Prologo
Nell’attuale quadro normativo, soprattutto per effetto delle direttive di seconda e terza generazione, il contratto di appalto non è, infatti, soltanto un mezzo che consente all’amministrazione di procurarsi beni o di erogare servizi alla collettività, ma – per utilizzare categorie civilistiche – uno “strumento a plurimo impiego” funzionale all’attuazione di politiche pubbliche ulteriori rispetto all’oggetto negoziale immediato: in altre parole, uno strumento – plurifunzionale – di politiche economiche e sociali, con conseguenti ricadute sulla causa del provvedimento di scelta del contraente.
Se si considera tale, fondamentale quadro, la “migliore offerta” è dunque quella che presenta le migliori condizioni economiche ma solo a parità di requisiti qualitativi richiesti.
La nozione di risultato, anche alla luce del significato ad essa attribuito dal sopravvenuto d. lgs. n. 36 del 2023 non ha riguardo unicamente alla rapidità e alla economicità, ma anche alla qualità della prestazione.
Il richiamo alla nozione di risultato integra i parametri di legittimità dell’azione amministrativa con riguardo ad una categoria che implica verifiche sostanziali e non formali, di effettività del raggiungimento degli obiettivi (di merito, e di metodo) oltre che di astratta conformità al paradigma normativo.
Lo stabilisce il Consiglio di Stato con la sentenza Sez. III, 29 dicembre 2023, n. 11322.
Il caso
La controversa vicenda verte sulla verifica dei requisiti in relazione all’affidamento del servizio di ristorazione scolastica nei nidi d’infanzia comunale, nelle scuole d’infanzia comunali e statali con gestione a ridotto impatto ambientale.
In particolare, l’aggiudicazione è stata revocata perché si è constatato che la ricorrente non fosse in possesso del doppio requisito richiesto dalla legge di gara consistente sia nella certificazione ISO 14001 che nella certificazione EMAS.
Avverso il provvedimento espulsivo (e, precisamente, di revoca dell’aggiudicazione) l’operatore economico ha proposto ricorso dinanzi al giudice amministrativo, che tuttavia ritendendo legittima la decisione della P.A. ha respinto il gravame.
Sia il giudice territoriale che il Consiglio di Stato, infatti, hanno ritenuto rispondente al principio di risultato il provvedimento espulsivo secondo il quale, appunto, la Stazione Appaltante ha ritenuto l’offerta della ricorrente non conforme alla tutela degli interessi sottesi alla commessa pubblica, come cristallizzati nella legge di gara, o addirittura la “migliore offerta” in un’ottica di risultato.
La decisione
La sentenza in esame muove dal presupposto che nel caso di specie il risultato sotteso alla commessa riguarda, per precisa scelta dell’amministrazione committente, non la prestazione del servizio di ristorazione scolastica in quanto tale, ma quella relativa ad un servizio caratterizzato dalla conformità a politiche ambientali per lo sviluppo sostenibile.
Per il Giudice Amministrativo il fatto che l’operatore economico non possedesse il requisito richiesto (secondo le regole relative allo stesso) esclude, che la selezione della sua offerta potesse rappresentare un risultato conforme alla tutela degli interessi sottesi alla commessa pubblica, come cristallizzati nella legge di gara, o addirittura la “migliore offerta” in un’ottica di risultato.
La sentenza merita d’essere segnalata in quanto offre una importante chiave interpretativa del principio di risultato, previsto dall’articolo 1 del d.lgs. 36 del 2023 (“Nuovo codice degli appalti”).
Soprattutto laddove la norma stabilisce che il “risultato” si concreta nella realizzazione del miglior rapporto “qualità – prezzo”.
In tal senso, spiega il Consiglio di Stato, nella dinamica concorrenziale l’impresa deve essere dunque in grado di rispondere ad una domanda pubblica qualificata, nel senso della soddisfazione di interessi superindividuali ritenuti meritevoli, anche a costo di ridurre la platea degli operatori economici capaci di formulare un’offerta conforme al risultato che la commessa pubblica intende raggiungere.
Tale conclusione tuttavia deve essere rapportata all’ulteriore regola che troviamo nel novero dei principi, e segnatamente all’articolo 10 c. 3 (Principi di tassatività delle cause di esclusione e di massima partecipazione), la quale stabilisce che Fermi i necessari requisiti di abilitazione all’esercizio dell’attività professionale, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti possono introdurre requisiti speciali, di carattere economico-finanziario e tecnico-professionale, attinenti e proporzionati all’oggetto del contratto, tenendo presente l’interesse pubblico al più ampio numero di potenziali concorrenti e favorendo, purché sia compatibile con le prestazioni da acquisire e con l’esigenza di realizzare economie di scala funzionali alla riduzione della spesa pubblica, l’accesso al mercato e la possibilità di crescita delle micro, piccole e medie imprese.
Sicché è vero che la legge facoltizza la P.A. nel prevedere specifici requisiti speciali e, se del caso, “ridurre la platea degli operatori economici capaci di formulare un’offerta”, tuttavia senza “mortificare” il principio del favor partecipationis.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento