Sui limiti del ricorso per cassazione per “motivi inerenti la giurisdizione”, sul potere/dovere dei giudici nazionali di ultima istanza di operare il rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 del TFUE e sul tema relativo alla legittimazione dell’impresa esclusa dalla gara per una valutazione non positiva della propria offerta

Ernesto Papponetti 2 Dicembre 2020
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La violazione da parte del Consiglio di Stato del diritto dell’Unione europea, come interpretato dalla Corte di Giustizia, integra una violazione di legge, come tale incensurabile con lo strumento del ricorso per Cassazione o, invece, può costituire un <<motivo inerente alla giurisdizione>>, in termini di violazione di un “limite esterno” della giurisdizionale idoneo a giustificare l’attivazione del predetto rimedio ai sensi dell’art. 111, comma 8, Cost. e degli artt. 362, comma 1, c.p.c. e 110 c.p.a.?    

Nel settore degli appalti pubblici, è dunque ammissibile il ricorso per cassazione per <<motivi inerenti alla giurisdizione>> avverso la sentenza con cui il Consiglio di Stato dichiari il difetto della legittimazione e dell’interesse al ricorso dell’impresa esclusa dalla gara che pure ha proposto censure volte al travolgimento della gara stessa?    

Con l’ordinanza n. 19598/2020, pubblicata il 18 settembre 2020, la Corte di Cassazione ha richiesto alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 267 del TFUE di pronunciarsi in via pregiudiziale su tre distinte e correlate questioni di interpretazione del diritto dell’Unione europea, aventi incidenza sui limiti del ricorso per cassazione per <<motivi inerenti la giurisdizione>>, sul potere/dovere dei giudici nazionali di ultima istanza di operare il rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 del TFUE e sul tema, specifico del settore degli appalti pubblici, relativo alla legittimazione dell’impresa esclusa dalla gara per una valutazione non positiva della propria offerta (e non già per carenza dei requisiti di partecipazione) di contestare l’esito della gara sotto ogni profilo.         

I – La Fattispecie

La vicenda fattuale che ha condotto alla pronuncia in commento può essere così riassunta.

Un’Azienda sanitaria nazionale indiceva una procedura di gara aperta, da aggiudicare sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, finalizzata all’individuazione di un’agenzia per il lavoro cui affidare la somministrazione temporanea di personale e con previsione di una “soglia di sbarramento” per le offerte tecniche.

Uno degli operatori economici concorrenti veniva escluso dalla gara per mancato superamento di tale “soglia di sbarramento”, avendo ottenuto la sua offerta tecnica un punteggio inferiore a quello minimo richiesto.

  1. Il giudizio avanti al TAR.

L’operatore escluso impugnava avanti al TAR competente la propria esclusione e, con motivi aggiunti, l’aggiudicazione della gara ad altra impresa, deducendo vizi (quali l’irragionevolezza dei punteggi tecnici attribuiti alla propria offerta; l’inadeguata determinazione dei criteri e sub-criteri di valutazione delle offerte; l’illegittimità della nomina e della composizione della commissione di gara, etc.), finalizzati a ottenere la sua riammissione alla gara, ovvero il travolgimento e la conseguente ripetizione della stessa.  

L’Amministrazione resistente eccepiva l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione del ricorrente, per essere stato quest’ultimo escluso dalla gara.

Il TAR non accoglieva tale eccezione – rilevando che il ricorrente fosse stato escluso a causa della valutazione negativa della sua offerta tecnica e non già per carenza dei requisiti di ammissione e che, dunque, fosse legittimato a contestare l’esito della gara in ogni suo profilo-, ma rigettava i motivi di ricorso, giudicandoli infondati nel merito.

Avverso tale decisione veniva interposto appello principale da parte dell’operatore escluso ed appello incidentale dalle società controinteressate in primo grado, le quali criticavano la sentenza del TAR nella parte in cui aveva ritenuto ammissibili le censure dirette al travolgimento della gara, in quanto proposte da un soggetto – asseritamente – privo di legittimazione ad agire, in quanto escluso dalla gara.

  1. Il giudizio avanti al Consiglio di Stato.

Il Consiglio di Stato respingeva il motivo dell’appello principale, con cui l’operatore economico contestava la sentenza e l’illegittima attribuzione alla propria offerta di un punteggio insufficiente a garantire il superamento della “soglia di sbarramento” e, in accoglimento degli appelli incidentali, riformava la sentenza impugnata nella parte in cui venivano esaminati nel merito gli altri motivi di ricorso che – ad avviso del Consiglio di Stato  – avrebbero dovuto essere giudicati inammissibili per essere l’impresa ricorrente priva di legittimazione ad agire

Il Giudice d’appello non esaminava nel merito gli altri motivi del ricorso (sui criteri di valutazione delle offerte, sulla nomina e la composizione della Commissione di gara, sulla mancata suddivisione in lotti) diretti a provocare la caducazione della gara, osservando che l’operatore escluso sarebbe privo di legittimazione perché portatore di un interesse di mero fatto, analogo a quello di qualunque altro operatore che non avesse partecipato alla gara.

  1. Il giudizio avanti alla Corte di Cassazione.

La decisione del Consiglio di Stato veniva, pertanto, impugnata mediante ricorso per cassazione dall’operatore economico de quo, il quale deduceva la violazione degli artt. 362, comma 1, c.p.a. e 110 c.p.a. – per aver il Consiglio di Stato negato ad un soggetto escluso dalla gara la legittimazione e l’interesse a proporre censure volte al travolgimento della gara e alla ripetizione della stessa – e la conseguente violazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale codificato nell’art. 1, par. 1, terzo comma della Direttiva 665/1989/CEE.

A sostegno delle violazioni contestate, il ricorrente invocava la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, ed in particolare le note sentenze Lombardi (5.9.2019, C-333/18), Puligienica (5.4.2016, C-689/13) e Fastweb (4.7.2013, C-100/12), che avevano escluso la possibilità che l’eccezione e il ricorso incidentale dell’aggiudicatario di una gara di appalto, al fine di ottenere l’esclusione dalla gara o la conferma dell’esclusione di un altro partecipante, dovessero essere esaminati prioritariamente con effetti paralizzanti del ricorso principale, privando di conseguenza il concorrente escluso dell’interesse al ricorso e della legittimazione a contestare l’esito della gara, qualunque fosse il numero dei concorrenti.

Dal canto loro, le parti resistenti eccepivano, innanzitutto, l’inammissibilità del motivo di ricorso (contestandone poi in ogni caso anche la fondatezza), sul presupposto che lo stesso riguarderebbe un’ipotetica violazione di legge e non sarebbe di contro riconducibile ad una ipotesi di violazione dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa e, dunque, non integrerebbe “un motivo inerente alla giurisdizione”, idoneo a giustificare il mezzo attivato ai sensi dell’art. 11, comma 8 Cost. e ai sensi degli artt. 362, comma 1 c.p.c. e 110, c.p.a..

II – L’ordinanza n. 19598/2020 delle Sezioni Unite.

1.1. Le Sezioni Unite, investite della complessa vicenda, delineano in via preliminare il quadro delle disposizioni giuridiche degli ordinamenti euro-unitario e nazionale rilevanti con riferimento al caso in esame (e per il quale si rinvia al testo dell’Ordinanza: cfr. §§ 14, 15 e 16) ed affrontano la prima fondamentale questione che ha determinato la formulazione – nei termini di cui si dirà – del primo quesito alla Corte di Giustizia ex art. 267 TFUE.

Partendo dall’assunto che l’eventuale accoglimento dell’eccezione di inammissibilità sollevata dalle parti resistenti avrebbe determinato la definizione in rito della causa, la Corte evidenzia come – a suo avviso – la violazione denunciata costituirebbe “questione inerente alla giurisdizione” e sarebbe, dunque, censurabile come motivo di ricorso per cassazione; rileva, al contempo, come la possibilità di procedere all’esame del merito del ricorso sarebbe, tuttavia, ostacolata da una prassi interpretativa nazionale che, a partire (e nel solco dei principi enunciati) dalla sentenza della Corte costituzionale 18.1.2018, n. 6 stabilisce che la violazione da parte del Consiglio di Stato del diritto dell’Unione europea, come interpretato dalla Corte di Giustizia, integrerebbe una semplice violazione di legge, incensurabile con lo strumento del ricorso per cassazione (cfr. Ordinanza, § 28).

1.2. La sentenza della Corte costituzionale n. 6 del 2018.  E’ utile ricordare, al riguardo, che la suindicata sentenza della Consulta aveva chiarito in modo perentorio che <<L’«eccesso di potere giudiziario», denunziabile con il ricorso in cassazione per  motivi inerenti alla giurisdizione, come è sempre stato inteso, sia prima che dopo l’avvento della Costituzione, va riferito (…) alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, e cioè quando il Consiglio di Stato o la Corte dei conti affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all’amministrazione (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento); nonché a quelle di difetto relativo di giurisdizione, quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici.>> e che <<Il concetto di controllo di giurisdizione, così delineato nei termini puntuali che ad esso sono propri, non ammette soluzioni intermedie …>>.

Pertanto, alla stregua del delineato ambito di controllo sui “limiti esterni” alla giurisdizione, non solo <<non è consentita la censura di sentenze con le quali il giudice amministrativo o contabile adotti una interpretazione di una norma processuale o sostanziale tale da impedire la piena conoscibilità del merito della domanda>>, ma <<L’intervento delle sezioni unite, in sede di controllo di giurisdizione, nemmeno può essere giustificato dalla violazione di norme dell’Unione o della CEDU>>, risultando prive di pregio o comunque estranee ad una questione qualificabile come propriamente di giurisdizione le opposte tesi che invocano a proprio fondamento la necessaria operatività dei princìpi  della primazia del diritto comunitario, dell’effettività della tutela, del giusto processo e dell’unità funzionale della giurisdizione (cfr. Corte cost. n. 6/2018).

In definitiva, la tesi che il ricorso per cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, previsto dall’art. 111, comma 8, Cost. avverso le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti comprenda anche il sindacato su errores in procedendo e in iudicando non può qualificarsi come una interpretazione evolutiva, poiché non è compatibile con la lettera e lo spirito della norma costituzionale (art. 111, comma 8, cit.), la quale attinge il suo significato ed il suo valore dalla contrapposizione con il precedente comma settimo (art. 111, comma 7, Cost.) che prevede il ricorso generale in cassazione per violazione di legge contro le sentenze degli altri giudici, contrapposizione evidenziata dalla specificazione che il ricorso avverso le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti è ammesso per  <<i soli motivi inerenti  la giurisdizione>>.

1.3.  Ebbene, qualora si aderisca all’orientamento inaugurato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 6/2018, ogni ipotesi di violazione del diritto dell’Unione europea da parte dei giudici amministrativi sarebbe irrimediabile nell’ordinamento nazionale, se non in via indiretta e succedanea mediante il risarcimento del danno per responsabilità dello Stato.

Con l’ordinanza in commento le Sezioni Unite evidenziano la dubbia compatibilità di tale orientamento con il diritto dell’Unione osservando – in linea peraltro con la posizione della giurisprudenza nazionale di legittimità (cfr. Cass. SS.UU. n. 2242 del 2015 e n. 31226 del 2017) ed amministrativa (cfr. Cons. St. A.P., 9.6.2016, n. 11) anteriore alla sentenza della Consulta n. 6/2018 – che il giudice nazionale che faccia applicazione di normative nazionali (sostanziali o processuali) o di interpretazioni elaborate in ambito nazionale che risultino incompatibili con disposizioni del diritto dell’Unione europea applicabili alla controversia, come interpretate dalla Corte di Giustizia, esercita un potere giurisdizionale di cui è radicalmente privo ravvisandosi in ciò un caso tipico di difetto assoluto di giurisdizione  (per aver compiuto un’attività di diretta produzione normativa non consentita nemmeno al legislatore nazionale) censurabile per cassazione come motivo inerente alla giurisdizione, ai sensi dell’art. 111, comma 8, Cost. (e dagli artt. 362, comma 1, c.p.c. e 110 c.p.a.), a prescindere dall’essere la sentenza della Corte di Giustizia precedente o successiva alla sentenza amministrativa impugnata nel giudizio di cassazione.

A sostegno di tale tesi, le Sezioni Unite adducono plurime ragioni, rinvenibili specificatamente:

  • nella necessità di dare attuazione alle statuizioni della Corte di Giustizia UE, che hanno operatività immediata negli ordinamenti interni – al pari delle norme comunitarie direttamente applicabili cui ineriscono (sul punto, cfr. Corte cost. 13.7.2007, n. 284) – ed obbligano gli Stati membri ad adottare tutte le misure idonee ad adeguare il proprio ordinamento alle norme del diritto dell’Unione;
  • nell’obbligo degli Stati membri di dare leale attuazione al principio <<secondo cui il giudice nazionale è vincolato ai fini della soluzione della controversia principale, dall’interpretazione (…) fornita dalla Corte e deve eventualmente discostarsi dalle valutazioni dell’organo giudiziario di grado superiore qualora esso ritenga (…) che queste ultime non siano conformi al diritto dell’Unione>> (cfr., ex multis, Corte di Giustizia, Grande Sezione, 5.10.2010, C-173-09); del resto, l’effetto utile dell’art. 267 TFUE sarebbe attenuato se al giudice nazionale fosse impedito di applicare, immediatamente, il diritto dell’Unione in modo conforme ad una pronuncia o alla giurisprudenza della Corte (cfr., la nota sentenza Simmenthal, 106/77 e la sentenza Puligienica 4.2016, C-689/13);
  • nella circostanza che il rimedio del ricorso per cassazione (per motivi inerenti la giurisdizione) costituirebbe l’unico strumento diretto “per reagire” a violazioni del diritto dell’Unione imputabili a decisioni del Consiglio di Stato contrastanti con le sentenze della Corte di Giustizia, stante l’impossibilità di avvalersi dello strumento della revocazione (la stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 6 del 2018 aveva riconosciuto che questo << … problema indubbiamente esiste>>, ipotizzando che lo stesso avrebbe dovuto trovare << … soluzione all’interno di ciascuna giurisdizione eventualmente anche con un nuovo caso di revocazione di cui all’art. 395 c.c.>>);
  • nella dubbia conformità al principio di equivalenza di una prassi giurisprudenziale, quale è quella in discussione che, nelle controversie riguardanti l’applicazione del diritto nazionale ammette il ricorso per cassazione per difetto di potere giurisdizionale avverso le sentenze del Consiglio di Stato cui si imputi di aver svolto un’attività di produzione normativa invasiva delle attribuzioni del Legislatore, mentre nelle controversie aventi ad oggetto l’applicazione del diritto dell’Unione dichiari pregiudizialmente inammissibili i ricorsi per cassazione volti a denunciare il difetto di potere giurisdizionale del giudice che, elaborando ed applicando regole processuali di diritto nazionale, eserciti poteri di produzione normativa preclusi allo stesso legislatore nazionale, essendo esclusivamente riservati al legislatore comunitario;
  • nella difficoltà di conciliare la prassi giurisprudenziale che ritiene inammissibile il ricorso per cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, in una fattispecie come quella in esame, con il principio di effettività della tutela giurisdizionale, che trova specifico riconoscimento negli artt. 19, par. 1, comma 2 TUE e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonchè – in ambito nazionale – nello stesso art. 1 c.p.a..
  • nella dubbia conformità di tali prassi giurisprudenziale con il principio di certezza del diritto e di affidamento dei cittadini (cfr. Ordinanza, pp.18-25)

Significativo è, infine, il rilievo, che precede la formulazione del primo quesito, secondo il quale non osterebbe alla tesi propugnata la natura costituzionale dell’art. 111, comma 8, Cost., in quanto, secondo la costante giurisprudenza della Corte di Giustizia, il giudice nazionale sarebbe tenuto a garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione,  disapplicando, all’occorrenza le disposizioni (e le prassi interpretative) nazionali contrastanti  <<senza che ne debba chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale>> (cfr. tra le tante: Corte di Giustizia, Grande Sezione, 8 settembre 2015, C-105/14).

Il primo quesito rivolto alla Corte di Giustizia è, pertanto, il seguente:

<<Se l’art. 4, par. 3, art. 19, par. 1 TUE e art. 2, parr. 1 e 2, e art. 267 TFUE, letti anche alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, ostino ad una prassi interpretativa come quella concernente gli artt. 111 Cost., comma 8, art. 360, comma 1, n. 1 e art. 362 c.p.c., comma 1 e art. 110 codice del processo amministrativo – nella parte in cui tali disposizioni ammettono il ricorso per cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato per “motivi inerenti alla giurisdizione” – quale si evince dalla sentenza della Corte costituzionale n. 6 del 2018 e dalla giurisprudenza nazionale successiva che, modificando il precedente orientamento, ha ritenuto che il rimedio del ricorso per cassazione, sotto il profilo del cosiddetto “difetto di potere giurisdizionale”, non possa essere utilizzato per impugnare sentenze del Consiglio di Stato che facciano applicazione di prassi interpretative elaborate in sede nazionale confliggenti con sentenze della Corte di giustizia, in settori disciplinati dal diritto dell’Unione Europea (nella specie, in tema di aggiudicazione degli appalti pubblici) nei quali gli Stati membri hanno rinunciato ad esercitare i loro poteri sovrani in senso incompatibile con tale diritto, con l’effetto di determinare il consolidamento di violazioni del diritto comunitario che potrebbero essere corrette tramite il predetto rimedio e di pregiudicare l’uniforme applicazione del diritto dell’Unione e l’effettività della tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive di rilevanza comunitaria, in contrasto con l’esigenza che tale diritto riceva piena e sollecita attuazione da parte di ogni giudice, in modo vincolativamente conforme alla sua corretta interpretazione da parte della Corte di giustizia, tenuto conto dei limiti alla “autonomia procedurale” degli Stati membri nella conformazione degli istituti processuali.>>.

  1. Le Sezioni Unite evidenziano, peraltro, che laddove, nella fattispecie, si ritenesse ammissibile il ricorso per cassazione dell’operatore economico escluso, si imporrebbe la necessità di valutare – e in ciò risiede la seconda questione – la compatibilità della sentenza del Consiglio di Stato impugnata con il diritto dell’Unione con riferimento al tema della legittimazione del concorrente escluso a contestare la propria esclusione sulla base di censure dirette al travolgimento e alla ripetizione della gara.

Secondo le Sezioni Unite sarebbe, infatti, dubbia l’applicabilità, al caso di specie, dei principi espressi nei noti precedenti comunitari Lombardi e Puligienica, alla luce del fatto che, nella fattispecie in esame, non sarebbe in discussione la legittimità dell’ammissione alla gara (ovvero il possesso dei requisiti di partecipazione) del concorrente escluso, avendo questi censurato la valutazione della propria offerta effettuata dalla stazione appaltante e proposto ulteriori motivi (sui criteri di valutazione delle offerte, sulla nomina e sulla composizione della commissione di gara e sulla mancata suddivisione della gara in lotti) finalizzati al travolgimento della gara.

Questi ultimi motivi erano stati in particolare giudicati inammissibili dal Consiglio di Stato sul rilievo della asserita carenza di interesse del ricorrente escluso a coltivare l’impugnativa.

Le Sezioni Unite ritengono che sulla questione dovrebbe essere interpellata la Corte di Giustizia mediante rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE e osservano che, tuttavia, l’attuale orientamento della giurisprudenza delle stesse Sezioni Unite è nel senso di escludere sia la possibilità per queste ultime di operare siffatto rinvio pregiudiziale sia la censurabilità mediante ricorso per cassazione dell’omissione immotivata del rinvio pregiudiziale da parte del Consiglio di Stato in materie disciplinate dal diritto dell’Unione.

Ritiene, al riguardo, il Collegio che il giudice nazionale, il quale, in assenza delle condizioni tassativamente indicate dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia che lo esonerano dall’obbligo di rinvio pregiudiziale, ometta senza motivare di effettuare tale rinvio e decida la causa, interpretando direttamente le norme non chiare del diritto dell’Unione, invade le attribuzioni esclusive della Corte di Giustizia, perché esercita un potere giurisdizionale di cui è privo, con la conseguenza, per un verso,  che la relativa decisione dovrebbe potere essere contestata mediante ricorso per cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione e, per altro verso, che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, investite della questione, dovrebbero poter effettuare direttamente il rinvio pregiudiziale al fine di accertare l’esatta interpretazione del diritto dell’Unione e la compatibilità della sentenza impugnata con il diritto dell’Unione.

Il secondo quesito rivolto alla Corte di Giustizia è, pertanto, il seguente:

<<Se l’art. 4, par. 3, art. 19, par. 1 TUE e art. 267 TFUE, letti anche alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, ostino alla interpretazione e applicazione dell’art. 111 Cost., comma 8, art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1 e art. 362 c.p.c., comma 1, e art. 110 del codice processo amministrativo, quale si evince dalla prassi giurisprudenziale nazionale, secondo la quale il ricorso per cassazione dinanzi alle Sezioni Unite per “motivi inerenti alla giurisdizione”, sotto il profilo del cosiddetto “difetto di potere giurisdizionale”, non sia proponibile come mezzo di impugnazione delle sentenze del Consiglio di Stato che, decidendo controversie su questioni concernenti l’applicazione del diritto dell’Unione, omettano immotivatamente di effettuare il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, in assenza delle condizioni, di stretta interpretazione, da essa tassativamente indicate (a partire dalla sentenza 6 ottobre 1982, Cilfit, C-238/81) che esonerano il giudice nazionale dal suddetto obbligo, in contrasto con il principio secondo cui sono incompatibili con il diritto dell’Unione le normative o prassi processuali nazionali, seppure di fonte legislativa o costituzionale, che prevedano una privazione, anche temporanea, della libertà del giudice nazionale (di ultimo grado e non) di effettuare il rinvio pregiudiziale, con l’effetto di usurpare la competenza esclusiva della Corte di Giustizia nella corretta e vincolante interpretazione del diritto comunitario, di rendere irrimediabile (e favorire il consolidamento del) l’eventuale contrasto interpretativo tra il diritto applicato dal giudice nazionale e il diritto dell’Unione e di pregiudicare la uniforme applicazione e la effettività della tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive derivanti dal diritto dell’Unione.>>

  1. La terza questione oggetto di disamina da parte delle Sezioni Unite assume una rilevanza più “pratica” e attiene alla compatibilità della decisione assunta dal Consiglio di Stato, che ha ritenuto inammissibili per carenza di legittimazione ad agire le censure della ricorrente volte a contestare la propria esclusione, con i principi del diritto dell’Unione più volte espressi dalla Corte di Giustizia, secondo cui la posizione del concorrente ad una gara di appalto che, contestando la propria esclusione proponga censure miranti ad ottenere il travolgimento dell’aggiudicazione al concorrente controinteressato e la ripetizione della gara non è assimilabile a quella dell’operatore che non abbia mai partecipato alla gara, fino a quando non si sia formato il giudicato sulle ragioni della sua impugnazione. Osservano le Sezioni Unite come non si possa, infatti, escludere che anche se l’offerta del ricorrente principale sia giudicata irregolare, l’Amministrazione constati l’impossibilità di scegliere un’altra offerta regolare e la necessità di procedere di conseguenza all’indizione di una nuova gara, evidenziandosi pertanto l’interesse legittimo dello stesso ricorrente escluso all’esclusione dell’offerta dell’aggiudicatario e alla ripetizione della gara.

Il terzo quesito rivolto alla Corte di Giustizia è pertanto il seguente:

<<Se i principi dichiarati dalla Corte di Giustizia con le sentenze 5 settembre 2019, Lombardi, C-333/18; 5 aprile 2016, Puligienica, C-689/13; 4 luglio 2013, Fastweb, C100/12, in relazione agli artt. 1, par. 1 e 3, e 2, par. 1, della direttiva 89/665/CEE, modificata dalla direttiva 2007/66/CE, siano applicabili nella fattispecie che è oggetto del procedimento principale, in cui, contestate dall’impresa concorrente l’esclusione da una procedura di gara di appalto e l’aggiudicazione ad altra impresa, il Consiglio di Stato esamini nel merito il solo motivo di ricorso con cui l’impresa esclusa contesti il punteggio inferiore alla “soglia di sbarramento” attribuito alla propria offerta tecnica e, esaminando prioritariamente i ricorsi incidentali dell’amministrazione aggiudicatrice e dell’impresa aggiudicataria, li accolga dichiarando inammissibili (e ometta di esaminare nel merito) gli altri motivi del ricorso principale che contestino l’esito della gara per altre ragioni (per indeterminatezza dei criteri di valutazione delle offerte nel disciplinare di gara, mancata motivazione dei voti assegnati, illegittima nomina e composizione della commissione di gara), in applicazione di una prassi giurisprudenziale nazionale secondo la quale l’impresa che sia stata esclusa da una gara di appalto non sarebbe legittimata a proporre censure miranti a contestare l’aggiudicazione all’impresa concorrente, anche mediante la caducazione della procedura di gara, dovendosi valutare se sia compatibile con il diritto dell’Unione l’effetto di precludere all’impresa il diritto di sottoporre all’esame del giudice ogni ragione di contestazione dell’esito della gara, in una situazione in cui la sua esclusione non sia stata definitivamente accertata e in cui ciascun concorrente può far valere un analogo interesse legittimo all’esclusione dell’offerta degli altri, che può portare alla constatazione dell’impossibilità per l’amministrazione aggiudicatrice di procedere alla scelta di un’offerta regolare e all’avvio di una nuova procedura di aggiudicazione, alla quale ciascuno degli offerenti potrebbe partecipare.>>

***

Le questioni analizzate ed i percorsi argomentativi delineati nell’Ordinanza in commento impongono una rinnovata  riflessione su diversi temi ed, in particolare, sul rapporto, nell’ordinamento interno, tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione (speciale) amministrativa, soprattutto alla luce degli ormai sempre più rarefatti contorni delle figure soggettive dell’interesse legittimo e del diritto soggettivo; sulla reale esigenza che, nel sistema della giustizia amministrativa, venga definitivamente individuato un “unico” giudice di ultima istanza, processo che, tuttavia, non può costituire l’esito di interpretazioni estensive di singole prescrizioni della Carta costituzionale, o ancora sul rapporto tra il giudice nazionale e la Corte di Giustizia e se questo sia di “alternatività” o  di “complementarità”, nel senso che il giudice nazionale è egli stesso interprete del diritto dell’Unione europea.

A questo tema rimane indissolubilmente collegata la doppia questione oggetto dei primi due quesiti, ovvero se la non sindacabilità da parte della Corte di Cassazione ex art. 111, comma 8, Cost. delle violazioni del diritto dell’Unione europea ed il mancato rinvio pregiudiziale ascrivibili alle sentenze pronunciate dal Consiglio di Stato (ed in generale dagli organi di vertice delle magistrature speciali) siano compatibili con il diritto dell’Unione europea.

Rispetto a tale ultimo profilo, se, da un lato, si evidenzia il cambio di rotta che parrebbero volere intraprendere le Sezioni Unite, le quali già nel 1984 avevano escluso la denunciabilità mediante ricorso per cassazione “per motivi inerenti alla giurisdizione” dell’omissione del rinvio pregiudiziale obbligatorio da parte del Consiglio di Stato “atteso che la relativa questione non pone in discussione la giurisdizione del Consiglio di Stato medesimo, ma l’inosservanza di una regola processuale, sul presupposto della sussistenza di tale giurisdizione”(Cass., Sez. Un. 25.5.1984, n. 3223), dall’altro, occorre registrare un recentissimo arresto delle stesse Sezioni Unite, le quali, con l’ordinanza n. 24107 del 30.10.2020, hanno affermato che <<la questione pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia costituisce elemento processuale interno al processo senza che essa risulti suscettibile di divenire oggetto di autonoma valutazione nell’ambito del sindacato di cui all’art. 111 Cost., comma 8>>> e che, pertanto, <<l’attivazione del rinvio pregiudiziale su questione interpretativa – art. 267, par. 1, lett. a) TFUE  – e specularmente, la mancata attivazione non presuppongono mai la cessione di potere giurisdizionale o comunque il travalicamento della giurisdizione della Corte di Giustizia>>.

L’apparente aperto contrasto di tali conclusioni con il contenuto dell’ordinanza qui in commento viene risolto dalle Sezioni Unite sulla base della considerazione per cui la richiesta di dialogo con la Corte di Giustizia attivata con l’ordinanza n. 19598/2020 non assumerebbe rilievo nel caso esaminato dall’ordinanza n. 24107/2020, in cui il giudice speciale non avrebbe omesso immotivatamente di effettuare il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, ma, al contrario, avrebbe motivatamente escluso la ricorrenza dei presupposti per il rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE.

Inoltre, a differenziare le due vicende opererebbe l’ulteriore circostanza che, nel primo caso, la richiesta di chiarimento avrebbe riguardato esclusivamente le ipotesi di palese violazione del diritto UE eventualmente poste a base del ricorso per eccesso di potere giurisdizionale, ipotesi non ricorrente nel caso esaminato dalla più recente ordinanza n.24107/2020, nel quale non era stata posta in discussione l’erroneità della decisione del Consiglio di Stato impugnata per violazione di parametri utilizzati dal giudice amministrativo rispetto al diritto dell’Unione europea, ma era stato soltanto prospettato il travalicamento della giurisdizione della Corte di Giustizia per mancata attivazione del rinvio pregiudiziale.

Tali argomentazioni non sembrano del tutto persuasive e si rimane, pertanto, in attesa di conoscere le decisioni dei Giudici del Lussemburgo, i quali dovranno anche chiarire (o confermare?), per quanto più di interesse con specifico riferimento al settore degli appalti pubblici, se vada riconosciuta la legittimazione dell’operatore escluso/ricorrente a contestare la propria esclusione e l’esito della gara qualunque sia la ragione che questi opponga.

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