbarramento temporale oltre il quale non è possibile nessun mutamento della soglia di anomalia.
Note sulla sentenza
Giunti al termine di questo breve commento, dobbiamo chiederci per quale motivo questa sentenza risulta interessante.
La decisione è interessante perché, in un certo senso, chiude “il cerchio” intorno al tema dell’art. 95, comma 15 Codice dei contratti pubblici.
Il Consiglio di Stato, attraverso la ricostruzione dei dati giurisprudenziali già sedimentati (ciascuno dei quali, singolarmente preso, in grado di rappresentare solo una porzione del sistema), è riuscito a compendiare le diverse sfaccettature della disposizione, arrivando così a enucleare dei principi che (si spera) potranno servire a indirizzare la futura attività di stazioni appaltanti e operatori economici.
I punti fermi sono questi:
1) l’art. 95, comma 15 individua quale momento idoneo a cristallizzare la soglia di anomalia (e le medie nella procedura) la conclusione della fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte;
2) questa fase non può considerarsi conclusa fino a quando è pendente il termine per impugnare le ammissioni e le esclusioni;
3) questa fase, parimenti, non può dirsi conclusa fino a quando la stazione appaltante può esercitare il potere di escludere un operatore e quindi fino all’aggiudicazione (art. 80, comma 6 d.lgs. n. 50/2016; salve le ipotesi dell’art. 108 del Codice);
4) le variazioni intervenute nella platea dei partecipanti per effetto di riammissioni in gara di competitors in precedenza illegittimamente esclusi attengono ancora alla fase di ammissione, esclusione e regolarizzazione delle offerte, la quale, dunque, pure in questo caso, non può considerarsi chiusa;
5) prima dell’aggiudicazione della gara, qualsiasi offerta, caratterizzata da mera irregolarità non invalidante, potrà essere “sanata” dall’amministrazione e quindi, ancora una volta, la fase in questione non sarà conclusa;
6) una volta intervenuta l’aggiudicazione (e qui resta da individuare il momento in cui si intende perfezionata l’aggiudicazione: si v. il disposto dell’art. 33 e dei comma 5-8 dell’art. 32 d.lgs. n. 50/2016) non si potrà più intervenire sulla soglia di anomalia né sulle medie.
In tutte queste ipotesi (tranne la n. 6) non sarà dunque operativo il principio di invarianza previsto dalla norma in esame, pertanto, la stazione appaltante potrà ridefinire, nella procedura, tanto il livello di anomalia quanto le medie.
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