In attesa che la Corte di Giustizia si pronunci sulla corretta interpretazione dell’art. 95, comma 10 d.lgs. 50 del 2016, l’ANAC e la giurisprudenza amministrativa continuano a formulare considerazioni discordanti al riguardo
Alcuni recenti (e controversi) provvedimenti dei giudici amministrativi e dell’Autorità Anticorruzione, che saranno sinteticamente analizzati nel prosieguo, offrono l’occasione per fare il punto sugli orientamenti sviluppatisi in tema di indicazione dei “costi della manodopera” e degli “oneri aziendali concernenti l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro” di cui all’art. 95, comma 10 d.lgs. 50/2016, come modificato dal decreto correttivo.
La disposizione in commento costituisce, come noto, una delle novità più discusse del nuovo Codice dei Contratti Pubblici che, a più di due anni dall’entrata in vigore, continua a sollevare numerosi interrogativi: la norma prevede un obbligo di indicazione separata degli oneri ivi indicati o una facoltà? In caso di mancata specificazione, l’offerta può essere regolarizzata? E se sì, attraverso quale rimedio?
A risentire di tale situazione di profonda incertezza interpretativa sono gli operatori del settore, le imprese ma anche le stazioni appaltanti, le quali in assenza di orientamenti chiari e univoci sul punto, non sono in grado di conoscere anticipatamente le conseguenze derivanti dall’omessa richiesta (nella lex specialis di gara) o indicazione (nell’offerta economica) dei costi di cui all’art. 95, comma 10 d.lgs. 50/2016.
In un’ordinanza di aprile indirizzata alla Corte di Giustizia, il Tar Lazio (sez. II bis, 24 aprile 2018, n. 4562) aveva aderito ad un’interpretazione rigorosa, e per questo apparentemente contraria ai principi europei dettati in materia di appalti pubblici, della norma in esame. Secondo tale lettura, la disposizione imporrebbe l’automatica esclusione degli operatori economici che abbiano omesso di specificare i costi della manodopera, ma la medesima regola può valere anche con riferimento agli oneri per la sicurezza, senza possibilità di ricorrere al rimedio del soccorso istruttorio ex art. 83, comma 9 d.lgs. 50/2016 per regolarizzarla. E ciò indipendentemente dal fatto che le imprese abbiano computato i predetti oneri nella formulazione definitiva dell’offerta e che le amministrazioni aggiudicatrici non abbiano espressamente richiesto di indicarli separatamente.
Tali conclusioni sono state più di recente confermate dal Consiglio di Stato (sez. V, 25 settembre 2018, n. 5513, commentata su questo sito in data 2 ottobre 2018), che ha optato per l’obbligatorietà ex lege della separata indicazione dei costi di cui all’art. 95, comma 10 d.lgs. 50/2016, pena l’automatica e immediata estromissione dalla gara dell’impresa inadempiente, non potendosi più utilizzare il soccorso istruttorio per incompletezze e irregolarità relative all’offerta economica.
Nella vigenza del precedente codice appalti, che però non prevedeva l’esplicita indicazione dei costi della manodopera né di quelli derivanti dall’adempimento degli obblighi di sicurezza a tutela dei lavoratori, la questione era stata diversamente risolta dalla nota sentenza Pizzo della Corte di Giustizia (sez. VI, 2 giugno 2016, C-27/15) e da successive pronunce dell’Adunanza Plenaria (27 luglio 2016, 19 e 20), le quali avevano concluso per l’ammissibilità del soccorso istruttorio in presenza di un vizio meramente formale dell’offerta, configurabile nel caso in cui le imprese non avessero specificato la quota di prezzo corrispondente ai costi per la sicurezza, ricomprendendoli però nell’offerta; per l’esclusione dalla gara, qualora gli operatori non ne avessero viceversa tenuto conto, configurandosi in questa ipotesi una carenza di ordine sostanziale di per sé insanabile. L’operatività di tale regola era, comunque, subordinata a due condizioni: l’amministrazione non doveva aver prescritto nella lex specialis di gara l’obbligo di separata indicazione degli oneri in parola e non doveva essere in contestazione, da un punto di vista sostanziale, che l’offerta li avesse rispettati.
Tali principi, seppur richiamati dai giudici amministrativi nelle pronunce in commento, non sono stati ritenuti applicabili ai casi di specie poiché riferibili alle sole gare indette prima dell’entrata in vigore del nuovo codice.
Di diverso avviso si è, invece, mostrata l’ANAC che in alcune delibere (n. 757 del 5 settembre 2018; 417 e 420 del 2 maggio 2018), successive all’ordinanza di rimessione sopra esaminata, è giunta a conclusioni di segno opposto, facendo propri gli insegnamenti dei giudici europei e della Plenaria anche con riguardo alla disciplina di cui all’art. 95.
In primo luogo, tale disposizione sarebbe da considerare norma imperativa, non derogabile dal bando ed, anzi, idonea ad integrarlo in caso di silenzio dello stesso sui costi della manodopera e per la sicurezza.
In secondo luogo, occorrerebbe distinguere, anche in base alla normativa attualmente vigente, fra le carenze di ordine formale, passibili di sanatoria e quelle di ordine sostanziale, invece, insanabili poiché idonee a ingenerare incertezza assoluta sul contenuto dell’offerta.
Ma attraverso quale strumento? Anche su tale specifico profilo la stessa Autorità ha formulato pareri fra loro apparentemente poco coerenti, facendo espresso riferimento, in alcuni casi (del. n. 757 del 5 settembre 2018) al rimedio del soccorso istruttorio di cui all’art. 83, comma 9 d.lgs. 50/2016 e prevedendo in altri (del. 417 e 420 del 2 maggio 2018), una generica richiesta di chiarimenti da parte delle stazioni appaltanti.
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