Con la pronuncia in commento, il Consiglio di Stato è tornato ad occuparsi del tema legato all’ammissibilità dell’impugnazione avverso un provvedimento adottato dall’A.n.a.c. nell’esercizio dell’attività di vigilanza, ai sensi dell’art. 213 del D. Lgs. n. 50/2016, qualificato alla stregua di un parere non vincolante.
Come noto, il richiamato articolo individua le diverse funzioni attribuite all’Autorità Nazionale Anticorruzione tra le quali figura ai sensi del comma 1 e del comma 3, lettere a), b), f) e g) l’attività di vigilanza.
Tale attività si sostanzia in una funzione di controllo sulla condotta delle amministrazioni e degli operatori che si esplica sia nella forma c.d. “successiva” sia in quella c.d. “collaborativa”.
La prima si estrinseca in attività di controllo sulla regolarità della procedura di gara e sulla fase di esecuzione della commessa, mentre la seconda prevede la stipulazione di protocolli d’intesa con le stazioni appaltanti al fine di supportarle nella complessa fase di gestione dell’intera procedura di gara.
La fattispecie giunta all’attenzione del Consiglio di Stato concerne un provvedimento emesso all’esito di un procedimento di vigilanza “successiva” che rilevava gravi disfunzioni e irregolarità nell’esecuzione dell’appalto e, di conseguenza, invitava l’amministrazione e l’operatore a comunicare le misure che intendevano adottare.
Avverso il suddetto provvedimento le parti interessate adivano il giudice amministrativo deducendo svariati profili di illegittimità.
Il giudice di prime cure, senza procedere ad esaminare il merito delle diverse censure prospettate, dichiarava il ricorso inammissibile sull’assunto che il suddetto atto dell’Autorità si configurasse alla stregua di un parere non vincolante insuscettibile di arrecare in quanto tale un vulnus alla sfera giuridica dei destinatari. Si trattava dunque, di una mera rappresentazione di un giudizio con cui “l’Autorità ha espresso delle valutazioni che possono eventualmente essere di impulso per l’esercizio da parte della stazione appaltante o di altre autorità dei propri poteri” ma che risultava priva “di autonoma consistenza lesiva”.
Né, rilevava il g.a., deponeva in senso contrario il fatto che l’A.n.a.c. aveva anche disposto la trasmissione dell’atto alle Autorità competenti, ai sensi dell’art. 213, co. 6 del Codice, trattandosi di uno strumento volto a dare effettività all’esercizio del potere di vigilanza dell’Autorità.
Tale approdo argomentativo non è stato condiviso dal Consiglio di Stato.
Sul punto, i Giudici di Palazzo Spada hanno evidenziato che sebbene in linea di principio sia da escludere l’immediata lesività del parere non vincolante (attesa la sua natura di atto endoprocedimentale), in alcune fattispecie tale atto è idoneo ad incidere sulla sfera giuridica dei destinatari essendo idoneo ad “arrecare un vulnus diretto e immediato”.
Secondo l’indirizzo giurisprudenziale maggioritario, condiviso dal Collegio, l’impugnazione di un parere non vincolante può superare il vaglio di ammissibilità solo quando “sia fatto proprio dalla Stazione Appaltante la quale sulla base di esso abbia assunto la relativa determinazione provvedimentale” (Cons. Stato, Sez. VI, 11.03.2019, n. 1622). Ne consegue che la portata lesiva dell’atto è suscettibile di essere giuridicamente percepita solo laddove sia stata richiamato (e quindi condiviso) nel provvedimento conclusivo adottato dall’organo istituzionale competente (Cons. Stato, Sez. V, 7.03.2022, n. 1621; 19.10.2020, n. 6305).
In sostanza, il parere non vincolante pur non essendo idoneo ex se ad incidere sulla posizione giuridica soggettiva del destinatario diviene lesivo se e nella misura in cui integri la motivazione del provvedimento finale dell’amministrazione (Cons. Stato, n. 1622/2019 cit.).
Ne discende che in siffatta ipotesi il sindacato giurisdizionale risulterà posticipato nel momento in cui si dà luogo alla lesione della sfera giuridica dell’interessato da parte dell’organo istituzionale competente ad intervenire (Cons. Stato, Sez. V, 17.09.2018, n. 5424; Id., Sez. VI, 3.05.2010, n. 2503).
Il Collegio condivide le argomentazioni alla base della giurisprudenza maggioritaria e di conseguenza ritiene che ai fini dell’impugnabilità di un provvedimento amministrativo vada condotta una valutazione in concreto circa l’effetto che il provvedimento arreca nella sfera giuridica del destinatario.
Dunque, siffatta interpretazione rifugge da un formalistico inquadramento dogmatico del provvedimento per giungere ad un’analisi sostanziale in ordine alle indicazioni contenute nell’atto adottato dell’Autorità. Quest’ultime, assumendo il ruolo di canoni oggettivi a cui conformarsi risulteranno dirimenti per stabilire l’immediata lesività del provvedimento.
In conclusione, laddove l’atto adottato dall’Autorità abbia natura squisitamente conformativa in quanto non lasci ai soggetti vigilati alcun margine di modulazione in ordine al contenuto e all’estensione, lo stesso rappresenta un provvedimento immediatamente lesivo nei confronti del quale va garantita la tutela del diritto di difesa di cui all’articolo 24 della Costituzione.
La pronuncia in esame risulta di particolare interesse in quanto il Consiglio di Stato non si è limitato a recepire quanto sostenuto dall’orientamento giurisprudenziale sopraillustrato, ma ha riconosciuto la possibilità (recte l’onere) per il destinatario di impugnare immediatamente il provvedimento dell’Autorità che imponga evidenti ed immediati obblighi conformativi a prescindere da un suo recepimento in un diverso atto.
In tale evenienza, l’atto non necessita dell’intermediazione di ulteriori provvedimenti in quanto immediatamente lesivo e quindi impugnabile.
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