Il sistema del pay-back, letteralmente restituire, consiste nell’obbligo per le aziende fornitrici di dispositivi medici-sanitari, in particolare di monouso, nel ritornare alle Regioni, che hanno sforato il tetto di spesa sanitaria massima fino al 50% di quanto dalle stesse incassato, al lordo dell’IVA, per forniture di materiale già utilizzate dalle stesse aziende sanitarie regionali.
Su di esse, però, l’operatore economico ha già provveduto al pagamento delle relative tasse, dei fornitori e di tutti i costi previsti e prevedibili per l’impresa interessata.
Attualmente gli anni oggetto del pay-back ricomprendono un arco temporale fra il 2015 e il 2018, mentre entro fine anno dovrebbero essere calcolati gli importi relativi agli anni 2019-2022.
Il materiale interessato da tale provvedimento è il cosiddetto monouso o pluriuso, letteralmente un prodotto utilizzabile una o poche volte, previa sterilizzazione e poi non più usabile.
Ma qui sorgono i primi problemi di certezza della legge, in quanto la definizione di monouso, contenuta nella legge sul pay-back, è estremamente imprecisa e rimessa, in conseguenza all’autonomia regionale sulla legislazione sanitaria, alle stesse Regioni.
Il risaltato pertanto è evidente: caos sulla definizione, così che per alcune di esse monouso è anche un manipolo di una lampada scialitica, la cui funzione è quella di direzionare la luce e il cui uso minimo è pari a dieci anni.
Andiamo però con ordine e cerchiamo di comprendere come la stessa legge sia nata, rendendo a tal fine necessario un piccolo excursus storico-legislativo.
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