Sulla “fuoriuscita” del c.d. “patteggiamento” dalle cause di esclusione automatica nel D.Lgs. n. 36/2023

31 Gennaio 2025
Modifica zoom
100%

D.lgs. n. 36/2023 – Cause di esclusione – Principio di tassatività delle cause di esclusione – Requisiti di ordine generale – Grave illecito professionale – Esclusione automatica e non automatica – Requisiti di onorabilità e moralità – Misure di c.d. self cleaning– Sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti – Riforma Cartabia – Codice di procedura penale – Effetti extrapenali del c.d. patteggiamento – Pene accessorie – Appalti pubblici – Favor partecipationis – D.lgs. n. 50/2016

TAR Lazio, Roma, sez. II, 9 gennaio 2025, n. 401
 
Per quanto concerne il possesso del requisiti di ordine generale, l’art. 94, comma 1 del D.Lgs 36/2023 stabilisce che “E’ causa di esclusione un operatore economico dalla partecipazione a una procedura d’appalto la condanna con sentenza definitiva o decreto penale di condanna divenuto irrevocabile”. Orbene, a differenza della vecchia formulazione dell’art. 80 del D.lgs n. 50/2016 non è più prevista come causa automatica di esclusione, la sentenza di patteggiamento ex art. 444 del c.p.p..
Risulta, pertanto, del tutto priva di fondamento l’affermazione di parte ricorrente in base alla quale la sentenza di patteggiamento subita dall’aggiudicataria sarebbe equiparata a una sentenza di condanna definitiva e, pertanto, causa di esclusione automatica dalla procedura di gara ai sensi dell’art. 94 del D.Lgs n. 36/2023.
Invero, dalla dichiarazione resa dall’odierna controinteressata, in merito alla sussistenza dei requisiti di ordine generale in capo alla stessa società, emerge che, ancorchè in seguito al patteggiamento siano state applicate delle pene accessorie, tra cui la sanzione interdittiva del divieto di pubblicizzare beni e servizi per la durata di mesi otto, la predetta ha provveduto spontaneamente a dare esecuzione alla misura interdittiva. A seguito di ciò la Procura della Repubblica di Perugia ha disposto l’archiviazione per non luogo a procedere ad ulteriori provvedimenti esecutivi.
Deve, dunque, ritenersi applicabile alla fattispecie il disposto dell’art. 445 c.p.p. secondo cui “se non sono applicate pene accessorie, non producono effetti le disposizioni di leggi, diverse da quella penale, che equiparano la sentenza prevista dall’art. 444, comma 2, c.p.p. alla sentenza di condanna”.
Alla luce delle circostanze dichiarate in sede di gara e documentate in giudizio, deve ritenersi che nella fattispecie il provvedimento di patteggiamento non è idoneo a produrre alcun effetto nella procedura di gara oggetto del presente giudizio e, pertanto, non può ritenersi configurata alcuna causa automatica di esclusione ex art. 94 del D.Lgs 36/2023.
Si rammenta, infatti, che ai sensi dell’articolo 10 del D.Lgs 36/2023, le cause di esclusione non possono essere interpretate estensivamente.

Indice

Il fatto

Il Comune di Bassano Romano indiceva una gara per l’affidamento per cinque anni del servizio di gestione dell’igiene urbana.

All’esito del confronto competitivo il servizio veniva aggiudicato all’impresa Gesenu S.p.A, mentre l’impresa Ecosud S.r.l. risultava la seconda classificata.
Quest’ultima presentava ricorso contro l’aggiudicazione in favore della prima classificata, lamentando la sussistenza di cause escludenti a carico della Gesenu.

In particolare, l’oggetto della controversia riguardava:

a) il possesso dei requisiti di ordine generale, e cioè l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione automatica ovvero non automatica, attesa la presenza di una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p. nei confronti di alcuni dipendenti dell’aggiudicataria;
b) l’adozione di tempestive e idonee misure di self cleaning da parte della Gesenu;
c) la mancata acquisizione da parte della SA delle dichiarazioni riguardanti i requisiti generali dei soggetti che detengono le quote di partecipazione dell’aggiudicataria;
d) la mancata valutazione da parte della stazione appaltante di una sentenza di condanna in primo grado emanata dalla Corte dei conti nei confronti della società aggiudicataria.

La decisione del TAR

Il giudice ha rigettato il ricorso presentato dalla seconda classificata sulla base delle seguenti considerazioni.

In primo luogo, il Tar ha rilevato l’inidoneità della sentenza di patteggiamento “a produrre alcun effetto nella procedura di gara oggetto del presente giudizio”, e ciò poiché, nonostante l’irrogazione della sanzione interdittiva del divieto di pubblicizzare beni e servizi per otto mesi, è stata successivamente disposta l’archiviazione per non luogo a procedere ad ulteriori provvedimenti esecutivi vista l’avvenuta spontanea esecuzione del provvedimento interdittivo da parte della società. 

Pertanto, il Tar ha ritenuto operante nel caso di specie la previsione di cui all’art. 445 c.p.p., a norma del quale “se non sono applicate pene accessorie, non producono effetti le disposizioni di leggi, diverse da quella penale, che equiparano la sentenza prevista dall’art. 444, comma 2, c.p.p. alla sentenza di condanna”, e ha quindi affermato la mancata integrazione delle ipotesi di esclusione automatica di cui all’art. 94 del D.Lgs. n. 36/2023.

In secondo luogo, il giudice ha rilevato la tempestiva adozione da parte dell’aggiudicataria delle misure di c.d. self cleaning contemplate dall’art. 96 del D.Lgs. n. 36/2023, data l’avvenuta dissociazione da parte della Gesenu dalle condotte penalmente rilevanti tenute dai dipendenti, l’adozione di provvedimenti disciplinari a carico di questi ultimi, nonché il “mutamento della compagine societaria con l’acquisto delle azioni della parte privata ad opera della Socefin Srl”, il rinnovo dei componenti dell’organismo di vigilanza, l’avvenuto aggiornamento del modello di organizzazione, gestione e controllo, e infine, l’“istituzione di un ufficio legale e di un ufficio di Internal Audit”.

Dunque, il Tar ha ritenuto corretta la valutazione effettuata dalla stazione appaltante circa l’inidoneità della vicenda ad integrare un’ipotesi di grave illecito professionale di cui all’art. 98 del D.Lgs. 36/2023.

In terzo luogo, il giudice amministrativo ha considerato infondata la contestazione della ricorrente circa la mancata acquisizione da parte della SA delle dichiarazioni concernenti i requisiti di ordine generale provenienti da soggetti che detengono le quote di partecipazione della Gesenu, ritenendo legittima l’acquisizione da parte della stazione appaltante della sola “dichiarazione della società e dei soggetti che ne hanno la rappresentanza e la gestione”.
Il Tar ha poi precisato che, anche a voler considerare doverosa l’acquisizione delle dichiarazioni da parte dei detentori delle quote di partecipazione, comunque la SA sarebbe stata tenuta a procedere con il soccorso istruttorio, e non già con l’esclusione dell’operatore come invece sostenuto dalla ricorrente.   

In quarto luogo, il Tar ha ritenuto corretta la mancata valutazione da parte della SA, quale ipotesi di illecito professionale rilevante ex art. 98 del D.Lgs. n. 36/2023, della condanna subìta dall’aggiudicataria all’esito del primo grado di un giudizio di accertamento della responsabilità erariale.

Il Tribunale amministrativo ha infatti rilevato sia la “risalenza nel tempo dei fatti oggetto del giudizio contabile”, sia l’intervenuta assoluzione della società in grado di appello per ogni contestazione.

Brevi considerazioni conclusive

Per quanto di interesse in questa sede, la pronuncia in esame appare meritevole di approfondimento sotto l’aspetto del confronto tra le due opposte ricostruzioni interpretative accolte dalla ricorrente e dal Tar.

Volendo tentare di ricostruire la tesi elaborata dalla seconda classificata, essa appare fondarsi, per quanto sembra emergere dalla lettura della sentenza, su tre assunti.

Il primo, la permanenza delle “sentenze di condanna definitiva” (per i reati elencati dall’art. 94, comma 1, del D.Lgs. n. 36/2023) tra le cause di esclusione automatica.
Il secondo, l’equiparazione delle sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti alle “pronunce di condanna” a norma del comma 1-bis dell’art. 445 c.p.p., salvo quanto previsto dal primo e dal secondo periodo dello stesso comma 1-bis.

Quest’ultimo stabilisce che, se non sono applicate pene accessorie, non producono effetti le disposizioni di legge diverse da quelle penali che equiparano la sentenza di patteggiamento alla sentenza di condanna; da ciò ne discende che l’operatività della sentenza di patteggiamento al di fuori dell’ordinamento penale risulta legata all’irrogazione in concreto di pene accessorie nel singolo caso considerato.

Il terzo, l’applicazione nei confronti della Gesenu della sanzione interdittiva del divieto di pubblicizzare beni e servizi per otto mesi, da cui deriverebbe – secondo quella che appare l’impostazione seguita dalla ricorrente – l’equiparazione della sentenza di c.d. “patteggiamento” alla sentenza di condanna definitiva di cui all’art. 94, comma 1, del D.Lgs. n. 36/2023, con la conseguente integrazione della causa di esclusione automatica da essa prevista.

In sintesi, la ricostruzione proposta della seconda classificata sembra fondarsi su una lettura del dettato normativo che si incentra essenzialmente:

a) sulla rigida interpretazione del comma 1-bis dell’art. 445 c.p.p., tale per cui l’avvenuta irrogazione della sanzione interdittiva comporterebbe l’equiparazione della sentenza di patteggiamento a quella di condanna – e quindi l’operatività degli effetti extrapenali che derivano dalla pronuncia – a nulla rilevando l’avvenuta successiva archiviazione del procedimento;
b) sulla “massima estensione” del concetto di “sentenza di condanna definitiva” di cui all’art. 94, comma 1, del D.Lgs. n. 36/2023.

Tuttavia, l’opposta ricostruzione accolta dal Tar fa leva su due elementi decisivi nel rilevare l’infondatezza della tesi della ricorrente.

In primo luogo, occorre tenere conto della sopravvenuta archiviazione per non luogo a procedere ad ulteriori provvedimenti esecutivi disposta a seguito dell’avvenuta esecuzione della misura interdittiva da parte della società – il che esclude la possibilità di equiparare la sentenza di patteggiamento alla pronuncia di condanna, secondo una lettura del secondo periodo del comma 1-bis dell’art. 445 c.p.p.rispettosa della sua ratio legis.
È opportuno, infatti, ricordare che la Riforma Cartabia ha inciso sull’istituto del “patteggiamento” con la finalità di renderlo maggiormente “appetibile” per i soggetti potenzialmente interessati a beneficiarne.

E ciò è provato sia dalla riduzione degli effetti extrapenali delle sentenze di patteggiamento, sia dalla possibilità, per chi intende usufruire di tale procedimento speciale, di subordinare la richiesta all’esenzione dalle pene accessorie previste dall’art. 317-bis c.p. ovvero all’estensione a tali pene accessorie degli effetti della sospensione condizionale.  
In secondo luogo, appare necessario fare riferimento ai principi generali che governano l’interpretazione delle disposizioni in materia di cause di esclusione.
Queste ultime, a norma dell’art. 10 del D.Lgs. n. 36/2023, rappresentano un elenco tassativo, e che perciò deve essere oggetto di un’applicazione ristretta e rigorosa in ossequio ai principi del favor partecipationis e della massima apertura concorrenziale, e nel rispetto della fiducia, della buona fede e del legittimo affidamento delle imprese che partecipano alle gare.
E infatti il Tar ha correttamente rilevato che “le cause di esclusione non possono essere interpretate estensivamente”, con ciò escludendo la possibilità di equiparare nel caso in esame la sentenza di patteggiamento a quella di condanna definitiva. 

Del resto, l’art. 94, comma 1, del D.Lgs. n. 36/2023 (a differenza dell’art. 80, comma 1, del D.Lgs. n. 50/2016) non contiene più alcun espresso riferimento alle sentenze adottate ex art. 444 c.p.p. nell’elenco delle fattispecie che conducono automaticamente all’esclusione dell’operatore, proprio in coerenza con l’avvenuta revisione in senso “ampliativo” dell’istituto del “patteggiamento” da parte della Riforma Cartabia.

In conclusione, le attuali disposizioni del D.Lgs. n. 36/2023 in materia di cause di esclusione automatica appaiono maggiormente conformi sia alle finalità perseguite dal legislatore nel riformare uno dei procedimenti speciali più rilevanti del Codice di procedura penale, sia agli stessi caratteri dell’istituto disciplinato dall’art. 444 c.p.p.

La sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti risulta, infatti, consistere in una pronuncia di condanna comunque fondata su un accertamento incompleto sulla responsabilità dell’imputato, data la sua “rinuncia” all’esercizio del diritto di difesa in cambio dei benefici ottenuti attraverso la “negoziazione” della pena, e visto anche che il giudice è chiamato ad assolvere chi formula la richiesta soltanto qualora emerga la palese sussistenza di una causa di proscioglimento ex art. 129 c.p.p.

È quindi possibile che un soggetto richieda di “patteggiare” pur ritenendo di essere innocente, e ciò proprio per usufruire di quel trattamento più mite che potrebbe non ottenere in caso di condanna (tra cui i benefici della sospensione condizionale della pena e delle pene accessorie, ovvero la totale esenzione da pene accessorie, qualora inseriti nel “progetto” di sentenza sottoposto al vaglio del giudice).

Pertanto, l’avvenuta “fuoriuscita” della sentenza di patteggiamento dall’elenco delle cause di esclusione automatica nel D.Lgs. n. 36/2023 appare non solo un potenziale ulteriore incentivo a ricorrere all’art. 444 c.p.p. per i soggetti sottoposti a procedimento penale che operano nelle imprese attive nel settore degli appalti pubblici, ma anche una restrizione del campo di applicazione delle disposizioni in materia di requisiti generali coerente con le peculiarità che contraddistinguono il grado di “affidabilità” del riconoscimento della responsabilità penale nel procedimento speciale esaminato.

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento