Premessa
Con l’ordinanza in commento, il Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 93, comma 6 (Garanzie per la partecipazione alla procedura), nel combinato disposto con l’art. 216 (Disposizioni transitorie e di coordinamento), del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici) per contrasto con gli artt. 3 e 117, comma 1, della Costituzione.
In particolare, il Collegio ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la censura di incostituzionalità del vigente codice dei contratti pubblici nella parte in cui non consente l’applicazione retroattiva di una norma – avente carattere sanzionatorio e punitivo – più favorevole rispetto alla disciplina previgente (c.d. lex mitior): la norma più favorevole in discussione è quella che prescrive l’escussione della garanzia provvisoria esclusivamente nei confronti dell’aggiudicatario, mentre il codice previgente comminava la stessa sanzione anche nei confronti di operatori economici che non fossero risultati aggiudicatari della procedura competitiva.
La fattispecie scrutinata
La fattispecie sottesa all’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale ha ad oggetto una procedura aperta indetta in vigenza del codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 163/2006. La procedura di affidamento controversa era suddivisa in lotti, per l’aggiudicazione di alcuni dei quali ha concorso il raggruppamento ricorrente in giudizio, risultato aggiudicatario di uno solo dei lotti per i quali aveva concorso.
Rilevata in capo all’aggiudicatario la carenza dei requisiti posti a base di gara nella fase dedicata alla loro comprova, tale raggruppamento è stato escluso da tutti i lotti per i quali aveva concorso, subendo l’escussione della cauzione provvisoria per il solo lotto aggiudicato, ed è insorto contro le relative delibere della stazione appaltante oggetto di impugnazione in separati giudizi.
Solo nel corso di tali giudizi, quando era ormai entrato in vigore il nuovo codice dei contratti pubblici, la stazione appaltante si è determinata ad escutere anche le cauzioni provvisorie prestate nell’ambito dei lotti per i quali il raggruppamento ricorrente non aveva conseguito l’aggiudicazione, con decisione oggetto del giudizio nel quale è stata emessa l’ordinanza in esame.
La disciplina vigente sull’escussione della garanzia provvisoria
L’offerta presentata nell’ambito delle procedure di affidamento di contratti pubblici da parte dei concorrenti deve essere corredata dalla garanzia cosiddetta “provvisoria” – in contrapposizione con quella “definitiva” prestata dall’aggiudicatario della procedura al momento della stipula del contratto a garanzia dell’adempimento delle obbligazioni assunte.
Come stabilito dall’articolo 93, comma 6, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, “la garanzia copre la mancata sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione dovuta ad ogni fatto riconducibile all’affidatario o all’adozione di informazione antimafia interdittiva emessa ai sensi degli articoli 84 e 91 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159; la garanzia è svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto”.
La norma citata circoscrive i destinatari della prescritta misura di escussione ai soli operatori aggiudicatari della procedura di affidamento.
L’ambito temporale di applicazione di tale norma è fissato dall’art. 216, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, ai sensi del quale il nuovo codice dei contratti pubblici si applica “alle procedure e ai contratti per i quali i bandi o avvisi con cui si indice la procedura di scelta del contraente siano pubblicati successivamente alla data della sua entrata in vigore nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o di avvisi, alle procedure e ai contratti in relazione ai quali, alla data di entrata in vigore del presente codice, non siano ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte”.
La disciplina previgente sull’escussione della garanzia provvisoria
La fattispecie di escussione della garanzia provvisoria nei confronti dell’aggiudicatario era analogamente prevista nel previgente codice dei contratti pubblici, il cui art. 75, comma 6, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, sanciva che la garanzia di cui era corredata l’offerta “copre la mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell’affidatario, ed è svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto medesimo”.
Tuttavia, il previgente codice prevedeva altresì una ulteriore fattispecie di escussione della garanzia provvisoria all’art. 48, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163[1] – applicato nel caso sotteso alla ordinanza in commento – ai sensi del quale le stazioni appaltanti erano tenute ad una verifica a campione dei requisiti speciali di partecipazione, in capo ai concorrenti a tal fine sorteggiati, prima dell’apertura delle buste contenenti le offerte presentate in gara. In caso di mancata comprova dei requisiti oggetto di verifica, l’articolo 48 imponeva alle stazioni appaltanti di procedere “all’esclusione del concorrente dalla gara, all’escussione della relativa cauzione provvisoria e alla segnalazione del fatto all’Autorità per i provvedimenti di cui all’articolo 6 comma 11.”
Ne deriva che la disciplina prevista dal d.lgs. 163/2006 prescriveva l’escussione della garanzia provvisoria nei confronti di una più ampia platea di destinatari, nei quali erano ricompresi, oltre agli aggiudicatari della procedura di affidamento, anche i concorrenti che non fossero risultati tali.
La questione di legittimità costituzionale
Dalle norme sopra citate si evince che nel caso oggetto di controversia nell’ordinanza in commento, la stazione appaltante, escutendo la garanzia a corredo di offerte non risultate aggiudicatarie dei lotti di riferimento, ha applicato una norma che, seppur ratione temporis applicabile, è più sfavorevole alla parte ricorrente rispetto a quella applicabile in base alla disciplina vigente al momento dell’adozione della misura, nella quale non è prescritta l’escussione della cauzione provvisoria prestata dai concorrenti non aggiudicatari.
In base alla tesi della parte ricorrente, che il Consiglio di Stato ha ritenuto non manifestamente infondata, l’applicazione della norma più sfavorevole rispetto a quella successivamente entrata in vigore in materia di escussione della garanzia provvisoria sarebbe incostituzionale, per le ragioni che vengono di seguito sinteticamente rappresentate.
Come già precedentemente affermato dalla giurisprudenza amministrativa (ex multis, Cons. Stato, IV, 19 novembre 2015, n. 5280; IV, 9 giugno 2015, n. 2829; V, 10 settembre 2012, n. 4778; Ad. Plen. 4 ottobre 2005, n. 8), l’ordinanza in commento rileva la funzione sanzionatoria della misura dell’incameramento della cauzione prevista dall’art. 48 d.lgs. n. 163 del 2006 applicato nel caso di specie, che costituisce conseguenza ex lege dell’esclusione per riscontrato difetto dei requisiti di partecipazione.
Secondo il Consiglio di Stato, siffatta misura sanzionatoria avrebbe natura “punitiva”, dal momento che l’incameramento della cauzione, in assenza di una specifica finalità indennitaria (propria della sola ipotesi di mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’aggiudicatario) o risarcitoria, “si spiega soltanto in chiave di punizione dell’autore dell’illecito in questione, in funzione di una finalità di deterrenza, o prevenzione generale negativa, che è certamente comune anche alle pene in senso stretto”.
In quanto avente natura punitiva, l’escussione della garanzia provvisoria sarebbe soggetta al principio della retroattività della lex mitior, ossia al principio per cui deve essere applicata la norma posteriore se più favorevole, formulato nella legislazione ordinaria in materia penale all’art. 2, secondo, terzo e quarto comma, del Codice penale.
Tale norma persegue il fine di garantire il diritto dell’autore del comportamento sanzionato ad essere giudicato in base all’apprezzamento attuale dell’ordinamento relativo al disvalore del fatto da lui realizzato, anziché in base all’apprezzamento sotteso alla legge in vigore al momento della sua commissione.
Il principio trova fondamento costituzionale nel principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., “che impone, in linea di massima, di equiparare il trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo l’entrata in vigore della norma che ha disposto l’abolitio criminis o la modifica mitigatrice” (sentenza n. 394 del 2006), in ragione del fatto che “[n]on sarebbe ragionevole punire (o continuare a punire più gravemente) una persona per un fatto che, secondo la legge posteriore, chiunque altro può impunemente commettere (o per il quale è prevista una pena più lieve)” (sentenza n. 236 del 2011).
La retroattività della lex mitior in materia penale è sancita altresì da norme del diritto internazionale vincolanti per l’Italia[2], che assurgono al rango di norme interposte per effetto dell’art. 117, primo comma, della Costituzione, determinando l’illegittimità costituzionale delle norme di rango ordinario con esse incompatibili.
A tal proposito rileva il consolidato orientamento della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui le garanzie stabilite dalla CEDU si applicano a tutti i precetti di carattere afflittivo a prescindere dalla loro qualificazione come sanzioni penali nell’ordinamento di provenienza (sentenze della Corte EDU 8 giugno 1976, Engel e altri contro Paesi Bassi; 27 settembre 2011, Menarini Diagnostics srl contro Italia; e 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri contro Italia).
Inoltre, l’ordinanza in commento ritiene che l’estensione del principio di retroattività della lex mitior in materia di sanzioni di carattere amministrativo aventi natura “punitiva” sia conforme alla logica sottesa alla giurisprudenza costituzionale sviluppatasi, sulla base dell’art. 3 Cost., in ordine alle sanzioni propriamente penali: “[…] laddove, infatti, la sanzione amministrativa abbia natura “punitiva”, di regola non vi sarà ragione per continuare ad applicare nei confronti di costui tale sanzione, qualora il fatto sia successivamente considerato non più illecito; né per continuare ad applicarla in una misura considerata ormai eccessiva (e per ciò stesso sproporzionata) rispetto al mutato apprezzamento della gravità dell’illecito da parte dell’ordinamento. E ciò salvo che sussistano ragioni cogenti di tutela di controinteressi di rango costituzionale, tali da resistere al medesimo «vaglio positivo di ragionevolezza», al cui metro debbono essere in linea generale valutate le deroghe al principio di retroattività in mitius nella materia penale” (Corte cost. sentenza n. 63 del 2019; n. 193 del 2016).
Pertanto, alla luce di tutte le considerazioni sopra esposte, il Consiglio di Stato ha concluso ravvisando “l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che precludono l’applicabilità, al caso di specie, della più favorevole disciplina sanzionatoria sopravvenuta – la quale prevede l’escussione della cauzione provvisoria solo a valle dell’aggiudicazione (definitiva) e, dunque, solo nei confronti dell’aggiudicatario di una procedura ad evidenza pubblica” e per l’effetto ha sospeso il giudizio e rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 93, comma 6, del d.lgs. n. 50 del 2016, nel combinato disposto dell’art. 216 del medesimo decreto, per contrasto con agli artt. 3 e 117 Cost.
Per completezza, si evidenzia che l’ordinanza in commento ha riconosciuto nell’escussione della garanzia provvisoria la funzione di una “sanzione amministrativa, seppure non in senso proprio”, utilizzando una formulazione che sentenze più risalenti avevano invece posto alla base dell’impossibilità di estensione all’escussione della garanzia provvisoria dei più rigidi principi applicabili alle sanzioni amministrative in senso proprio, come potrebbe astrattamente ritenersi anche il principio dell’applicazione della legge posteriore più favorevole.[3]
Non resta che aspettare di conoscere la determinazione della Corte costituzionale in merito.
___________________
[1] “1. Le stazioni appaltanti prima di procedere all’apertura delle buste delle offerte presentate, richiedono ad un numero di offerenti non inferiore al 10 per cento delle offerte presentate, arrotondato all’unità superiore, scelti con sorteggio pubblico, di comprovare, entro dieci giorni dalla data della richiesta medesima, il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente richiesti nel bando di gara, presentando la documentazione indicata in detto bando o nella lettera di invito. Le stazioni appaltanti, in sede di controllo, verificano il possesso del requisito di qualificazione per eseguire lavori attraverso il casellario informatico di cui all’articolo 7, comma 10, ovvero attraverso il sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per i contratti affidati a contraente generale; per i fornitori e per i prestatori di servizi la verifica del possesso del requisito di cui all’articolo 42, comma 1, lettera a), del presente codice è effettuata tramite la Banca dati nazionale dei contratti pubblici di cui all’articolo 6-bis del presente Codice. Quando tale prova non sia fornita, ovvero non confermi le dichiarazioni contenute nella domanda di partecipazione o nell’offerta, le stazioni appaltanti procedono all’esclusione del concorrente dalla gara, all’escussione della relativa cauzione provvisoria e alla segnalazione del fatto all’Autorità per i provvedimenti di cui all’articolo 6 comma 11. L’Autorità dispone altresì la sospensione da uno a dodici mesi dalla partecipazione alle procedure di affidamento.
1-bis. Quando le stazioni appaltanti si avvalgono della facoltà di limitare il numero di candidati da invitare, ai sensi dell’articolo 62, comma 1, nonché nei casi di bonifica e messa in sicurezza di siti contaminati ai sensi della Parte quarta, Titolo V, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 , richiedono ai soggetti invitati di comprovare il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente richiesti nel bando di gara, presentando, in sede di offerta, la documentazione indicata in detto bando o nella lettera di invito in originale o copia conforme ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. Non si applica il comma 1, primo periodo.
2. La richiesta di cui al comma 1 è, altresì, inoltrata, entro dieci giorni dalla conclusione delle operazioni di gara, anche all’aggiudicatario e al concorrente che segue in graduatoria, qualora gli stessi non siano compresi fra i concorrenti sorteggiati, e nel caso in cui essi non forniscano la prova o non confermino le loro dichiarazioni si applicano le suddette sanzioni e si procede alla determinazione della nuova soglia di anomalia dell’offerta e alla conseguente eventuale nuova aggiudicazione” (art. 48, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163).
[2] Art. 15, comma 1, terzo periodo, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, concluso a New York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881; art. 49, paragrafo 1, terzo periodo, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; art. 7 CEDU, nella lettura offertane dalla giurisprudenza di Strasburgo.
[3] In particolare, il Consiglio di Stato ha in precedenza affermato che “l’incameramento della cauzione provvisoria è una misura di carattere strettamente patrimoniale, senza un carattere sanzionatorio amministrativo nel senso proprio: non ha infatti né carattere reintegrativo o ripristinatorio di un ordine violato, né di punizione per un illecito amministrativo previsto a tutela di un interesse generale). Essa ha il suo titolo e la sua causa nella violazione di regole e doveri contrattuali già espressamente accettati negli stretti confronti dell’amministrazione appaltante. La lata funzione sanzionatoria che sopra si è detta, dunque, inerisce al solo rapporto che si è costituito inter partes con l’amministrazione appaltante per effetto della domanda di partecipazione alla gara” (Consiglio di Stato, sez. V, 27 giugno 2017, n. 3701); in altra pronuncia è stato affermato rispetto all’escussione della garanzia provvisoria che “si tratta di una misura di indole patrimoniale, priva di carattere sanzionatorio amministrativo nel senso proprio, che costituisce l’automatica conseguenza della violazione di regole e doveri contrattuali espressamente accettati. Per replicare alle obiezioni sollevate dalla tesi più restrittiva, si ritiene di osservare che l’invocato principio di legalità riguarda le sanzioni in senso proprio e non già le misure di indole patrimoniale liberamente contenute negli atti di indizione, accettate dai concorrenti, non irragionevoli né illogiche, rispondenti all’autonomia patrimoniale delle parti, non contrarie a norme imperative e anzi agganciate alla ratio rinvenibile nelle disposizioni del codice” (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 10 dicembre 2014, n. 34).
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