Sull’accesso agli atti nella fase esecutiva dell’appalto: l’interesse concreto e attuale di una Società definitivamente esclusa.

A cura di Arianna Savio

26 Luglio 2024
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Accesso agli atti – Fase esecutiva – Risoluzione del contratto – Artt. 22 ss. L. n. 241/90 – Riedizione della gara – Interesse diretto, concreto e attuale – Art. 53 del D.Lgs. n. 50 del 2016.

T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 7 giugno 2024, n. 11570

Il diritto di accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce un principio generale dell’attività amministrativa, volto a consentire e favorire la partecipazione dei privati e ad assicurare l’imparzialità dell’azione amministrativa.
Nell’ambito della contrattualistica pubblica, l’istituto in esame presenta alcune peculiarità che, talvolta, risultano di difficile coordinamento con la disciplina generale contenuta nella l. n. 241/90 e nel d.lgs. n. 33/2013.
Uno dei temi su cui la giurisprudenza ha incentrato i propri sforzi concerne proprio quello afferente la legittimazione all’accesso agli atti nella fase esecutiva, da parte del concorrente che sia decaduto dalla possibilità di impugnare i provvedimenti definitivi adottati dalla stazione appaltante.

Indice

Il caso di specie

Nel marzo 2021, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale avviava una gara per l’esternalizzazione dei servizi propedeutici, connessi o successivi al rilascio dei visti di ingresso in Italia.
Il provvedimento di aggiudicazione è stato impugnato dall’impresa terza graduata e il contenzioso si è concluso con la sentenza n. 6731 del 10 luglio 2023 del Consiglio di Stato, che ha accertato la legittimità della procedura.
Nel gennaio 2024, l’operatore economico secondo classificato formulava, ai sensi del combinato disposto degli artt. 22 e ss. della l. n. 241/1990 e dell’art. 53 del d.lgs. n. 50/2016, istanza di accesso alla documentazione di gara al fine di verificare il rispetto degli obblighi (alternativi) dalla stessa previsti a pena di risoluzione del contratto di appalto e segnatamente:
a) l’iscrizione dell’aggiudicataria nel registro delle imprese del Pakistan;
b) la costituzione di una società di diritto locale entro 120 giorni dalla stipula del contratto.
L’amministrazione, negava l’ostensione della documentazione richiesta dall’operatore economico contestandone la finalità meramente esplorativa, in violazione dell’art. 24, co. 3 della l. n. 241/1990.
Infatti, secondo la p.a., l’istante non risulterebbe titolare di un interesse attuale e concreto ad accedere agli atti in quanto non solo non aveva al tempo interposto alcun ricorso avverso il provvedimento di aggiudicazione, ma la legittimità della procedura era stata financo accertata dal g.a. con sentenza passata in giudicato.
Ne conseguiva, dunque, che la ricorrente “non ritrarrebbe dalla visione della documentazione richiesta alcun vantaggio concreto e che, peraltro, la richiesta risulterebbe sorretta esclusivamente da una finalità meramente esplorativa”.
La nota di rigetto dell’istanza di accesso agli atti veniva, così, impugnata dall’impresa con ricorso ex art. 116 c.p.a., nel quale la ricorrente – alla luce dei principi dettati dalla giurisprudenza intervenuta sul tema – deduceva la sussistenza di un interesse concreto e attuale all’accesso alla documentazione relativa alla verifica della regolare esecuzione del rapporto negoziale.
Invero, l’istanza di accesso presentata dalla ricorrente era volta a verificare le condizioni di una vicenda risolutiva di per sé idonea a riattivare – seppur in termini di possibilità – le chances di subentro o anche solo di rinnovazione della procedura evidenziale. Si trattava, dunque, di fattispecie dalla quale si desumeva la sussistenza di un interesse concreto all’ostensione della documentazione di gara relativa al possesso dei requisiti che la lex specialis prescriveva a pena di risoluzione del contratto di appalto, a valle sottoscritto.

La decisione del TAR

Il T.a.r. ha accolto il ricorso e dichiarato l’illegittimità del silenzio serbato dall’Amministrazione, ordinando alla stessa l’esibizione della documentazione richiesta.
Al centro della decisione, il Tribunale ha posto la sentenza n. 10/2020 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, riportando alcune delle parti maggiormente significative per la risoluzione del caso di specie.
Secondo il Collegio, la legittimazione all’accesso agli atti di gara non è limitata alla sola fase “pubblicistica”, ma deve riguardare anche tutta la successiva fase “privatistica” legata all’esecuzione del contratto. D’altronde, rileva il giudice: “l’esecuzione del pubblico contratto o della pubblica concessione, se riguardata infatti anche dal necessario versante del diritto amministrativo e delle norme del codice dei contratti pubblici, che pure la regolano in ossequio ai dettami del diritto dell’Unione, non è una “terra di nessuno”, un rapporto rigorosamente privatistico tra la pubblica amministrazione e il contraente escludente qualsiasi altro rapporto o interesse, ma è invece soggetta, oltre al controllo dei soggetti pubblici, anche alla verifica e alla connessa conoscibilità da parte di eventuali soggetti controinteressati al subentro o, se del caso, alla riedizione della gara”.
Ne consegue il riconoscimento di un interesse attuale e concreto giuridicamente tutelato (quantomeno) ai soggetti che abbiano preso parte alla procedura di gara a conoscere i documenti della fase esecutiva del contratto pubblico che “non configura quindi una “iperestensione” del loro interesse, con conseguente allargamento “a valle” della giurisdizione amministrativa, tutte le volte in cui, a fronte di vicende di natura pubblicistica o privatistica già verificatasi incidenti sulla prosecuzione del rapporto, sia configurabile, se non il necessario, obbligatorio, scorrimento della graduatoria (c.d. bene finale) quantomeno la realistica possibilità di riedizione della gara (c.d. bene intermedio) per conseguire l’aggiudicazione della stessa (c.d. bene finale), in un “solido collegamento” con il bene finale”.
Al riguardo, è incontestato il fatto per cui sia il bando che il capitolato tecnico avessero previsto l’iscrizione nel registro delle imprese del Pakistan o la costituzione di una società di diritto locale quale adempimento di carattere amministrativo, a pena di risoluzione del rapporto negoziale
Per il Collegio, tali elementi sono idonei ad escludere che l’istanza di accesso – finalizzata a conoscere il succitato adempimento amministrativo – si connotasse come meramente esplorativa.
In secondo luogo, ha proseguito il T.a.r., a nulla rileverebbe la circostanza che la ricorrente non abbia impugnato gli atti di gara e che la sentenza con cui è stato definito il giudizio, avviato dalla terza classificata, sia divenuta definitiva. Secondo il giudice, tali circostanze non possono far venire meno “l’interesse dell’operatore economico a conoscere documenti della fase esecutiva che possano eventualmente porsi a fondamento di una vicenda risolutiva quale quella conseguente alla mancata iscrizione nel registro delle imprese (con conseguente subentro e riedizione della gara), trattandosi di fattispecie i cui elementi costitutivi si pongono a valle della procedura di affidamento”.
Né infine, secondo il Tribunale, la natura strumentale dell’interesse (i.e. la riedizione della gara) configura un “ipertensione” della posizione giuridica con conseguente allargamento della giurisdizione amministrativa tutte le volte in cui risulta configurabile “se non il necessario, obbligatorio, scorrimento della graduatoria (c.d. bene finale), quantomeno la realistica possibilità di riedizione della gara (c.d. bene intermedio) per conseguire l’aggiudicazione della stessa (c.d. bene finale), in un “solido collegamento” con il bene finale”.

Brevi considerazioni conclusive

Il diritto di accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce un principio generale dell’attività amministrativa, volto a consentire e favorire la partecipazione dei privati e ad assicurare l’imparzialità dell’azione amministrativa.
Il fondamento del diritto di accesso, pertanto, va individuato nei principi di partecipazione, di pubblicità, trasparenza e, più a monte, nel principio di buon andamento dei pubblici uffici.
D’altronde, la possibilità concessa dalla legge di poter accedere agli atti e ai documenti detenuti dalle amministrazioni consente a tutti i consociati di esercitare un controllo sulla conformità dell’attività amministrativa ai principi cardine del nostro ordinamento.
Nell’ambito della contrattualistica pubblica, l’istituto in esame presenta alcune peculiarità che, talvolta, risultano di difficile coordinamento con la disciplina generale contenuta nella l. n. 241/90 e nel d.lgs. n. 33/2013. Basti pensare al recente contrasto giurisprudenziale risolto dalla Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sentenza n. 10 del 2020) chiamata a chiarire se il diritto di accesso civico generalizzato possa essere esercitato anche per acquisire atti riferiti alla fase esecutiva dell’appalto.
L’art. 53 del D.Lgs. n. 50 del 2016 , applicabile ratione temporis al caso in esame, richiamava esplicitamente l’articolo 22 della Legge n. 241/1990, evidenziando quindi il favor legislativo per la compresenza delle due norme nella disciplina degli appalti pubblici.
Nello specifico, l’articolo 53 del Codice dei contratti pubblici stabiliva che le norme di carattere generale contenute nella l. n. 241/90 dovessero trovare sempre applicazione, salvo quanto diversamente disposto dal Codice medesimo. Le disposizioni contenute nel d.lgs. n. 50/2016, dunque, in ragione della particolare disciplina di tale settore, si pongono come speciali rispetto a quelle previste dalla legge sul procedimento amministrativo.
Anche nel nuovo impianto normativo (artt. 35 e 36 del d.lgs. 36/2023), la disciplina in tema di accesso agli atti è rimasta pressoché invariata, seppur con una forte spinta alla velocizzazione e alla digitalizzazione della procedura che si ripercuote (non a caso) anche sulle tempistiche processuali per adire il giudice amministrativo.
Uno dei temi su cui la giurisprudenza ha incentrato i propri sforzi concerne proprio quello afferente la legittimazione all’accesso agli atti nella fase esecutiva, da parte del concorrente che sia decaduto dalla possibilità di impugnare i provvedimenti definitivi adottati dalla stazione appaltante.
Nella pronuncia in esame, il Tribunale – riprendendo le considerazioni svolte dall’Adunanza Plenaria qualche anno prima – parte da una considerazione tutt’altro che banale: “l’esecuzione del pubblico contratto o della pubblica concessione non è una terra di nessuno, un rapporto privatistico tra pubblica amministrazione e il contraente escludente qualsivoglia altro rapporto o interesse, ma è invece soggetta, oltre al controllo dei soggetti pubblici, anche alla verifica e alla connessa conoscibilità da parte di eventuali soggetti controinteressati al subentro o, se del caso, alla riedizione della gara”.
Ciò posto, risulta chiaro che l’impresa non aggiudicataria della gara sia titolare di uno specifico interesse all’ostensione della documentazione inerente la fase esecutiva del rapporto; ciò a condizione che l’istanza non si traduca in una generica volontà di verificare il corretto svolgimento del rapporto contrattuale e l’interesse sotteso all’esibizione sia preesistente.
Pertanto, secondo la sentenza analizzata, l’interesse della ricorrente a conoscere gli atti e i documenti della fase esecutiva – che possano eventualmente porsi a giustificazione di una vicenda risolutiva – non può essere frustrato dal fatto che la stessa non ha impugnato gli atti di gara ovvero che sia intervenuta una sentenza che ha accertato in via definitiva la legittimità del decreto che ha disposto l’aggiudicazione.
Quanto sostenuto, si inserisce perfettamente all’interno di un filone giurisprudenziale consolidato che sancisce l’irrilevanza sulla legittimazione all’accesso dell’intervenuto decorso del termine per proporre gravame avverso gli atti della procedura, dal momento che  non compete all’amministrazione  valutare le tipologie di tutela che l’istante ritiene di attivare, né  effettuare un giudizio prognostico sull’ammissibilità e fondatezza dei rimedi giurisdizionali che l’istante voglia concretamente adoperare.
Ed invero, la giurisprudenza ha recentemente chiarito che tale circostanza non esclude di per sé la configurabilità dell’interesse all’accesso, dal momento che “ è solo del privato richiedente, una volta ottenuto il documento, la decisione sui rimedi giurisdizionali da attivare ove ritenga lesa la sua situazione giuridica soggettiva e se per taluni di essi (o per quelli unicamente esperibili) siano già spirati i termini di decadenza (o, eventualmente, di prescrizione) l’eventuale pronuncia di inammissibilità non può, certo, essere anticipata dall’amministrazione destinataria della richiesta di accesso allo scopo di negare l’ostensione del documento” (Cons. Stato, sez. V, 27 giugno 2018, n. 3953; negli stessi termini, T.a.r. Veneto, sez. I, 31 dicembre 2019, n. 1417).
Alla luce di ciò, la valutazione che la stazione appaltante è chiamata (ex lege) ad effettuare attiene alla sussistenza di un collegamento tra la documentazione richiesta e la situazione giuridica da tutelare in concreto, rimanendo esclusa ogni esame relativo ai rimedi eventualmente esperibili.
Di contro, le amministrazioni dovrebbero poter negare istanze di accesso formulate al solo scopo di venire in possesso di specifiche conoscenze industriali o commerciali, acquisite e detenute dagli altri operatori economici al fine di garantire la tutela della leale concorrenza.
Infatti, in alcune recenti sentenze il Consiglio di Stato hanno precisato che: “si tratta, del resto, di beni essenziali per lo sviluppo e per la stessa competizione qualitativa, che sono prodotto patrimoniale della capacità ideativa o acquisitiva della singola impresa e cui l’ordinamento, ai fini della corretta esplicazione della concorrenza, offre tutela di loro in quanto segreti commerciali. La ratio legis è di far sì che, proprio con riguardo ad una gara pubblica, che non deroga ma assicura la corretta competizione tra imprese, del diritto di accesso non si possa fare un uso emulativo, ad esempio da parte di contendenti che potrebbero formalizzare l’istanza allo scopo precipuo di giovarsi di specifiche conoscenze industriali o commerciali acquisite e detenute da altri (Cons. Stato, VI, 19 ottobre 1990, n. 6393). Ne viene che la scelta di prendere parte ad una procedura competitiva non implica un’impropria accettazione del rischio di divulgazione di segreti industriali o commerciali, i quali – almeno in principio – restano sottratti, a tutela del loro specifico valore concorrenziale, ad ogni forma di divulgazione” (Cons. di Stato, Sez. V, 7 gennaio 2020, n. 64).
Nella fattispecie in esame, tuttavia, il giudice non ha ravvisato alcun intento emulativo nella richiesta ostensiva formulata dalla ricorrente, atteso che la stessa risultava decisiva nel verificare la sussistenza dei presupposti per la risoluzione del contratto stipulato, ai sensi dell’art. 1456 del c.c., e di conseguenza la riattivazione delle chances di riedizione della gara.

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