La fattispecie esaminata dalla Suprema Corte rappresenta un “classico” delle problematiche incidenti sul regolare andamento delle commesse d’appalto pubblico.
Cassazione civile, sez. I Ord., 19 marzo 2020, n. 7463
Un’ATI chiamata a svolgere i lavori di ristrutturazione di un Palazzetto dello Sport per conto di un’Amministrazione Provinciale che ravvede la sussistenza – in corso d’opera – di originarie carenze progettuali, fatte oggetto di atto diffida con finalità rescissorie del rapporto contrattuale.
Un’Amministrazione convenuta che, negando ogni addebito, dispone la risoluzione in danno all’Appaltatore, cui è addebitata una condotta gravemente inadempiente, integrata da asseriti ingiustificati ritardi, costante inottemperanza agli ordini di servizio della direzione lavori, mancato pagamento delle maestranze, abbandono del cantiere.
Le due contrapposte “risoluzioni” del contratto, ossia, quella derivante dall’infruttuoso decorso del termine di cui all’atto di diffida notificato dal soggetto privato (appaltatore) e quella di natura provvedimentale adottata dall’Amministrazione, costituiscono il fulcro della pronuncia richiesta alla Corte, chiamata a valutare in che rapporto si pongono le due diverse manifestazioni di volontà e, soprattutto, se sussista una prevalenza dell’una sull’altra, anche e soprattutto, in termini di effetti ed incidenza sulle sorti del contratto.
La Corte ha chiarito che, seppure l’accertamento da parte del giudice del merito dei presupposti stabiliti per l’esercizio del diritto di autotutela della P.A. – estrinsecato nell’adozione del provvedimento di risoluzione – sia autonomo e non vincolato alla risultanze sulle quali la stessa si è basata per far valere il suo diritto potestativo, è pur vero che lo stesso debba essere compiuto in base alla disciplina privatistica degli artt. 1218 e 1453 c.c..
Ne consegue che, nella fase esecutiva della commessa, la condotta della parte pubblica e di quella privata va posta e letta sullo stesso piano, cosicché non è concesso “al giudice di isolare singole condotte di una delle parti e di stabilire se ciascuna di esse soltanto costituisca motivo di inadempienza a prescindere da ogni altra ragione di doglianza dei contraenti”.
Il giudizio sul contegno significativo dei contraenti, dunque, impone una valutazione “sinergica” “globale e unitaria” dell’elemento soggettivo e dei fatti posti in essere dalle parti negoziali “perché la unitarietà del rapporto obbligatorio, a cui ineriscono tutte le prestazioni inadempiute da ognuna delle parti non tollera una valutazione frammentaria e settoriale della condotta del contraente, ma ne esige un apprezzamento complessivo (Sez. 1, 31/10/2014, n. 23274)”.
E così, al di là degli obblighi di verificazione del progetto in relazione allo stato dei luoghi all’atto della presentazione dell’offerta e della stipula del contratto incombenti in capo all’Appaltatore, assume rilievo, ai fini dell’addebito della colpa e, con ciò, della risoluzione del contratto, la strumentalizzazione delle cause di sospensione dei lavori da parte dell’Amministrazione, posto che: “Le ragioni di pubblico interesse o necessità che (…) legittimano l’ordine di sospensione dei lavori, vanno identificate in esigenze pubbliche oggettive e sopravvenute, non previste né prevedibili dall’Amministrazione con l’uso dell’ordinarla diligenza, così che esse non possono essere invocate al fine di porre rimedio a negligenza o imprevidenza dell’Amministrazione medesima. In particolare, nel caso che sopravvenga la necessità di approvare una perizia di variante, tale emergenza non deve essere ricollegabile ad alcuna forma di negligenza o imperizia nella predisposizione e nella verifica del progetto da parte dell’ente appaltante, il quale è tenuto, prima dell’indizione della gara, a controllarne la validità in tutti i suoi aspetti tecnici, e a impiegare la dovuta diligenza nell’eliminare il rischio di impedimenti alla realizzazione dell’opera sì come progettata (Sez. 1, 28/02/2019, n. 5969)”.
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