Sull’annullamento della procedura di gara a causa della mancata specificazione dei criteri ambientali minimi nella lex specialis

A cura di Virginia Ventura

19 Febbraio 2025
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Criteri ambientali minimi – l’onere di immediata impugnazione delle clausole che si assumono lesive per violazione della disciplina in materia di criteri ambientali minimi – elementi condizionanti il contenuto negoziale che attiene alla legittimità della legge di gara

Consiglio di Stato, Sez. III, 30.12.2024, n. 10473
 
Va anzitutto rilevata, preliminarmente e d’ufficio, l’ammissibilità di un simile gravame, in applicazione – alla fattispecie qui dedotta – dei criteri stabiliti dalla sentenza n. 4/2018 dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, sotto il profilo dell’insussistenza di un onere di immediata impugnazione delle clausole che si assumo lesive per violazione della disciplina in materia di criteri ambientali minimi (posto che in una fattispecie quale quella dedotta nel presente giudizio l’illegittimità per mancato inserimento di detti criteri non refluisce sulla formulazione dell’offerta: non solo in termini di impossibilità assoluta, ma neppure in termini di condizionamento relativo).
La partecipazione alla gara in un’ipotesi del genere non concreta dunque una forma di acquiescenza alle regole di gara stessa, essendo l’impugnazione proponibile all’esito della procedura e avverso l’aggiudicazione, dovendosi pertanto escludere in tale condotta un venire contra factum proprium (in questo senso Cons. Stato, sez. V, n. 972/2021; sez. III, n. 8773/2022, n. 2795/2023, n. 1300/2024 e n. 4701/2024).
(…) È appena il caso di osservare che, nel caso di specie, non si pone un problema di sufficiente o adeguato richiamo a tali criteri nella disciplina di gara, posto che la stazione appaltante ha escluso la stessa applicazione degli stessi in ragione della loro ritenuta estraneità all’oggetto del contratto.
Data la superiore premessa, non rileva in contrario la deduzione del carattere accessorio di tale prestazione rispetto al complessivo oggetto del contratto, in ragione dell’opposto e dirimente rilievo della previsione dei cui al terzo comma del citato art. 34 d. lgs. n. 50/2016.
Oltre a tale indubitabile riferimento testuale ciò che impedisce di accogliere un simile argomento di difesa è la considerazione del tratto sistematico della richiamata disciplina dei criteri ambientali minimi, che impedisce una parcellizzazione e relativizzazione del relativo obbligo normativo proprio in ragione della funzionalizzazione dell’uso del contratto pubblico rispetto agli obiettivi del “Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione” (art. 34, comma 1, cit.).
(…) Dalla richiamata giurisprudenza si ricava inoltre il principio per cui l’obbligo di inserimento dei criteri ambientali minimi è vicenda che attiene alla legittimità della legge di gara, quale elemento condizionante il contenuto negoziale, non potendosene predicare la rilevanza unicamente nella fase di esecuzione del contratto (si vedano in tal senso le sentenze n. 2799/2023, relativa proprio ad “interventi di manutenzione su edifici con efficientamento energetico”, n. 8773/2022, e n. 4701/2024, in particolare al punto 8.4. della motivazione).
La fondatezza della censura come formulata in primo grado, vale a dire con riferimento alla violazione dell’art. 34 d. lgs. n. 50/2016 per mancato inserimento nella legge di gara dei criteri ambientali minimi di cui al d.m. 7 marzo 2012, determina l’accoglimento – per questa parte – del ricorso e l’annullamento degli atti con esso impugnati: segnatamente, della legge di gara, e – in virtù dell’effetto caducante (Cons. Stato, sez. V, n. 3538/2021) – anche dei successivi atti della stessa gara.

Indice

Premessa

Con la sentenza n. 10473 del 30 dicembre 2024, la III Sezione del Consiglio di Stato si è pronunciata su due questioni di particolare rilievo ossia: (i) la sussistenza o meno di un onere di immediata impugnazione delle clausole che si assumono lesive per violazione della disciplina in materia di criteri ambientali minimi; (ii) il ruolo dei criteri ambientali minimi, quali elementi condizionanti il contenuto negoziale e la legittimità della legge di gara, a prescindere dalla natura principale o accessoria delle prestazioni cui  tali criteri si riferiscono nell’ambito dello specifico appalto.

Il caso di specie

La controversia oggetto della pronuncia in esame riguarda la procedura di gara indetta per l’affidamento dell’appalto del servizio integrato di manutenzione del patrimonio immobiliare della Azienda Sanitaria Locale di Taranto, attinente a tutte le attività afferenti all’esercizio, gestione, conduzione, manutenzione, verifica e miglioramento degli immobili, impianti e macchine, il servizio energia, prestazioni integrative e lavori a misura, per un periodo di cinque anni.
All’esito delle operazioni di gara, la ricorrente ha impugnato  il provvedimento di aggiudicazione definitiva intervenuto nei confronti della Società Omissis, unitamente a tutti gli atti di gara, sostenendone l’illegittimità per motivi relativi all’aggiudicazione disposta nei confronti della aggiudicataria controinteressata e per il mancato inserimento nella disciplina di gara dei criteri ambientali minimi (CAM)  previsti dal d.m. 7 marzo 2012, relativi agli “interventi di razionalizzazione, riqualificazione e di efficientamento energetico del sistema edificio – impianti”.
Si sono costituite in giudizio, per resistere al ricorso, la Stazione appaltante e l’aggiudicataria controinteressata.
Il T.a.r. con sentenza n. 815/2024 ha statuito sull’infondatezza delle censure sollevate  dalla ricorrente relative all’aggiudicazione disposta nei confronti della controinteressata e, in particolare, ha respinto il motivo con cui si censurava la legge di gara per il mancato inserimento nella stessa  dei criteri ambientali minimi previsti dal d.m. 7 marzo 2012, relativi agli “interventi di razionalizzazione, riqualificazione e di efficientamento energetico del sistema edificio – impianti”, atteso che “l’oggetto dell’appalto di che trattasi riguarda esclusivamente il servizio di manutenzione del patrimonio immobiliare e degli impianti presenti all’interno delle strutture sanitarie della A.S.L. di Taranto, dovendo considerarsi il predetto richiamo operato nella lex specialis come un mero refuso“.
In particolare, secondo il Giudice di primo grado, il richiamo ai CAM contenuto nella lex specialis non era altro che un “mero refuso” in quanto l’oggetto dell’appalto riguardava esclusivamente il servizio di manutenzione del patrimonio immobiliare e degli impianti presenti all’interno di alcune strutture sanitarie con la conseguenza che la Stazione appaltante aveva escluso correttamente l’applicazione degli stessi in ragione della loro estraneità all’oggetto del contratto.
La sentenza è stata impugnata con ricorso in appello dalla ricorrente in primo grado.
Secondo la tesi dell’appellante, la lex specialis doveva ritenersi soggetta all’obbligo di adeguamento dei CAM anche nell’ipotesi in cui le prestazioni oggetto di affidamento non erano riconducibili tra quelle qualificabili come “servizio energia”, in quanto quest’ultime erano in ogni caso riconducibili nell’ambito applicativo del d.m. 23 giugno 2022, recante i “Criteri ambientali minimi per l’affidamento del servizio di progettazione di interventi edilizi, per l’affidamento dei lavori per interventi edilizi e per l’affidamento congiunto di progettazione e lavori per interventi edilizi“.
Inoltre, secondo la tesi della ricorrente, tra le prestazioni oggetto di affidamento vi era anche quella di redazione dei progetti esecutivi di efficientamento energetico da eseguirsi in coerenza con il CAM di cui al d.m. 7 marzo 2012, non rilevando la natura principale o accessoria delle prestazioni nell’ambito dello specifico appalto.
L’appellante ha domandato, oltre l’annullamento dei provvedimenti impugnati, anche il risarcimento del danno in forma specifica (mediante subentro) o per equivalente.

La decisione del Consiglio di Stato

Preliminarmente, il Collegio ha esaminato le censure proposte in via principale dalla ricorrente relative all’aggiudicazione e successivamente quelle concernenti la prospettata invalidità dell’intera gara per il mancato inserimento dei CAM nella lex specialis, proposte dalla ricorrente in via subordinata.
D’altronde, secondo il Collegio “nel processo amministrativo impugnatorio di legittimità la parte può graduare, esplicitamente ed in modo vincolante per il giudice, i motivi e le domande di annullamento, ad eccezione dei casi in cui, ex art. 34, comma 2, cod. proc. amm., il vizio si traduca nel mancato esercizio di poteri da parte dell’autorità per legge competente (Cons. Stato, Ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5): il che vale per il giudizio amministrativo di primo grado, ma ovviamente anche per il giudizio di appello, regolato dal principio devolutivo, ragione per cui l’ordine di esame dei motivi di censura è rimesso, in linea di principio, alla prospettazione di parte (Cons. Stato, sez. IV, 18 febbraio 2016, n. 649; sez. V, 19 febbraio 2021, n. 1497)”.
Pertanto, il g.a. ha dapprima esaminato le quattro eccezioni principali del ricorso relative all’aggiudicazione della controinteressata decretandone l’infondatezza; successivamente, ha analizzato il motivo di appello formulato in via subordinata al fine di ottenere la caducazione dell’intera gara – relativo al mancato inserimento dei criteri ambientali minimi, decretandone la fondatezza con conseguente riforma sul punto della sentenza impugnata.
Innanzitutto, il Collegio ha ribadito l’ammissibilità del gravame, in applicazione dei criteri stabiliti dalla sentenza n. 4/2018 dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, sotto il profilo “dell’insussistenza di un onere di immediata impugnazione delle clausole che si assumo lesive per violazione della disciplina in materia di criteri ambientali minimi (posto che in una fattispecie quale quella dedotta nel presente giudizio l’illegittimità per mancato inserimento di detti criteri non refluisce sulla formulazione dell’offerta: non solo in termini di impossibilità assoluta, ma neppure in termini di condizionamento relativo)”.
In linea con tale orientamento, secondo i giudici di Palazzo Spada, “la partecipazione alla gara in un’ipotesi del genere non concreta dunque una forma di acquiescenza alle regole di gara stessa, essendo l’impugnazione proponibile all’esito della procedura e avverso l’aggiudicazione, dovendosi pertanto escludere in tale condotta un venire contra factum proprium (in questo senso Cons. Stato, sez. V, n. 972/2021; sez. III, n. 8773/2022, n. 2795/2023, n. 1300/2024 e n. 4701/2024)”.
Questa conclusione, del resto, come sottolineato dal giudice, è confermata da costante giurisprudenza secondo cui  “l’interesse principale dell’operatore economico è all’aggiudicazione della commessa, adeguando l’offerta alla domanda pubblica (con il limite della possibilità di formulazione dell’offerta): laddove l’interesse pubblico sotteso al conseguimento degli obiettivi ambientali previsti dal piano d’azione per la sostenibilità ambientale (richiamati dal citato art. 34 del d. lgs. n. 50/2016) si radica – in forza di un preciso obbligo normativo – in capo all’amministrazione che predispone la legge di gara”.
Ciò premesso, il Collegio si è occupato di entrare nel merito della questione giuridica giunta alla sua attenzione sulla caducazione dell’intera gara per il mancato inserimento nella disciplina di gara dei criteri ambientali minimi anche in ragione dell’eventuale carattere accessorio delle prestazioni in oggetto rispetto al complessivo oggetto del contratto.
Innanzitutto, il Collegio ha chiarito che le attività di manutenzione degli impianti relativi ai servizi energetici, ai servizi di illuminazione e forza motrice, e ai servizi di riscaldamento/raffrescamento sono disciplinate dal d.m. 7 marzo 2012, allegato 1 (“Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della Pubblica Amministrazione ovvero Piano d’Azione Nazionale sul Green Public Procurement (PAN GPP) Criteri ambientali minimi per l’affidamento di servizi energetici per gli edifici – Servizio di illuminazione e forza motrice – Servizio di riscaldamento / raffrescamento”).
Ha poi proseguito il Collegio “anche a voler considerare erroneo il riferimento al servizio energia (nel senso che sicuramente la fornitura di energia è esclusa dall’oggetto del contratto), risulta per tabulas una sovrapposizione quanto meno parziale fra l’oggetto della gara e l’oggetto del d.m. da ultimo richiamato”.
Infatti, le attività indicate nel capitolato tecnico di gara rientrano nell’ambito della disciplina recata dal d.m. 7 marzo 2012, atteso che “[l]a “manutenzione degli immobili, degli impianti e delle macchine” (di cui al Capitolato) ricomprende evidentemente anche macchine e impianti relativi ai servizi energetici, di illuminazione e forza motrice, e di raffrescamento/riscaldamento; il capitolato disciplina infatti espressamente gli impianti di climatizzazione (art. 45), gli impianti di illuminazione (art. 17), le attività di “efficientamento energetico del sistema edificio-impianto (art. 4), ma soprattutto “le attività di manutenzione preventiva e correttiva o a guasto, necessarie a mantenere in perfetta efficienza gli impianti tecnologici” (art. 3.1.), e la “manutenzione, miglioramento e continuo monitoraggio degli insiemi impiantistici, dei relativi componenti e sottocomponenti afferenti agli impianti elettrici, compresa la realizzazione di interventi di razionalizzazione, riqualificazione e di efficientamento energetico del sistema edificio-impianto” (art. 4, lett. B)”.
Pertanto, secondo il Collegio per questa parte della prestazione contrattuale la legge di gara, per risultare conforme all’ art. 34 del d. lgs n. 50/2016, avrebbe dovuto essere integrata mediante l’inserimento delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei criteri ambientali minimi di cui al richiamato d.m. 7 marzo 2012.
Né, a conclusione diverse, conduce il carattere accessorio di tale prestazione rispetto al complessivo oggetto del contratto, né, anche laddove il riferimento testuale non venisse considerato sufficiente ad accogliere la considerazione sopra esposta, la disciplina dei criteri ambientali minimi in ogni caso poteva impedire una parcellizzazione e relativizzazione del relativo obbligo normativo proprio in ragione della funzionalizzazione dell’uso del contratto pubblico rispetto agli obiettivi del “Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione” (art. 34, comma 1, cit.).
Inoltre, ha proseguito il Collegio, in applicazione dei principi elaborati dall’orientamento maggioritario della giurisprudenza “l’obbligo di inserimento dei criteri ambientali minimi è vicenda che attiene alla legittimità della legge di gara, quale elemento condizionante il contenuto negoziale, non potendosene predicare la rilevanza unicamente nella fase di esecuzione del contratto (Cfr. in tal senso le sentenze n. 2799/2023, relativa proprio ad “interventi di manutenzione su edifici con efficientamento energetico”, n. 8773/2022, e n. 4701/2024, in particolare al punto 8.4. della motivazione)”.
Dunque, la censura formulata in primo grado, con riferimento alla violazione dell’art. 34 d.lgs. n. 50/2016 per il mancato inserimento nella legge di gara dei criteri ambientali minimi di cui al d.m. 7 marzo 2012, è stata così ritenuta fondata, determinando di conseguenza l’accoglimento del ricorso per tale parte e l’annullamento degli atti con esso impugnati: segnatamente, della legge di gara, e in virtù dell’effetto caducante (Cons. Stato, sez. V, n. 3538/2021), anche dei successivi atti della stessa gara.
La presente pronuncia ha determinato, dunque, un effetto conformativo consistente nella riedizione della gara, emendata dai vizia accertati, ma non l’accertamento della c.d. spettanza del bene della vita in capo alla ricorrente, poiché dall’esito del giudizio non è risultato che la ricorrente in relazione al contenuto dell’offerta da quest’ultima presentata sarebbe risultata aggiudicataria della gara nel caso in cui fosse stato rispettato l’obbligo di inserimento dei criteri ambientali minimi.

Considerazioni conclusive

Le questioni di interesse affrontate nella presente pronuncia concernono la disciplina dei criteri ambientali minimi (CAM) – quali elementi condizionanti il contenuto negoziale dell’appalto
con riferimento a tutte le prestazioni cui i relativi criteri si riferiscono, a prescindere dalla natura principale o accessoria nell’ambito dello specifico appalto – con la conseguenza che il mancato inserimento di quest’ultimi nella disciplina di gara, laddove prescritti, comporti l’annullamento dell’intera procedura di gara, inclusa l’eventuale aggiudicazione.
La prima questione di rilievo concerne l’onere di immediata impugnazione della legge di gara nel caso di mancata declinazione dei suddetti criteri nella lex specialis.
La pronuncia in esame ha consolidato l’orientamento della giurisprudenza amministrativa, ormai prevalente, secondo cui la partecipazione alla procedura di gara non costituisce acquiescenza alle regole poste alla base del confronto competitivo e non impedisce la proposizione di un eventuale gravame “essendo l’impugnazione proponibile solo all’esito della procedura e avverso l’aggiudicazione, senza che ciò possa qualificarsi come un venire contra factum proprium (Cons. Stato, Sez. V, n. 972/2021; Cons Stato, Sez. III, 14 ottobre, n. 8773/2022,Cons. Stato, Sez. III, 20 marzo 2023, n. 2795;Tar Lazio, Roma, n. 20198/2024)”.
Invero, è orientamento pacifico in giurisprudenza quello secondo cui la non conformità della legge di gara in tema di criteri ambientali minimi non è un vizio tale da imporre un’immediata e tempestiva impugnazione del bando di gara, non ricadendosi nei casi eccezionali di clausole escludenti o impeditive della partecipazione dell’interessato alla gara che, sole, consentono l’immediata impugnazione della lex specialis di gara, con la conseguenza che la partecipazione alla gara in un’ipotesi del genere non può considerarsi acquiescenza alle regole della stessa, essendo l’impugnazione proponibile solo all’esito della procedura e avverso l’aggiudicazione, senza che ciò possa qualificarsi come un venire contra factum proprio.
Tale orientamento ha subito l’influenza di quanto statuito sul tema  dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 4 del 26 aprile 2018: “in alcun modo (…), l’illegittimità dei criteri ambientali minimi influisce sulla formulazione dell’offerta: non solo in termini di impossibilità assoluta, ma neppure in termini di condizionamento relativo” (Cfr. Consiglio di Stato, sez. III, n. 1300/2024 ; Cons. Stato, Sez. III, 27 maggio 2024, n. 4701).
Tuttavia, vi è anche un filone interpretativo della giurisprudenza, seppur minoritario, che propende per l’onere di immediata impugnazione della legge di gara e considera tardivo il ricorso con il quale il ricorrente si duole del mancato inserimento delle regole sui CAM nel bando di gara, senza aver impugnato la medesima nei trenta giorni decorrenti dalla sua pubblicazione (Cfr. Sez. II-ter T.A.R. Lazio Roma (le nn. 44934494 e 4495 del 6 marzo 2024) e T.A.R. Puglia Bari, Sez. II, n. 675 del 28 maggio 2024) .
La seconda questione oggetto di interesse della sentenza in esame concerne il ruolo dei criteri ambientali minimi, quali elementi condizionanti il contenuto negoziale che attiene alla legittimità della legge di gara, con la conseguenza che il mancato inserimento dei CAM nella lex specialis, laddove prescritti, comporta l’annullamento dell’intera procedura di gara e quindi anche dell’eventuale successiva aggiudicazione.
Pertanto, non è possibile riscontrare e controllare il rispetto dei criteri ambientali minimi unicamente nella fase di esecuzione del contratto, atteso che l’inserimento nei bandi di gara dei suddetti criteri, laddove prescritto, è vincolante.
Ne consegue che l’obbligatorietà dei criteri ambientali minimi nella disciplina di gara influisce sulla legittimità delle procedure pubbliche di affidamento che non ne abbiano tenuto conto, comportando eventualmente l’annullamento della procedura e anche della relativa aggiudicazione.
Inoltre, un altro aspetto, emerso dalla pronuncia in esame, da tenere in considerazione, concerne l’applicazione dei CAM con riferimento a tutte le prestazioni cui i relativi criteri si riferiscono, a prescindere dalla natura principale o accessoria nell’ambito dello specifico appalto.
Infatti, nell’art. 34 del d.lgs. 50/2016, non vi è alcuna distinzione tra la natura principale o accessoria delle prestazioni nell’ambito dello specifico appalto e pertanto, è necessario inserire i criteri ambientali minimi a prescindere dalla natura che qualifica la prestazione.
In conclusione, la sentenza in esame ha chiarito ulteriormente il ruolo e i profili applicativi dei criteri ambientali minimi, evidenziando l’esigenza, ad oggi sempre più sentita, di garantire affidamenti sostenibili delle pubbliche amministrazioni, per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità ambientale nell’ambito dell’economia circolare.

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