Il vuoto politico derivante dalla difficoltà (impossibilità?) di formare un governo di legislatura si ripercuote inevitabilmente anche sul piano normativo. In particolare sulla disciplina della contrattualistica pubblica, atteso che il Codice dei contratti era stato “messo nel mirino” dalle forze politiche uscite vittoriose dalla tornata elettorale del 4 marzo.
Editoriale tratto dal numero 1/2018 della rivistra trimestrale “I Contratti dello Stato e degli Enti pubblici” – Maggioli Editore
a cura di Antonio Vespignani
Si tratta di partiti che avevano inserito nel proprio programma elettorale la cancellazione o la riscrittura integrale del Codice o quanto meno la drastica revisione del suo impianto, nell’intento di rimuovere gli ostacoli normativi che si frappongono alla ripresa di un settore strategico per l’economia del Paese quale quello delle opere pubbliche.
Ma i proclami e gli impegni elettorali sono rimasti lettera morta in questi primi mesi post elezioni.
Per cui il quadro di riferimento è rimasto invariato, il che significa non soltanto che il Codice rimane al suo posto (né potrebbe essere diversamente), ma anche che prosegue la lunga e complessa fase di emanazione dei provvedimenti attuativi dello Codice stesso.
Si pensi alle linee guida licenziate dall’Anac o ad alcuni dei decreti ministeriali previsti dal Codice.
Si pensi ancora alla proposta di decreto ministeriale sul sistema unico di qualificazione degli esecutori di lavori pubblici, recentemente adottata dalla stessa Autorità.
Proseguendo su questa via, si potrebbe assistere al paradosso per cui, dopo aver contestato il Codice (anche) per la sua perdurante incompletezza, se ne decreti l’abrogazione proprio allorquando l’attività di completamento con i provvedimenti attuativi sta giungendo a compimento.
Vediamo quindi come si è sviluppata la produzione normativa degli ultimi mesi, con particolare riferimento, appunto, all’attività di attuazione del d.lgs. n. 50.
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