Ovviamente, le cose, nella vita concreta, non stanno affatto così. La concentrazione delle stazioni appaltanti di per sé non è e non può essere sintomo di riduzione dei costi degli appalti. Per un verso, il caso del Cev dimostra come anche le centrali di committenza possano essere al centro di corruttele e turbative d’asta; per altro verso, è a tutti largamente noto che se si mettono a base di gara i prezzi delle convenzioni Consip, generalmente si ottengono ribassi ulteriori e molto robusti rispetto a quanto “spuntato” dalla principale centrale di committenza italiana.
Sta di fatto che la volontà di assecondare gli slogan facili a fare breccia nei media ha prodotto, come noto, le contorte regole dell’articolo 1 del d.l. 95/2012, l’obbrobrioso articolo 33, coma 3-bis, (più volte ritoccato) del d.lgs. 163/2006 e le ultime ancora più criptiche disposizioni della legge 208/2015 in merito alle acquisizioni di beni e servizi, anche informatici, normativa che ci ha anche regalato il problema dell’identificazione del cosiddetto “organo di vertice amministrativo”, del quale nessuno sentiva il bisogno.
La questione viene trattata, ovviamente, anche dal nuovo codice dei contratti, a tutti presentato come norma di semplificazione e razionalizzazione degli istituti vigenti.
Tuttavia, nel caso di specie il codice non pare aver centrato l’obiettivo di semplificare o razionalizzare alcunché.
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Il nuovo Codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione
Approvato, in via preliminare, il 3 marzo 2016
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