Sulla revoca dell’aggiudicazione a seguito del rifiuto dell’operatore di stipulare il contratto

A cura di Francesco Colucci

9 Ottobre 2024
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Consiglio di Stato, sez. V, 13.09.2024 n. 7571
 
Revoca – Rifiuto di stipulare il contratto – Finanziamento per super bonus – Sopravvenuta mancanza di copertura finanziaria – Principio del risultato – Principio della fiducia
 
Una volta che sia decorso il termine di centottanta giorni di validità dell’offerta, […] e quello di sessanta giorni previsto per la stipulazione del contratto, l’ordinamento consente all’operatore economico, specie ove questi abbia visto mutare in senso peggiorativo le condizioni di esecuzione dell’appalto, di affrancarsi dall’impegno originariamente assunto.
 
Sebbene il termine per la stipula del contratto sia ordinatorio, non può essere rimesso ad libitum alla stazione appaltante in quanto, ove l’amministrazione procedente potesse costringere in ogni tempo l’operatore a concludere il contratto d’appalto, la relativa disposizione di legge risulterebbe completamente svuotata della funzione che le è propria; vale a dire quella di tutelare «l’aggiudicatario, il quale deve poter calcolare ed attuare le scelte imprenditoriali entro tempi certi»

Indice

1. Il caso di specie

La decisione del Consiglio di Stato in esame analizza – anche attraverso una valorizzazione “retroattiva” dei principi del risultato e della fiducia con riferimento al Codice previgente (i.e. d.lgs. n. 50/2016) – la questione della legittimità di un provvedimento di revoca dell’aggiudicazione ad opera della stazione appaltante, a seguito del rifiuto dell’aggiudicatario di addivenire alla stipula del contratto.

Dopo aver ammesso in via generale la legittimità di una revoca di tipo “sanzionatorio” in caso di ingiustificato rifiuto dell’aggiudicatario di stipulare il contratto, i giudici di Palazzo Spada compiono un sapiente uso della tecnica del distinguishing, mettendo in evidenza la peculiarità della vicenda concreta rispetto ai precedenti citati dal giudice di prime cure e ricordando altresì la possibilità dell’aggiudicatario di sciogliersi dal contratto decorsi i 60  giorni dall’intervenuta efficacia del provvedimento di aggiudicazione (cfr. art. 32, comma 8 d.lgs. n. 50/2016; ora si v.  art. 18, comma 2 del d.lgs. n. 36/2023).

Viene altresì evidenziata la violazione degli articoli  1 e 2 del d.lgs. n. 36/2023: di qui l’attualità della sentenza in esame, che, nel segnare i confini del potere di revoca della stazione appaltante, attribuisce valore precettivo ai principi del risultato e della fiducia, che risultano nel nuovo Codice “connessi inestricabilmente”.

2. I fatti di causa

Invitalia, in qualità di centrale di committenza, indiceva una  procedura per la conclusione di un accordo quadro per l’affidamento dei lavori volti alla riqualificazione degli immobili (di proprietà̀ dell’Azienda territoriale per l’edilizia residenziale pubblica della Provincia di Roma.), divisa in sei lotti di aggiudicazione.

L’appellante risultava aggiudicatario del lotto n. 4 con provvedimento del 14 luglio 2022.
Nel contempo, la centrale di committenza – sulla base dell’articolo 4, par. 4.1. del  Disciplinare di gara che recitava:  “Nel caso in cui il numero di operatori economici partecipanti non risultasse sufficiente a garantire l’aggiudicazione di tutti i lotti in appalto, gli eventuali lotti deserti e i relativi plafond potranno essere assegnati agli operatori economici già aggiudicatari di altri lotti…” – richiedeva la disponibilità̀ dell’aggiudicatario  all’affidamento di altri due lotti (nn. 2 e 6) e questi vi assentiva.

Tale ultima aggiudicazione definitiva diveniva così efficace in data 27 ottobre 2022.
Nelle more della stipula dei contratti (fissata per il 9 gennaio 2023), tuttavia, l’A.T.E.R. trasmetteva soltanto una parte della documentazione di progetto in fase di approvazione.
Cosicché, con nota del 4 gennaio 2023, l‘appellante evidenziava come il ritardo patito nella ricezione della documentazione progettuale esecutiva e, in generale, nella definizione contrattuale definitiva dell’intervento, costituivano elementi oggettivamente ostativi alla realizzazione integrale delle lavorazioni potenzialmente richiedibili da parte della stazione appaltante, a causa dei limiti di carattere temporale dei benefici fiscali che le sarebbero spettati, ai sensi dell’art. 119 del d.l. 19 maggio 2020, n. 34 (convertito con modificazioni dalla l. 17 luglio 2020, n. 77; c.d. Superbonus 110%).

L’appalto in questione, difatti, non comportava un corrispettivo a carico della stazione appaltante, dovendo lo stesso essere conseguito dall’appaltatore tramite il c.d. superbonus 110%, ma alla condizione (prevista sia dalla legge che dalla lex specialis) che entro il 30 giugno 2024 venisse realizzato almeno il 60% dei lavori.

Circostanza, quest’ultima, difficile da realizzarsi alla luce del fatto che la stipula del solo accordo quadro era stata fissata dalla stazione appaltante in data 9 gennaio 2023, allorquando non erano stati ancora trasmessi i progetti definitivi ed esecutivi approvati, relativamente a tutti i quartieri e a tutti gli edifici oggetto di appalto, e alcuna data era stata fissata per la stipula dei contratti attuativi.

Nonostante tali problematiche, l’aggiudicatario  non chiudeva nell’immediato alla prosecuzione del rapporto, facendo valere l’intervenuta scadenza del termine di sessanta giorni, previsto dall’articolo 32, co. 8 del d.lgs. n. 50/2016 (ratione temporis applicabile), per la stipulazione del contratto.

Al contrario, richiedeva alcune modifiche alla disciplina dell’accordo quadro al fine di pervenire all’obiettivo della realizzazione del 60% dei lavori entro il 30.06.2023 e quindi alla copertura finanziaria dell’intervento.

La stazione appaltante accoglieva però solo in minima parte le richieste di modifiche proposte dalla ricorrente.

Con successiva nota del 20 gennaio 2023, dunque, l’appellante comunicava la decisione di non voler più̀ stipulare i contratti afferenti a tutti i lotti di gara, considerata “la mancata sussistenza delle condizioni di tipo contrattuale- finanziario e tecnico per poter procedere alla sottoscrizione e relativa esecuzione delle attività̀”.

L’A.T.E.R., a sua volta, dopo aver notificato formale atto di diffida e costituzione in mora, comunicava l’avvio del procedimento di revoca dei provvedimenti di aggiudicazione della gara, chiedendo altresì ad Invitalia di: escutere la polizza fideiussoria presentata dall’aggiudicatario in sede di presentazione dell’offerta;  chiedere il rimborso delle spese di pubblicità̀ sostenute dall’ATER;  procedere con la segnalazione del provvedimento all’ANAC.
L’ATI proponeva allora ricorso, lamentando – ai fini che qui interessano – la violazione dell’art. 21-quinquies l. n. 241/1990.

3.La decisione del TAR

Il punto centrale riguarda del giudizio concerne, dunque, la questione della legittimità̀ del provvedimento con cui l’A.T.E.R., imputando all’appellante la mancata stipula dell’accordo quadro, ha revocato l’aggiudicazione dei lotti alla stessa assegnati (i.e. lotti 2,4,e 6)  .
Il giudice di primo grado ha  respinto le censure mosse dall’ATI ricorrente.

Nello specifico, il Collegio ha osservato che deve considerarsi pienamente legittima la revoca dell’aggiudicazione dell’appalto disposta dalla s.a. a seguito del rifiuto, da parte dell’ATI, di stipulare il relativo contratto d’appalto. Ciò sulla base della considerazione che negli appalti pubblici non è precluso all’amministrazione la revoca  dell’aggiudicazione, in presenza di un interesse pubblico individuato in concreto (del quale si sia dato atto nella motivazione del provvedimento di autotutela), quale può essere il rifiuto di stipulare il contratto.
Non osterebbe a tal fine la circostanza che risulta scaduto il termine di sessanta giorni (decorrente dall’avvenuta efficacia del provvedimento di aggiudicazione) per la conclusione del contratto, previsto dal codice e ciò sulla base della considerazione che “l’infruttuoso decorso del termine di cui all’art. 32, comma 8, del d.gs. n. 50/2016 previsto per la sottoscrizione del contratto di appalto non preclude affatto la possibilità di stipularlo, stante la natura meramente ordinatoria dello stesso” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 14 luglio 2022, n. 5991).

I giudici hanno poi evidenziato come l’art. 32 comma 8 del d.lgs. n. 50/2016 rappresenti una disposizione che si applica quando il contratto che l’amministrazione rifiuta di stipulare è quello scaturito dalla procedura di gara, non invece quello che l’operatore economico pretende di stipulare dopo le modifiche cui aspira.

E, in tal senso, la ripetuta manifestazione di volontà – manifestata dal ricorrente – di addivenire alla stipula del contratto con rinegoziazione delle condizioni iniziali sarebbe stata del tutto incompatibile con quella di sciogliersi dal vincolo contrattuale.

Nel confermare la legittimità dell’azione amministrativa, il giudice di prime cure ha richiamato quella giurisprudenza  del Consiglio di Stato  per cui “il rifiuto di stipulare il contratto a seguito di aggiudicazione di gara pubblica costituisce un fatto che, all’evidenza, può giustificare la revoca dell’aggiudicazione nonché l’escussione della garanzia provvisoria che può essere disposta qualora non si proceda alla stipula del contratto per fatto imputabile all’aggiudicatario” (Cons. Stato, sez. V, 14 luglio 2022 , n. 5991;  22 agosto 2019, n. 5780).

4. La decisione del Consiglio di Stato

I giudici di Palazzo Spada hanno invece accolto le censure mosse dall’ appellante.
Hanno in primo luogo posto l’attenzione sul “nodo cruciale” della questione, ignorato dai giudici di primo grado, costituito dal “pericolo avvertito dal’ATI e palesato con le note trasmesse all’ATER, del venire meno della copertura finanziaria dell’appalto finanziato con i proventi del Super Bonus, avuto riguardo all’impossibilità di raggiungere entro una certa data un determinato importo dei lavori, circostanza determinante la decadenza delle risorse”.

Il Collegio ha, quindi, posto in evidenza l’inconferenza del richiamato operato dalla controinteressata al precedente del Consiglio di Stato (sez. V, 14 luglio 2022, n. 5991) rispetto alla controversia in esame.

Ciò in quanto, mentre nella  fattispecie oggetto della pronuncia sopra richiamata il concorrente aveva presentato un’offerta e ottenuto l’aggiudicazione per poi condizionare la stipula contrattuale alla pretesa di modifiche alla stessa, nella fattispecie de qua si è prima assistito al decorso del termine stabilito dalla legge per la stipulazione del contratto e solo in un secondo momento (quando il RTI aggiudicatario poteva svincolarsi liberamente dall’impegno assunto in gara)  l’appallante  aveva richiesto di inserire nei contratti alcune precisazioni volte a garantire la copertura economica dell’intervento, rispetto alle tempistiche fissate dalla normativa in materia di  “superbonus”.

Così che il rifiuto dell’ATI di addivenire alla stipula dell’accordo quadro, tutt’altro che illegittimo, doveva ritenersi del tutto giustificato, in ragione della preclusione – per problematiche e ritardi imputabili alla sola stazione appaltante – all’esecuzione dei lavori entro il termine previsto ai fini dell’ottenimento del “Super Bonus” (unico corrispettivo d’appalto previsto) e quindi della copertura finanziaria dell’intervento.
Come osservato dall’appallante e condiviso dal Collegio, infatti, “i cronoprogrammi forniti dall’ATER non permettevano in alcun modo di poter rispettare la condizione della realizzazione del 60% dei lavori entro il 30.06.2023, trattandosi di generici diagrammi che avevano come presupposto l’avvio già̀ a gennaio, quando era pacifico che a quella data ancora non vi era traccia dei contratti attuativi (necessari per avviare la pratica del superbonus) e gli stessi non consideravano i tempi necessari per l’espletamento delle attività̀ propedeutiche all’avvio dei lavori”.

Non essendo intervenuta la stipula del contratto nel termine previsto dall’art. 32 comma 8 del d.l.gs. n. 50/2016, dunque, l’appaltatore doveva ritenersi nel pieno diritto di potersi sciogliere dal vincolo, a maggior ragione considerata la stringente tempistica prevista per il finanziamento delle opere.

Ciò perché – come osservato in altra occasione dai giudici di Palazzo Spada – “sebbene il termine per la stipula del contratto sia ordinatorio, non può̀ essere rimesso ad libitum alla stazione appaltante in quanto, ove l’amministrazione procedente potesse costringere in ogni tempo l’operatore a concludere il contratto d’appalto, la relativa disposizione di legge risulterebbe completamente svuotata della funzione che le è propria; vale a dire quella di tutelare l’aggiudicatario, il quale deve poter calcolare ed attuare le scelte imprenditoriali entro tempi certi” (Cons. Stato, sez. V, 22 febbraio 2024 n. 1774).

Ne consegue che una volta che sia decorso il termine di centottanta giorni di validità̀ dell’offerta e quello di sessanta giorni previsto per la stipulazione del contratto, l’ordinamento consente all’operatore economico, specie ove questi abbia visto mutare in senso peggiorativo le condizioni di esecuzione dell’appalto, di affrancarsi dall’impegno originariamente assunto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29 ottobre 2020 n. 6620).
Chiarita dunque la non imputabilità all’aggiudicataria della mancata stipula del contratto, la pronuncia afferma che la stazione appaltante avrebbe ben potuto consentire lo scioglimento dell’aggiudicatario dall’obbligo di concludere il contratto di appalto e procedere alla revoca dell’aggiudicazione, ma non per responsabilità̀ dell’aggiudicatario – come avvenuto – bensì per venir meno della necessaria copertura finanziaria che, come noto, costituisce una valida ragione per esercitare il poter di cui all’articolo 21-quinquies della l. n. 241/1990.

Infine, in maniera originale, la sentenza censura la violazione da parte della stazione appaltante anche dei principi di risultato e della fiducia che – sebbene espressamente codificati solo con l’entrata in vigore del nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36/2023) non applicabile nella specie ratione temporis – devono ritenersi immanenti nel sistema giuridico (Cons. Stato, sez. III, 15 novembre 2023, n. 9812; Id., sez. VII, 1° luglio 2024, n. 5789).
Viene così sottolineato, da una parte, come il ritardo della s.a.  nella stipula dei contratti e nella definizione dei progetti, avuto altresì riguardo alla circostanza che in relazione ai lotti oggetto di aggiudicazione all’ATI non era stata presentata alcun’altra domanda e che era impossibile bandire una nuova gara, non si sono rilevate dal tutto in linea con il principio del risultato (art. 1 del d.lgs. n. 36/2023).

Quest’ultimo deve portare infatti a escludere che l’azione amministrativa sia vanificata ove non si possano ravvisare effettive ragioni che ostino al raggiungimento dell’obiettivo finale, rappresentato – nella fase di affidamento – dalla tempestiva stipulazione del contratto, e – nella fase di esecuzione – dal raggiungimento del risultato economico nei tempi programmati (Cons. Stato, sez. V, 27 febbraio 2024, n. 1924).
Dall’altro lato, si evidenzia come la condotta tenuta dalla s.a. (di totale chiusura dinanzi alla ricerca di una soluzione concordata con l’aggiudicatario  che consentisse la realizzazione almeno di alcuni interventi necessari per la stessa amministrazione) si sia posta in contrasto anche con il principio della fiducia (art. 2 d. lgs. n. 36/2023).

Tale principio , infatti, non può̀ tradursi nella legittimazione di scelte discrezionali che, in ossequio ad un’interpretazione formalistica delle disposizioni di gara, tradiscono l’interesse pubblico sotteso ad una gara, le quali, per contro, dovrebbero in ogni caso tendere al suo miglior soddisfacimento (T.a.r. Campania, sez. V, 6 maggio 2024, n. 2959).

5. Brevi considerazioni finali

È noto come nel diritto dei contratti pubblici sia  legittima la revoca della procedura di gara anche dopo l’aggiudicazione definitiva e, addirittura, dopo il conseguimento dell’efficacia di quest’ultima, in quanto l’amministrazione – sino al momento della stipulazione del contratto, che segna un’insanabile cesura tra la fase pubblicistica di affidamento e quella privatistica di esecuzione – mantiene intatti i suoi poteri di autotutela.

Secondo la giurisprudenza, possono essere vari i motivi sottesi al provvedimento di revoca intervenuto nelle more della stipula del contratto.

In primo luogo, è possibile una revoca di tipo “sanzionatorio” che si fonda sull’accertamento di    comportamenti scorretti posti in essere dall’aggiudicatario che si siano manifestati successivamente all’aggiudicazione definitiva. In questi casi, rileva la giurisprudenza“la revoca assume quella particolare connotazione di revoca-sanzione, poiché la caducazione degli effetti del provvedimento è giustificata da condotte scorrette del privato beneficiario di precedente provvedimento favorevole dell’amministrazione; e tuttavia si tratta pur sempre di «motivi di pubblico interesse» che giustificano la revoca. Il rifiuto di stipulare il contratto di concessione di un pubblico servizio è dunque un elemento che ben può giustificare la revoca dell’aggiudicazione per superiori motivi d’interesse pubblico, in quanto fonte di un pregiudizio economico e patrimoniale per l’amministrazione pubblica” (T.a.r., Puglia, Lecce, sez. II, 7 marzo 2022, n. 379).

È possibile, inoltre, adottare un provvedimento di revoca anche nell’arco di tempo che intercorre tra l’adozione del provvedimento di aggiudicazione e la successiva stipula del contratto quando. In tale evenienza, il provvedimento di autotutela  è volto a realizzare un risparmio di spesa, oppure serve a impedire che una tempistica della procedura maggiore di quella prevista non renda possibile per l’appaltatore la realizzazione dell’opera (o parte di essa) entro il termine previsto per ottenere il relativo finanziamento (T.a.r. Campania, Napoli, sez. I, 23 novembre 2017, n. 5537).

In tale evenienza, la giurisprudenza è concorde nel riconoscere la legittimità della revoca per carenza di copertura finanziaria, atteso che l’interesse pubblico idoneo a reggere tale provvedimento ben può consistere nella mancanza di risorse economiche idonee a sostenere la realizzazione dell’opera (T.a.r., Sicilia, Catania, sez. IV, 22 marzo 2021, n. 876).
La sentenza in esame, attraverso un’attenta analisi del fatto, riconduce il provvedimento di  autotutela in questione nell’alveo della revoca per venire meno della copertura finanziaria dell’appalto, avuto riguardo all’impossibilità di raggiungere entro una certa data un determinato importo dei lavori, circostanza questa determinante la decadenza dei benefici fiscali.
 
Tuttavia, l’attualità della sentenza risiede  nell’applicazione concreta dei principi di risultato e fiducia anche con riferimento all’adozione del provvedimento di revoca.
Dopo una loro sintetica definizione e dopo l’affermazione per cui essi rappresentavano – anche prima della loro positivizzazione ad opera del d. lgs. n. 36/2023 – principi già̀ immanenti dell’ordinamento (in tal senso anche Cons. Stato,  n. 1294 del 2024 cit. e Cons. Stato,  n. 5789 del 2024 cit.), la sentenza riconosce che  “il principio del risultato e quello della fiducia sono avvinti inestricabilmente: la gara è funzionale a portare a compimento l’intervento pubblico nel modo più̀ rispondente agli interessi della collettività̀ nel pieno rispetto delle regole che governano il ciclo di vita dell’intervento medesimo”.

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