Pareri di precontenzioso: il Consiglio di Stato ha reso il parere sullo schema di regolamento redatto dall’Anac

16 Settembre 2016
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1. L’oggetto

2. Le questioni generali

Molteplici e delicate, anche sul piano squisitamente teorico, le questioni affrontate dal Consiglio di Stato.
a)    Il rapporto tra primo e secondo comma dell’art. 211 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.

Il comma 2 attribuisce all’ANAC un potere di invito nei confronti delle stazioni appaltanti ad agire in autotutela. Il potere di raccomandazione così introdotto è presidiato da una sanzione pecuniaria nei confronti del dirigente responsabile e dalla previsione della sua incidenza sulla reputazione delle stazioni appaltanti. Il rapporto naturale tra parere e raccomandazione è di alternatività, in guisa da dar luogo ad un sistema di tutela pre-processuale completo, attivabile su iniziativa di parte, o, in mancanza, d’ufficio. Tuttavia è possibile che le due procedure si intreccino, come si evince dallo stesso regolamento, che sancisce l’inammissibilità delle istanze di precontenzioso interferenti con esposti di vigilanza e procedimenti sanzionatori in corso di istruttoria presso l’Autorità. Né può escludersi che l’ANAC usi il potere di raccomandazione a seguito del precontenzioso. Il Consiglio di Stato, pertanto, ha ravvisato la necessità di una disciplina di regolamentazione della fattispecie, che delimiti i presupposti di esercizio del potere e individui le procedure su cui intervenire, anche alla luce del considerando n. 122 della direttiva UE 24/2014.

b)    Il fondamento del potere regolamentare dell’ANAC, in assenza di un’espressa previsione di legge.

Dopo un excursus di carattere generale sul potere regolamentare delle Autorità Indipendenti, in cui si sottolinea l’importanza della fase istruttoria e, in particolare, dell’intervento consultivo del Consiglio di Stato, la Commissione ha affrontato il problema dell’inquadramento del regolamento in esame, riconducendolo alla categoria dei regolamenti di organizzazione, essendo principalmente volto a disciplinare lo svolgimento della funzione precontenziosa definita dalla fonte primaria. Ciò implica, da un lato, che non occorre evocare la teoria dei poteri impliciti per ravvisare una base legale al potere regolamentare esercitato, la teoria dei poteri impliciti per ravvisare una base legale al potere regolamentare esercitato, esso trovando fondamento nel potere di auto-organizzazione dell’ANAC, dall’altro, che il regolamento incontra dei limiti legati alla sua incidenza sulle posizioni giuridiche degli interessati.

Tuttavia, deve essere attentamente considerato il carattere necessariamente subordinato della fonte regolamentare in esame e la sua possibile incidenza sul diritto di difesa delle parti che intendono attivare lo strumento di tutela.

c) La distinzione dalle linee guida.

Dopo aver richiamato le considerazioni già svolte in precedenti pareri sulla natura delle linee-guida, la Commissione ne evidenzia la tipica efficacia “esterna”, come si conviene ad uno strumento di soft law, la cui origine è nella comunità degli affari – cosmopolita e in perenne movimento, bisognosa di regole transnazionali che siano dotate al tempo stesso di flessibilità e effettività, sovente originate dalle stesse pratiche commerciali che intendono regolare – e promana da fonti (gli usi non normativi, i codici di condotta, l’interpretazione e le clausole generali, i principi, la lex mercatoria, le regolamentazioni delle Associazioni di categoria, etc.) che trovano fondamento nell’effetto pratico che le relative disposizioni producono sui destinatari. Per contro, il regolamento dell’ANAC resta ancorato al sistema delle fonti di matrice kelseniana, costruito come un’architettura geometrica, sulla base del valore formale dell’atto, ed ha la funzione di dettare norme di azione per la Pubblica Amministrazione, non già regole di condotta per gli operatori.< d)    La natura giuridica del precontenzioso.

Dopo aver agevolmente ricondotto il parere non vincolante alla moral suasion, con un quid pluris che lo avvicina ai responsa di romanisticaa memoria, la Commissione ha affrontato la complessa questione della qualificazione dogmatica del parere vincolante, o, più precisamente, della procedura da cui esita, inquadrandolo nelle ADR (Alternative Dispute Resolution), sia pure con indiscutibili tratti di specialità, poiché la procedura riposa sulla volontà delle parti, in base a un sistema binario, a seconda che vi sia o meno l’assenso all’efficacia vincolante del parere, e sfocia in un atto amministrativo che, quando ha efficacia vincolante, può essere impugnato in sede giurisdizionale.

Su tale profilo, il problema della giustificazione teorica dell’istituto all’interno del sistema amministrativo – dove vige il principio di indisponibilità dell’interesse legittimo e il conseguente divieto di arbitrato – si incrocia con quello del modello ad efficacia soggettiva variabile scelto dal regolamento, ed ancor prima dalla legge, per cui il parere è vincolante solo nei confronti delle parti che hanno aderito alla procedura.

La Commissione ha osservato che l’ancoraggio della vincolatività del parere al consenso delle parti è necessario se si vuole mantenere la distanza dai mezzi processuali, essendo la caratteristica principale delle tecniche di risoluzione alternativa delle controversie. È ben vero che le ADR attengono a diritti disponibili, ma tale principio appare insuperabile solo nell’ambito dei mezzi non aggiudicativi, come la mediazione o la negoziazione assistita, che hanno una connotazione marcatamente privatistica, in attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale. Nell’ipotesi in esame, invece, la procedura è svolta e decisa da un organo pubblico, che appartiene al novero delle Autorità indipendenti di settore, come AGCM, cui sono riconosciute funzioni non lontane dalla giurisdizione. Il pericolo, allora, è proprio quello di una processualizzazione dell’istituto, contraria alla sua ratio, che la Commissione suggerisce di evitare indicando una serie di specifici correttivi.

e)    Le residue criticità

La Commissione individua quattro aree di criticità della procedura costruita dal regolamento, in larga misura dipendenti dal modello previsto dalla fonte primaria.

In primo luogo, una volta sancita l’impugnabilità del parere, non sembra più necessario subordinare l’efficacia vincolante al previo consenso delle parti. Nell’ordinamento, quando è previsto il ricorso (facoltativo) ad Autorità indipendenti, l’efficacia vincolante della decisione non è subordinata al previo consenso delle parti (si pensi al ricorso al difensore civico o alla commissione per l’accesso), ma tale soluzione non è perseguibile de iure condito.

In secondo luogo, l’efficacia soggettiva variabile compromette, se non l’effetto di deflazione, la linearità del sistema. Si pensi al caso della stazione appaltante che, sottoposta all’efficacia vincolante del parere, decida di adeguarsi ad esso. La parte che non è sottoposta alla forza vincolante del parere potrà limitarsi a dedurne l’inefficacia nei suoi confronti, con la conseguenza che – se sfavorevole – non sarà tenuta per tutelarsi a impugnarlo o a partecipare al giudizio da altri instaurato. Tuttavia, resterà pur sempre pregiudicata dal provvedimento adottato sulla base di tale parere, ragion per cui dovrà impugnarlo, ciò dando luogo a un problematico rapporto tra i due giudizi.

In terzo luogo, il parallelismo con l’arbitrato evidenzia un’aporia nella natura consensuale del meccanismo: in ambito civilistico, la struttura contrattuale del compromesso e dalla clausola compromissoria fa sì che non è revocabile l’assenso; nell’istituto in esame, invece, il carattere unilaterale del vincolo fa pensare alla possibilità di un ripensamento della parte stessa.

In quarto luogo, si pone il problema di individuare la disciplina applicabile al procedimento (termini, rapporti con la tutela giurisdizionale, inammissibilità e improcedibilità, revocazione, etc.) laddove non espressamente prevista.

Su questi punti occorre un espresso intervento normativo, anche in via legislativa.

3. Le questioni particolari

Diversi rilievi sono stati formulati al fine di migliorare la procedura e garantire le parti interessate alla decisione, per cui si dà conto dei più importanti.

In primo luogo è stato chiarito l’ambito di applicazione dell’istituto, che riguarda “questioni” e non “controversie” e si estende anche oltre la stipulazione del contratto, sempre che abbia ad oggetto situazioni relative alla procedura di gara, poiché in tal senso milita la lettera della legge e non può escludersi l’utilità di una soluzione precontenziosa anche in una fase avanzata dell’appalto.

In secondo luogo si è suggerito di precisare che l’istanza di parere precontenzioso, salva l’ipotesi in cui sia stata proposta contestualmente da tutti i soggetti coinvolti nella vicenda, venga comunicata a “tutti i soggetti interessati alla soluzione della questione oggetto della medesima”, dovendosi intendere nell’ampia dizione di “interessati” anche quelli che nel processo amministrativo sarebbero controinteressati, coerentemente al significato che detto termine ha negli articoli in esame, allorquando si usa l’espressione “parti interessate” per designare tutti coloro la cui posizioni giuridiche sono toccate dal parere. Tale soluzione è apparsa preferibile, oltre che per ragioni di coerenza sistematica, anche sul piano strettamente lessicale: il termine controinteressato assume una diversa valenza secondo che si riferisca al procedimento o al processo, poiché nel primo il controinteressato è colui che è, senza essere destinatario dell’atto, può riceverne pregiudizio (cfr. art. 7 della legge n. 241 del 1990) e perciò è legittimato ad impugnare il provvedimento finale, nel secondo il controinteressato è colui che vanta un interesse uguale e contrario a quello del ricorrente, quindi nella posizione di resistere al ricorso. Impiegare il termine “controinteressato” nel contesto della procedura di precontenzioso, dunque, darebbe adito a dubbi interpretativi.

In terzo luogo è apparso opportuno ripristinare l’audizione delle parti dinanzi all’Autorità, almeno per le controversie di maggior rilievo, collocandola dopo la scadenza del termine per prestare l’eventuale assenso al parere. La brevità del termine per concludere il procedimento non costituisce un impedimento assoluto, sol che si abbia l’accortezza di prevedere modalità di convocazione rapide, ad esempio in forma telematica, e un contraddittorio orale semplificato e senza formalità.

In quarto luogo è stata suggerita l’eliminazione della disposizione relativa al riesame del parere vincolante, foriera di ulteriori complicazioni, nell’ipotesi – piuttosto probabile – di un’interferenza tra il procedimento di riesame e il processo, attesa l’impugnabilità dei pareri vincolanti dinanzi al giudice amministrativo.

Da ultimo, è stata integralmente riformulata la disposizione relativa agli effetti del parere. La Commissione ha distinto tre ipotesi.

La prima è l’obbligo di comunicazione all’ANAC della stazione appaltante che abbia manifestato la volontà di attenersi al parere, avente ad oggetto la eventuale proposizione di ricorso giurisdizionale avverso il parere ovvero le determinazioni adottate al fine di adeguarsi al parere stesso.

La seconda è l’obbligo di comunicazione all’ANAC delle parti diverse dalla stazione appaltante che abbiano manifestato la volontà di attenersi al parere, avente ad oggetto la eventuale proposizione di ricorso giurisdizionale avverso il parere ovvero l’avvenuta acquiescenza al parere.

La terza è l’obbligo di comunicazione all’ANAC delle parti che non hanno manifestato la volontà di attenersi al parere, avente ad oggetto le proprie determinazioni conseguenti al parere.

VEDI ANCHE
Il testo integrale del parere del Consiglio di Stato, commmisione spececiale, 14 settembre 2016, n. 1920

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