Corte costituzionale, sentenza 26 luglio 2022, n. 198
Il procedimento principale
Nell’ambito di una procedura a evidenza indetta ai sensi del D.Lgs. n. 163/2006, suddivisa per lotti, partecipavano diversi raggruppamenti tra i quali quello ricorrente nell’ambito del giudizio principale, aggiudicatario di un lotto.
Effettuata la verifica dei requisiti, veniva riscontrata da parte della Stazione Appaltante l’assenza degli stessi e, pertanto, il raggruppamento veniva escluso da tutti i lotti.
Ciò determinava l’escussione della cauzione provvisoria nell’ambito del lotto per il quale era risultato aggiudicatario e, successivamente alla impugnazione del correlativo provvedimento di esclusione, ovvero quando era entrato in vigore il nuovo codice, la stazione appaltante si determinava per l’escussione delle cauzioni prestate anche nell’ambito degli altri lotti per i quali il ricorrente non era risultato aggiudicatario.
Nel dettaglio, la stazione appaltante riteneva di dover fare applicazione dell’art. 48 del D.Lgs. n. 163/2006 ai sensi del quale e in base al comma 1, quando non fosse fornita la prova dei requisiti, ovvero il concorrente non procedesse alla conferma delle dichiarazioni contenute nella domanda o nell’offerta, le stazioni appaltanti dovevano procedere all’esclusione dalla gara e alla escussione della cauzione provvisoria.
Ai sensi dell’art. 75, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006 era possibile escutere la cauzione anche nel caso in cui il contratto non venisse sottoscritto per fatto imputabile all’aggiudicatario.
La normativa pregressa, dunque, estendeva l’escussione nei confronti dell’aggiudicatario e degli altri concorrenti resi oggetto di specifica verifica.
L’entrata in vigore del nuovo codice dei contratti – in costanza di assunzione dei provvedimenti impugnati della stazione appaltante – ha posto dubbi interpretativi in capo al Consiglio di Stato.
La nuova normativa, infatti, disciplina la garanzia provvisoria all’art. 93, comma 6, stabilendo la riduzione delle ipotesi di escussione della stessa ai soli aggiudicatari e, in base al noto disposto dell’art. 216 del D.Lgs. n. 50/2016 la stessa avrebbe potuto essere applicata solo alle procedure i cui bandi o avvisi fossero stati pubblicati successivamente alla data della sua entrata in vigore.
Tuttavia, il Consiglio di Stato (sez. V, ord. 26 aprile 2021, n. 3299, con commento su questo sito di F. Casciaro, Rimessa alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale concernente l’ambito temporale di applicazione della lex mitior in materia di escussione della garanzia provvisoria) ha avvertito l’esigenza di porre la questione alla Corte Costituzionale ritenendo la precedente normativa più sfavorevole rispetto a quella del nuovo codice e attribuendo alla misura dell’incameramento della cauzione provvisoria una funzione sanzionatoria di carattere punitivo, in relazione alla quale avrebbe dovuto essere applicato – in analogia a quanto previsto in materia penale ex art. 2 c.p. – il principio di retroattività della lex mitior, pena la lesione dell’art. 3 della Costituzione e delle norme di diritto internazionale vincolanti in Italia (oltre che dell’art. 49, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea CDFUE, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, e all’art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali CEDU, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848).
La decisione della Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale ha ritenuto infondata la questione posta dal Consiglio di Stato.
La decisione ha, in primo luogo, escluso l’estensione del principio di retroattività della lex mitior ad altre leggi che non siano quella penale; tale determinazione si innesta nel ragionamento effettuato dalla stessa Corte in risposta alla interpretazione fornita dal Giudice rimettente sulla natura e funzione della escussione della cauzione provvisoria.
Con toni perentori la Corte Costituzionale ha rammentato al Consiglio di Stato che “La ricostruzione dell’ordinanza di rimessione in ordine alla natura di sanzione “punitiva” dell’escussione della garanzia provvisoria, in caso di esito negativo del controllo a campione di cui all’art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006, non riflette il quadro giurisprudenziale costituzionale e amministrativo, che è sempre stato prevalentemente orientato in senso opposto”.
La Corte ha, dunque, posto l’attenzione non tanto sul carattere sanzionatorio della misura quanto piuttosto sulla funzione di garantire serietà ed affidabilità dell’offerta tutelando la correttezza del procedimento di gara, in modo da assicurarne il “regolare e rapido espletamento”, come ricordato peraltro in una precedente pronuncia n. 23 del 2022 con la quale era stato sottolineato – in relazione all’art. 93 del nuovo codice – come fosse importante “evitare un’inutile attività procedimentale dell’amministrazione”.
E la stessa Corte ha rammentato che tale finalità e garanzia era all’origine e alla base anche della precedente normativa (quindi degli articoli 48 e 75 del D.Lgs. n. 163/2006) proprio per far sì che chi partecipasse alla gara fosse consapevole del particolare impegno assunto, sia nel rendere le proprie dichiarazioni che nel garantirne la serietà e veridicità di quanto dichiarato; tale serietà doveva essere garantita sia che lo stesso fosse poi risultato aggiudicatario sia nel caso in cui venisse escluso, evitando così di aggravare il lavoro accertativo svolto dalla stazione appaltante.
Non per questo, dunque, avrebbe potuto essere individuata nella disposizione del vecchio codice – così come in quella del nuovo – una norma dal carattere sanzionatorio, quanto piuttosto “una misura di indole patrimoniale (…) che costituisce l’automatica conseguenza della violazione del dovere di correttezza gravante sull’offerente e (che) realizza un’anticipata liquidazione dei danni subiti dalla stazione appaltante (ancora, Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza n. 34 del 2014; in senso analogo, Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza 4 febbraio 2009, n. 2634, che ne ha sottolineato l’affinità con la caparra confirmatoria)”.
Partendo da questi presupposti, l’analisi della Corte si è soffermata sulla eventuale natura di sanzione “punitiva” dell’incameramento della cauzione provvisoria ai sensi dell’art. 48 del vecchio codice osservata alla luce della giurisprudenza della Corte di Strasburgo in virtù della quale: “«l’esistenza o meno di una “accusa in materia penale” deve essere valutata sulla base di tre criteri, indicati comunemente con il nome di “criteri Engel” (Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, § 82, serie A n. 22, A e B c. Norvegia [GC], nn. 24130/11 e 29758/11, § 107, 15 novembre 2016, e Ramos Nunes de Carvalho e Sá c. Portogallo [GC], nn. 55391/13 e altri 2, § 122, 6 novembre 2018). Il primo è la qualificazione giuridica del reato nel diritto interno, il secondo è la natura stessa del reato e il terzo è il grado di severità della sanzione in cui incorre l’interessato. Il secondo e il terzo criterio possono essere alternativi e non necessariamente cumulativi» (Corte europea dei diritti dell’uomo, grande camera, 8 luglio 2019, Mihalache contro Romania), anche se «ciò non impedisce di adottare un approccio cumulativo se l’analisi separata di ciascun criterio non permette di giungere a una conclusione chiara circa l’esistenza di una accusa in materia penale» (Corte europea dei diritti dell’uomo, sezione seconda, 4 marzo 2014, Grande Stevens contro Italia)”.
Ebbene, la Corte ha affermato in primo luogo che l’escussione della garanzia provvisoria non è qualificata come sanzione penale e dunque, il suo carattere eventualmente “punitivo” va osservato alla luce degli altri due criteri sostanziali.
Innanzitutto, la misura ha un ambito applicativo limitato ai soli operatori economici che partecipano alle procedure di gara e non è rivolta alla generalità dei consociati e risponde, come già detto, all’esigenza di garantire la serietà e affidabilità dell’offerta.
La misura, dunque, non ha altro scopo che quello di assicurare il rispetto di regole procedimentali per la speditezza della procedura stessa: in questa attività non può vedersi nessun elemento a carattere sanzionatorio, innestandosi piuttosto nell’alveo delle trattative protese alla successiva stipula del contratto tra le parti rispetto alle quali viene in risalto, piuttosto, il precipuo rispetto delle regole di buona fede e correttezza tipiche della fase precontrattuale.
La Corte sembra, dunque, spingere verso un’interpretazione di carattere strettamente civilistico della natura della cauzione provvisoria e della relativa escussione, escludendo la funzione “punitiva” e tutelando la posizione dell’amministrazione al cospetto dei soggetti con i quali la stessa può venirsi, in ipotesi, a incontrare per l’affidamento della procedura a evidenza pubblica e la successiva stipula del contratto.
In secondo luogo e in correlazione con il secondo criterio sopra citato, va osservata la natura e la gravità della sanzione applicata. Nel caso di specie, la Corte ha dato rilievo anche al limitato grado di severità dell’escussione della garanzia provvisoria prevista dal precedente art. 75 nella misura ridotta del 2 % del prezzo base indicato nel bando, con previsione di una serie di ipotesi, cumulabili tra loro, di riduzione ulteriore del valore escutibile.
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