I fatti di causa
A seguito dell’indizione di una procedura a evidenza pubblica veniva disposta l’aggiudicazione della gara in favore di un raggruppamento temporaneo di imprese con il quale la Stazione Appaltante addiveniva, all’esito della verifica dei requisiti, alla stipula del contratto.
In corso di esecuzione la capogruppo mandataria dell’ATI comunicava la propria fuoriuscita dalla compagine con subentro nella posizione di mandataria di altra impresa. In ragione di tale modifica la Stazione Appaltante avviava le verifiche in merito al possesso dei requisiti concludendole con esito positivo.
Una delle imprese originariamente concorrenti (poi divenuta ricorrente nel giudizio che ci occupa), a seguito di accesso agli atti, si doleva di carenze e vizi ravvisati nel riesame effettuato dalla Stazione Appaltante sulla disposta aggiudicazione da cui conseguivano, a suo parere, gli effetti pregiudizievoli della mancata aggiudicazione dell’appalto in suo favore. Per l’effetto, domandava il ristoro dei danni dinanzi al T.A.R..
La decisione del T.A.R. Puglia
Per comprendere la fattispecie di cui si discute occorre prendere le mosse dalla lettura dell’art. 30 del codice del processo amministrativo il cui comma 3 dispone che: “La domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo. Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”.
La norma pone, quindi, a carico della parte che chiede il ristoro di un pregiudizio un quid pluris rispetto alla mera allegazione del pregiudizio subito, occorre infatti che la stessa si sia attivata per conseguire il bene della vita sotteso alla conseguente richiesta risarcitoria.
Ciò non significa che la parte sia obbligatoriamente tenuta, in ipotesi e comunque in linea di principio, a proporre un previo giudizio di annullamento del provvedimento che si assume pregiudizievole ma implica che di una condotta “omissiva”, in termini processuali, si tenga conto ai fini della determinazione dell’an e del quantum del risarcimento.
La valutazione della condotta della parte va osservata, infatti, anche alla luce dell’art. 1227, comma 2, c.c., ai sensi del quale “il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”.
Scendendo, quindi, nel caso che ci occupa la parte ricorrente aveva censurato l’esercizio del potere di autotutela dell’Amministrazione senza, tuttavia, avere mai prima impugnato l’aggiudicazione effettuata a monte rispetto al subentro effettuato, non essendo più possibile una valutazione postuma in punto di legittimità.
Sotto tale aspetto il Collegio sostiene che “la mancata attivazione di tutti gli strumenti volti a evitare il danno, pur non ponendo un problema di ammissibilità dell’actio damni, è idonea ad incidere sulla fondatezza della domanda risarcitoria, rilevando sul piano del nesso di causalità, piuttosto che su quello dell’ingiustizia del danno”.
Poiché, dunque, si sono cristallizzati gli esiti favorevoli del provvedimento di aggiudicazione in capo al primigenio raggruppamento, si è consumato il bene della vita e non è più possibile affermare l’esistenza di un ipotetico legittimo affidamento a una potenziale aggiudicazione. Non potrebbe ravvisarsi, infatti, nel subentro di altra impresa al raggruppamento precedentemente aggiudicatario una sorta di rimessione in termini di altro concorrente sulla impugnazione del provvedimento di aggiudicazione.
La mancanza di tale legittimo affidamento, unitamente alla mancata diligente attivazione degli strumenti di tutela, da azionarsi nei corretti tempi e modi, preclude dunque la proposizione di qualsivoglia richiesta di danni.