Suddivisione in lotti e fattispecie di collegamento o controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c.: sul divieto di cui all’art. 80, comma 5, lett. m Codice dei contratti pubblici (anche in rapporto al vincolo di partecipazione/aggiudicazione)

Consiglio di Stato, sez. V, 9 giugno 2022, N. 4718

Sandro Mento 28 Giugno 2022
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Suddivisione in lotti – Art. 51 Codice dei contratti pubblici – Procedura di gara unitaria multi-lotto – Procedura di gara a oggetto plurimo – Fattispecie di collegamento o controllo tra imprese – Art. 2359 c.c. – Art. 80, comma 5, lett. m Codice dei contratti pubblici – Vincolo di partecipazione – Vincolo di aggiudicazione – Discrezionalità della stazione appaltante – Divieto – Non opera

In presenza di una procedura non unitaria multi-lotto, ma di più procedure di gara bandite con atti plurimi e dunque separabili e distinte, deve escludersi che le situazioni di collegamento/controllo rappresentate in atti dai concorrenti, al di là della loro reale consistenza, possano ingenerare una qualche preclusione, ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. m Codice dei contratti pubblici, a partecipare a più lotti, operando le rispettive offerte in diversi contesti concorsuali non vicendevolmente contaminabili.

 L’art. 51 Codice dei contratti pubblici, al comma 1, esprime un principio di carattere (tendenzialmente) doveroso, per cui le gare devono essere suddivise in lotti, salvo diversa e motivata determinazione della stazione appaltante. I commi 2 e 3 della norma esprimono, invece, regole facoltative: quelle per cui le singole imprese possono rispettivamente partecipare (comma 2, “vincolo di partecipazione”) solo a taluni lotti, oppure aggiudicarsi (comma 3, “vincolo di aggiudicazione”) un numero limitato di lotti in cui è divisa la gara.

 In una procedura di gara suddivisa in lotti è la stazione appaltante a stabilire se introdurre un vincolo di partecipazione e/o di aggiudicazione e se, una volta introdotto tale vincolo, lo stesso trovi o meno applicazione anche per le imprese in rapporto di collegamento/controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c., ossia in situazioni sostanzialmente riconducibili allo stesso centro decisionale.   

Consiglio di Stato, sez. V, 9 giugno 2022, n. 4718 

Il caso di specie

La vicenda in esame nasce dalla contestazione degli esiti di una gara svolta da Consip s.p.a. In particolare, la centrale di committenza bandiva una procedura di accordo quadro (art. 54 Codice dei contratti pubblici) per l’affidamento di servizi applicativi in ottica cloud e di program management office (PMO) per le pubbliche amministrazioni (centrali e locali). La gara veniva suddivisa in 9 lotti merceologici, dimensionali e geografici: n. 2 lotti applicativi “grandi contratti” (per appalti specifici di importo superiore a 5.000.000 di euro), n. 3 lotti applicativi “medi-piccoli contratti” (per appalti specifici di importo uguale o inferiore a 5.000.000 di euro), n. 4 lotti PMO.

La stazione appaltante prevedeva, inoltre, sia un vincolo di partecipazione tra i lotti applicativi e i lotti PMO, sia, nell’ambito dei soli lotti applicativi, tra i lotti “grandi contratti” e i lotti “medi-piccoli contratti”. I concorrenti, in quest’ultimo caso, avrebbero potuto presentare un’offerta per uno o più dei lotti “grandi contratti”, oppure, in alternativa, per uno o più dei lotti “medi-piccoli contratti”. Qualora il concorrente avesse formulato offerte per entrambe le tipologie di questi lotti, la domanda si sarebbe considerata presentata esclusivamente per i “grandi contratti”.

La stazione appaltante, in ogni caso (e qui è il punto controverso della questione), prevedeva nel bando che i vincoli di partecipazione (tra lotti applicativi e lotti PMO e tra lotti “grandi contratti” e “medi-piccoli contratti”) non avrebbero operato per le imprese che si fossero trovate tra loro in situazioni di collegamento/controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c., anche qualora, in ragione delle condotte poste in essere, versassero in una situazione di unicità di centro decisionale, dato che l’eventuale conoscenza reciproca delle offerte non sarebbe stata suscettibile di alterare la leale competizione nelle distinte procedure (lotti applicativi/lotti PMO) cui avessero partecipato.

Dunque, queste imprese (imprese “grandi” e imprese “medio-piccole”), pur se riconducibili a un unico centro decisionale, avrebbero potuto parallelamente partecipare alle aree contrattuali di rispettiva appartenenza (lotti applicativi “grandi contratti” e “medi-piccoli contratti”) senza il rischio di violare la previsione di cui all’art. 80, comma 5, lett. m) Codice dei contratti pubblici (e cioè la causa di esclusione prevista per l’operatore che si trovi, rispetto a un altro partecipante alla medesima procedura di affidamento, in una situazione di controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c. o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte risultino imputabili a un unico centro decisionale).

La causa di esclusione dell’art. 80, comma 5, lett. m), cit., in ogni caso, si sarebbe applicata alle ipotesi di partecipazione all’interno di ciascun lotto applicativo dei “grandi contratti” e “medi-piccoli contratti” (e, va da sé, anche ai lotti PMO).

Svolta la gara, la clausola del bando che escludeva il vincolo di partecipazione per le imprese in situazioni di collegamento/controllo produceva dirette conseguenze sugli esiti della competizione: i primi tre operatori classificati in ognuna delle tre gare per i lotti medio-piccoli facevano parte dello stesso centro decisionale cui appartenevano i soggetti che si aggiudicavano le prime posizioni dei due lotti riservati ai grandi contratti.

Contro gli esiti della gara insorgeva, quindi, un’azienda (in proprio e nella qualità di mandataria di R.T.I.), la quale lamentava la violazione sia dell’art. 80, comma 5, lettera m) sia dell’art. 51 del Codice dei contratti pubblici (e cioè della norma che disciplina la suddivisione in lotti).

Il TAR Lazio respingeva il ricorso facendo leva, in sostanza, sulla assenza di unicità della gara nel suo complesso. A ognuno dei nove lotti corrispondeva, in altre parole, una gara a sé stante con peculiari caratteristiche. Di conseguenza, non sarebbe risultato applicabile il divieto di cui all’art. 80, comma 5, lett. m) Codice, perché la situazione di collegamento/controllo non avrebbe potuto influire sull’andamento della procedura del singolo lotto compreso nei grandi contratti o nei medi-piccoli contratti.

Quanto, invece, alla violazione dell’art. 51 dello stesso Codice, il giudice di primo grado riteneva che il vincolo di “partecipazione” (e cioè l’impossibilità, per la stessa impresa, di partecipare contemporaneamente a due o più dei lotti in cui risulta suddiviso l’appalto, regola che costituisce una delle applicazioni del principio della suddivisione in lotti) avrebbe operato soltanto in presenza di una espressa previsione del bando di gara, il quale, diversamente, non prevedeva alcunché.

La sentenza TAR veniva appellata sia perché la procedura di gara – a detta della parte – avrebbe contenuto diversi elementi idonei a connotarne la sostanziale unicità, e ciò con ogni conseguenza in merito alla violazione dell’art. 80, comma 5, lett. m) Codice, sia, in ogni caso, perché dal primo giudice non sarebbe stato colto il particolare profilo, legato alla disposizione pro-concorrenziale introdotta nella legge di gara, estrinsecatosi nel vincolo di partecipazione, che avrebbe impedito, se considerato l’art. 2359 c.c., la partecipazione delle imprese tra loro collegate/controllate alle due categorie di appalti specifici (e cioè grandi contratti e medi-piccoli contratti).

La decisione del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato, in esito a un’articolata disamina di tutte le questioni poste dall’appello, ha infine respinto il gravame confermando la sentenza di prime cure.

Il giudice, innanzitutto, ha identificato la natura della gara contestata, che è stata riconosciuta quale “atto a oggetto plurimo” e non quale procedura unitaria multilotto. Dunque, con la gara in esame, Consip ha inteso bandire – con atti plurimi – più affidamenti separati e distinti, quindi, più procedure di evidenza pubblica. In questi casi, ha spiegato il giudice, trova applicazione quel dato orientamento giurisprudenziale secondo cui la gara non possiede carattere unitario, poiché a ciascun lotto corrisponde una procedura finalizzata all’aggiudicazione di un distinto contratto.

Secondo il Consiglio di Stato è quindi da condividere l’affermazione del TAR, contenuta nella sentenza di primo grado (TAR Lazio, Roma, sez. II, 23 novembre 2021, n. 12084), secondo cui deve escludersi che le situazioni di collegamento/controllo (ai sensi dell’art. 2359 c.c.) rappresentate dalle ricorrenti: “possano aver ingenerato una qualche preclusione ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. m), del d.lgs. n. 50/2016, avendo le rispettive offerte operato in diversi contesti concorsuali non vicendevolmente contaminabili nell’ottica di un eventuale turbativa delle rispettive procedure e graduatorie e dei conseguenti separati provvedimenti di aggiudicazione”.

Le offerte presentate dalle imprese collegate/controllate, pur sostanzialmente riconducibili a uno stesso centro decisionale, sono state proposte in gare distinte per l’affidamento di lotti diversi. Ciò conferma, a detta del giudice, quell’orientamento che considera non applicabile l’art. 80, comma 5, lett. m) Codice dei contratti pubblici: “nell’ipotesi in cui le offerte presentate dalle imprese si riferiscano a lotti diversi; ciò in quanto un bando di gara pubblica, suddiviso in lotti, costituisce un atto ad oggetto plurimo e determina l’indizione non di un’unica gara, ma di tante gare, per ognuna delle quali vi è un’autonoma procedura che si conclude con un’aggiudicazione”. E che pertanto: “la rilevanza del collegamento societario, anche alla luce delle chiare ed univoche prescrizioni della lex specialis, non può che essere limitata alla sola ipotesi in cui le imprese collegate concorrano alla medesima procedura e dunque presentino offerte in competizione nel medesimo lotto” (si cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 dicembre 2021, n. 8245; Cons. Stato, sez. V, 12 febbraio 2020, n. 1071; Cons. Stato, sez. V, 12 febbraio 2020, n. 1070).

Esaminato il tema del collegamento/controllo societario ai sensi dell’art. 2359 c.c., in rapporto a una gara a oggetto plurimo, il Consiglio di Stato ha poi verificato il contenuto dell’art. 51 d.lgs. n. 50/2016 (la norma sulla suddivisione in lotti), regola che il giudice d’appello ha analizzato guardando in particolare ai commi 2 e 3 (che disciplinano, rispettivamente, il “vincolo di partecipazione” e il “vincolo di aggiudicazione”), letti in “combinato” (ancora una volta) con il divieto portato dall’art. 80, comma 5, lett. m) Codice.

Il Consiglio di Stato è partito dai principi espressi dall’art. 51, cit. Il comma 1 stabilisce un criterio di carattere generale (e tendenziale): le gare, per favorire la partecipazione di più operatori (e segnatamente di quelli medi e piccoli), devono essere suddivise in lotti, salvo diversa e motivata determinazione contraria della stazione appaltante. I commi 2 e 3 della disposizione, invece, esprimono delle regole pro-concorrenziali (o di concorrenza sostanziale), ma facoltative (è quindi l’amministrazione aggiudicatrice che decide se e come introdurle): quelle per cui le singole imprese possono rispettivamente partecipare (comma 2, “vincolo di partecipazione”) o aggiudicarsi (comma 3, “vincolo di aggiudicazione”) solo un numero limitato di lotti in cui la gara è suddivisa.

Nella fattispecie, chiarisce il Consesso, Consip ha rispettato la regola della suddivisione in lotti e ha introdotto solo uno dei vincoli possibili, ai sensi dei menzionati commi 2 e 3, prevedendo quello di partecipazione (impossibilità di partecipare, contemporaneamente, ai lotti PMO e ai lotti applicativi e, in questo secondo caso, ai lotti grandi contratti e lotti medi-piccoli contratti), vincolo peraltro non esteso, come si è visto, alle imprese collegate/controllate.

La stazione appaltante, invece, non ha introdotto alcun vincolo di aggiudicazione. Per l’effetto, proprio perché non ha individuato tale “blocco”, ha (ovviamente) stabilito di non ritenere operante (per i lotti compresi nei grandi contratti e nei medi-piccoli contratti) neppure il concetto di vincolo di aggiudicazione “allargato” all’unitario centro decisionale ai sensi dell’art. 2359 c.c. (con il correlato divieto ex art. 80, comma 5, lett. m Codice), opzione che, derivando dal vincolo di aggiudicazione disciplinato dall’art. 51, cit., è parimenti rimessa alla discrezionalità della P.A.

Più in generale, secondo la tesi del giudice, la discrezionalità ex art. 51 Codice, commi 2 (vincolo di partecipazione) e 3 (vincolo di aggiudicazione), se si esercita nell’an, trova, a fortiori, integrazione nel quomodo e cioè nella scelta di estendere o meno tale vincolo anche alle società che formano un unico centro decisionale.

Pertanto, deve essere la stazione appaltante a stabilire se, una volta introdotto un simile vincolo (di partecipazione e/o di aggiudicazione), lo stesso trovi o meno applicazione anche per le imprese in rapporto di collegamento/controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c., ossia in situazione di “sostanziale identità soggettiva dal punto di vista economico e patrimoniale” (Cons. Stato, sez. V, 27 settembre 2021, n. 6481).

In altri termini, è l’amministrazione aggiudicatrice a scegliere se un tale vincolo si applichi o meno anche a soggetti formalmente distinti ma sostanzialmente uniti, in quanto appartenenti allo stesso gruppo societario o comunque in rapporto di controllo societario (conclusioni di questo genere, riporta il giudice d’appello, sono altresì ricavabili da Cons. Stato, sez. V, n. 8245/2021, cit.).

Nel silenzio della legge di gara, prosegue ancora il Consiglio di Stato, l’eventuale vincolo di partecipazione/aggiudicazione non si estende “automaticamente” anche alle imprese sostanzialmente riconducibili allo stesso centro decisionale, fatta salva l’espressa indicazione in tal senso nel bando e sempreché, aggiungiamo noi, la procedura – ancorché suddivisa in lotti – non sia (nei fatti) configurabile quale gara unitaria multilotto e quindi, in sostanza, un’unica gara divisa solamente in più parti.

In ogni caso, è bene ribadirlo, l’operatività (senza deroghe o limiti) del divieto frutto del combinato degli artt. 2359 c.c. e 80, comma 5, lett. m) Codice si esplica senza limitazioni di sorta nel caso in cui due o più imprese, soggette a collegamento/controllo, concorrano alla medesima procedura presentando offerte in competizione per lo stesso lotto (e ciò a prescindere dalla configurazione della gara: procedura unitaria multilotto o atto a oggetto plurimo).

Fermo quanto evidenziato, in definitiva, sostiene il giudice amministrativo, è tutta una questione di equilibrio tra opposte tendenze o “principi” (logiche pro-concorrenziali da un lato, esigenza di non volersi privare della partecipazione di coloro che appaiono, almeno in teoria, i soggetti più qualificati sul mercato dall’altro lato).

Forme di restrizione per le società collegate o controllate (o comunque riconducibili allo stesso centro decisionale) vanno modulate caso per caso, tenendo presente la natura della gara e quelle che sono – in concreto – le singole condizioni del segmento di mercato su cui si va a operare; diversamente, non dosando “saggiamente” le conseguenze prodotte dall’applicazione di tali principi,  l’effetto sarebbe quello: “di incidere negativamente sull’interesse pubblico ad aggiudicare l’appalto alle migliori condizioni tecniche ed economiche” (Cons. Stato, sez. III, 20 gennaio 2021, n. 627).

In conclusione, per il Consiglio di Stato, sussiste l’obbligo (tendenziale) di suddividere in lotti funzionali e prestazionali la gara, ma non anche quello di riservare taluni lotti medesimi alle piccole-medie imprese. Dunque, rileva: “la presenza di una facoltà distributiva (proconcorrenziale) e non di un «obbligo distributivo» in tal senso”.

Alcuni profili ricostruttivi

Sul tema della suddivisione in lotti dell’appalto e sulla causa di esclusione per le imprese collegate/controllate (art. 2359 c.c.) configurata dall’art. 80, comma 5, lett. m) Codice dei contratti pubblici (che a tal proposito richiama proprio il contenuto della norma del codice civile) si possono svolgere alcune considerazioni di carattere ricostruttivo.

Sebbene esistente già nella legge quadro in materia di lavori pubblici (l. 11 febbraio 1994, n. 109, art. 10, comma 1 bis) un divieto di partecipazione alle gare per le imprese ricadenti in fattispecie di collegamento o controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c. (divieto operativo tramite un meccanismo di presunzione iuris et de iure), il (diverso) concetto di imputabilità dell’offerta a un “unico centro decisionale” ha trovato la sua prima codificazione nel d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (art. 38, comma 1, lett. m-quater; la norma è stata introdotta dall’art. 3, comma 1 d.l. 25 settembre 2009, n. 135 al fine di conformare l’ordinamento ai rilievi della Corte di giustizia UE, 19 maggio 2009, in causa n. C-538/07) e, in seguito, con disposizione analoga, nel citato art. 80 d.lgs. n. 50/2016.

Prima della codificazione, quindi, solo in via pretoria era stato posto un argine a quelle ipotesi di “collegamento” tra ditte concorrenti che – pur non configurando necessariamente un caso rientrante nella fattispecie civilistica – non di meno dimostravano l’esistenza di un comune centro di imputazione di interessi, a volte “occulto” (e consistente in una sorta di fenomeno simulatorio di gruppo societario, con intermediazione di società apparentemente controllate, ma di fatto coincidenti con le controllanti, di modo che gli affidamenti aggiudicati alle prime finivano per essere, in concreto, attribuiti a queste ultime).

Entrambe le disposizioni (del vecchio Codice dei contratti e del Codice del 2016), attraverso la medesima formulazione lessicale, stabilivano (e stabiliscono) l’esclusione dell’operatore economico che si trovi, rispetto a un altro partecipante alla stessa procedura di affidamento, in una situazione di controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c. o in una qualsiasi altra relazione, anche di fatto, se tale condizione comporti che le offerte:
1) risultino imputabili a un unico centro decisionale;
2) siano in grado di alterare lo svolgimento della gara (quindi, se l’unicità del centro decisionale non pregiudica il libero gioco della concorrenza non si integra il divieto e non si prevedono sanzioni: si v. Cons. Stato, sez. V, 4 gennaio 2018, n. 58; in termini probabilistici si esprime, invece: Cons. Stato, sez. IV, 22 aprile 2021, n. 3255).

Nelle norme – e, per quanto ci riguarda, nell’art. 80, comma 5, lett. m) oggi vigente – non v’era (e non v’è) traccia di ipotesi (tipizzate legislativamente) idonee a circoscrivere tale unico “centro di controllo”, in tal senso rinviandosi direttamente a quanto descritto dal codice civile.

La conseguenza di tale impostazione (per certi versi ineludibile, data la moltitudine indefinita di possibili combinazioni idonee a essere ricondotte sia nella norma civilistica sia – e tanto più – nel divieto del Codice dei contratti) è stata la coesistenza di più interpretazioni giurisprudenziali, oscillanti tra un garantismo a volte eccessivo (in presenza di elementi di collegamento non equivocabili tra imprese ricorrenti) e una “presunzione” di illegittimità talora individuata in elementi solo casuali o sottratti a un’analitica disamina (si v. i casi dei vincoli di parentela esistenti fra amministratori e procuratori ad negozia di imprese tra loro in competizione, le ipotesi di comunanza solo dell’organo amministrativo di vertice delle aziende oppure le fattispecie di similitudine fra offerte concorrenti: per una disamina, si v. Cons. Stato, sez. V, 7 gennaio 2022, n. 48).

Così, fra le cause di esclusione dalle gare pubbliche (e quindi nella prospettiva della disciplina degli appalti), sono state riconosciute quali ipotesi rilevanti, in disparte i casi previsti dall’art. 2359 c.c., anche fattispecie non codificate di collegamento sostanziale tra imprese, le quali, attestando comunque la riconducibilità dei soggetti partecipanti alla procedura a un “unico centro decisionale”, causavano (o potevano causare) la vanificazione dei principi generali in tema di “par condicio”, segretezza delle offerte e trasparenza della competizione: “risultando [peraltro] ininfluente che la rilevanza del collegamento anche sostanziale sia stata o meno esplicitata nel bando di gara, non potendosi a tal fine rinvenire alcun ostacolo nel contenuto delle disposizioni di cui al citato art. 2359 c.c.” (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II bis, 31 ottobre 2017, n. 10859).

Anche in materia, poi, opera il meccanismo di presunzione iuris tantum. Quindi, in caso di collegamento sostanziale, la sussistenza di una turbativa al corretto svolgimento della procedura concorsuale (e quindi un’alterazione dei principi posti a presidio della gara e delle offerte) deve essere provata in concreto (e ammette la prova contraria). Pertanto, devono sussistere elementi oggettivi e concordanti tali da ingenerare un pericolo per il rispetto dei principi di segretezza, serietà delle offerte e par condicio tra i concorrenti (in tal senso, si v. Cons. Stato, sez. VI, 6 settembre 2010, n. 6469; nel Codice del 2006, invero, si limitava ulteriormente la presunzione parlandosi di “univoci elementi” tesi a dimostrazione l’unicità del centro decisionale: art. 38, comma 2 d.l.gs. n. 163/2006: si v. Cons. Stato, sez. III, 10 maggio 2017, n. 2173).

Per dimostrare la presenza di rischi per la gara è necessario procedere a un’indagine ispirata a un approccio gradualista e progressivo: “l’accertamento della causa di esclusione passa attraverso un preciso sviluppo istruttorio: a) la verifica della sussistenza di situazione di controllo sostanziale ai sensi dell’art. 2359 codice civile; b) esclusa tale forma di controllo, la verifica dell’esistenza di una relazione tra le imprese, anche di fatto, che possa in astratto aprire la strada ad un reciproco condizionamento nella formulazione delle offerte; c) ove tale relazione sia accertata, la verifica dell’esistenza di un «unico centro decisionale» da effettuare ab externo e cioè sulla base di elementi strutturali o funzionali ricavati dagli assetti societari e personali delle società, ovvero, ove per tale via non si pervenga a conclusione positiva, mediante un attento esame del contenuto delle offerte dal quale si possa evincere l’esistenza dell’unicità soggettiva sostanziale” (Cons. Stato, sez. V, 3 gennaio 2019, n. 69; Id., 10 gennaio 2017, n. 39; Cons. Stato, sez. III, 7 marzo 2019, n. 1577; si cfr. anche Cons. Stato, sez. V, 28 dicembre 2020, n. 8407; Id. 12 gennaio 2021, n. 393; Cons. Stato, sez. VI, 31 agosto 2021, n. 6119).

Altra questione affrontata dalla sentenza riguarda il tema del collegamento/controllo sostanziale tra imprese (in relazione al descritto divieto del Codice dei contratti pubblici) in caso di suddivisione della gara in lotti.

In questo caso, l’orientamento prevalente – richiamato anche nella decisione in esame – tende a non fare applicazione del precetto stabilito dall’art. 80, comma 5, lett. m) d.lgs. n. 50/2016 nell’ipotesi in cui le offerte presentate dalle imprese si riferiscano a lotti diversi.

La norma, in tal caso, sarebbe inapplicabile perché una procedura di affidamento suddivisa in lotti costituirebbe un atto a “oggetto plurimo” (si v. però le considerazioni infra), determinando così non l’indizione di un’unica gara, ma di tante gare, per ognuna delle quali vi sarebbe un’autonoma fattispecie destinata a concludersi con un’aggiudicazione (in tal senso, già Cons. Stato, sez. V, 12 gennaio 2017, n. 52 e Id., 2 maggio 2017, n. 1985, nonché Cons. Stato, sez. V, 12 febbraio 2020, nn. 1070 e 1071 e Id., 18 marzo 2021, n. 2350). Di conseguenza, non vi sarebbero preclusioni a che la stessa società o aziende appartenenti al medesimo gruppo possano partecipare a più gare aventi a oggetto lotti distinti dello stesso bando (Cons. Stato, sez. V, 2 maggio 2017, n. 1973).

Se ne deduce, secondo l’impostazione prevalente, che la rilevanza del collegamento societario dovrebbe essere limitata alle sole ipotesi in cui più imprese (soggette a un unico centro decisionale) presentino offerte per lo stesso lotto, oppure se – in ragione di un’espressa previsione della lex specialis – siano previsti vincoli di partecipazione/aggiudicazione per i singoli lotti estesi agli operatori economici in posizione di collegamento/controllo tra loro.

A proposito dei vincoli di partecipazione/aggiudicazione, la giurisprudenza ha chiarito la loro natura in rapporto alla clausola di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. m), cit.: “la clausola concernente il vincolo di aggiudicazione […] riveste natura, funzione e presupposti diversi dalla clausola di esclusione ex art. 80, comma 5, lett. m del codice dei contratti: quest’ultima ha carattere imperativo (“le stazioni appaltanti escludono…”) e riveste natura di ordine pubblico economico, in quanto presidia, su di un piano sostanziale, il principio fondamentale di unicità dell’offerta nei soli contratti passivi; la prima ha invece carattere facoltativo e discrezionale (“le stazioni appaltanti possono…”) ed opera soltanto a fini pro-concorrenziali, in una prospettiva distributiva degli affidamenti tra un maggior numero di imprese (TAR Liguria, sez. I, 14 aprile 2022, n. 286, che cita, tra l’altro, Cons. Stato, sez. V, n. 6481/2021, cit.).

Note sulla sentenza

La sentenza in esame, pur nella complessità della materia, ha il pregio di chiarire aspetti delicati della relazione esistente tra suddivisione in lotti, vincoli di partecipazione/aggiudicazione e fattispecie riconducibili al divieto ex art. 80, comma 5, lett. m) Codice dei contratti pubblici.

In primo luogo, viene chiarito che in una gara suddivisa in lotti, quando la configurazione del bando si riferisca a una procedura a “oggetto plurimo” (e quindi si compone di tante gare diverse tra loro quanti sono i lotti da aggiudicare), la disposizione di cui all’art. 80, comma 5, lett. m) Codice non trova applicazione.

A fronte di tale configurazione della procedura competitiva, le offerte di imprese tra loro in collegamento/controllo operano in contesti concorsuali non vicendevolmente contaminabili. Quindi – a meno che la partecipazione non avvenga per il medesimo lotto – si può escludere che l’unicità del centro decisionale possa ingenerare preclusioni ai sensi dell’art. 80, cit.

Allo stesso modo, gli eventuali vincoli di partecipazione/aggiudicazione relativi ai singoli lotti, se previsti dalla stazione appaltante, non estendono i loro effetti “automaticamente” alle fattispecie potenzialmente rientranti nei divieti sanciti per le imprese tra loro in collegamento/controllo. Ciò, a meno che la legge di gara non abbia previsto un’espressa regola in tal senso (si noti che, in questi casi, il pericolo che la norma di legge e la lex specialis tentano di prevenire non è riferito alla possibile turbativa della gara, quanto piuttosto al rischio di “razzia” dei singoli lotti da parte di imprese che rispondono a un’unica “holding”).

Resta solo da capire una cosa: ma se un bando di gara si configura quale procedura multilotto (e non, quindi, quale insieme di gare diverse tra loro), i vincoli di cui si è appena detto (e segnatamente il divieto portato dall’art. 80, comma 5, lett. m Codice) riprendono vigore? Cosa accade in questi casi?

La sentenza – considerato il contenuto dell’appello – non fa riferimento a questa ipotesi. Tuttavia, se si tengono presenti i precedenti giurisprudenziali citati (che però, in alcuni passaggi, sembrerebbero agganciare la non operatività del divieto alla sola presenza di una gara divisa in lotti, prescindendo così dalla configurazione della procedura), si può arguire che in presenza di una procedura “unitaria” solo formalmente frazionata in lotti distinti (e quindi “multilotto”), le regole espresse dal combinato disposto dell’art. 2359 c.c. e dell’art. 80, comma 5, lett. m) d.lgs. n. 50/2016 dovrebbero applicarsi senza limiti, a prescindere da quanto disposto sul punto dal bando.

In definitiva, come condivisibilmente rilevato dal Consiglio di Stato, è tutta una questione di “punti di equilibrio” (e, aggiungiamo noi, di conoscenza del relativo mercato) da ricercarsi in primis nella progettazione della gara. Questa deve trovare in sé il bilanciamento tra logiche pro-concorrenziali (soprattutto sulla partecipazione di piccole e medie imprese) e interesse a non privarsi di quelli che sono ritenuti i players migliori sul mercato, i quali spesso – è un dato di fatto – sono costituiti da imprese di grandi dimensioni, in qualche modo soggette a “coordinamento” di soggetti terzi che, a volte, non sono neppure stabiliti in territorio comunitario.

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