I fatti di causa
Un ente locale conveniva in giudizio dinanzi al Giudice Ordinario la società concessionaria del servizio di asilo nido comunale deducendo che quest’ultima avrebbe conseguito indebitamente il pagamento per l’erogazione di servizi, invero ritenuti non prestati, nel periodo di sospensione del servizio affidato, in virtù dei provvedimenti emessi dallo Stato per contrastare l’emergenza da Covid-19.
La società concessionaria si costituiva in giudizio deducendo la piena legittimità dell’erogazione effettuata dall’Amministrazione in quanto la stessa sarebbe stata destinata a coprire non soltanto le attività eminentemente didattiche ma anche le ulteriori prestazioni connesse, a titolo esemplificativo ma non esaustivo, con il mantenimento dell’immobile, con l’approvvigionamento di quanto necessario per la struttura e per la conservazione dell’accreditamento istituzionale.
Deduceva la convenuta, tra l’altro, che oltre alla erogazione del pagamento da parte del comune, di norma il concessionario percepisce la retta dalle famiglie utenti, somma non conseguita invece nel caso di specie proprio a causa del mancato esercizio dell’attività concessa, con conseguente mancato introito del compenso prospettato nell’ambito del quinquennio per il periodo di sospensione delle attività. Da ciò conseguiva, a parere del concessionario, anche la necessità di rideterminare per l’intera durata della concessione gli effettivi guadagni della società sia in relazione al corrispettivo derivante dalla erogazione dell’Ente Locale che con riferimento a quanto dovuto dagli utenti per il servizio in menzione.
La decisione del Tribunale
Le argomentazioni offerte dalla società concessionaria hanno convinto il Giudice di merito sulla legittimità degli importi erogati dall’amministrazione concedente in funzione di quanto previsto dalla concessione e dalle norme regolatrici.
Secondo quanto previsto dall’art. 164 del D.Lgs. n. 50/2016 e stabilito pertanto dalla Direttiva 2014/23/UE, Considerando 20 e art. 5, punto 1, la figura della concessione è connotata dall’elemento del trasferimento all’impresa concessionaria del rischio operativo, il quale altro non è che il rischio di esposizione alle fluttuazioni di mercato sia sul lato della domanda che sul lato dell’offerta, determinate da fattori che sfuggono al controllo dei contraenti.
Secondo il consolidato orientamento del Consiglio di Stato l’elemento qualificante della concessione di servizi è costituito dal trasferimento del rischio economico/operativo a carico dell’affidatario. In particolare, partendo dalla distinzione tra concessione di servizi e appalto di servizi, il Supremo Consesso ha avuto modo di rappresentare che, nel campo dei servizi pubblici, si ha concessione, quando l’operatore si assume in concreto i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull’utenza per mezzo della riscossione di un qualsiasi tipo di canone o tariffa (v. Cons. Stato, Sez. VI, 4 settembre 2012, n. 4682; Cons. Stato, Sez. V, 3 maggio 2012 n. 2531).
Fatta tale premessa di carattere generale, nell’ambito della situazione emergenziale connessa alla pandemia da Covid-19, l’elemento dirimente di ogni valutazione in merito alla legittimità o meno della erogazione del corrispettivo da parte dell’Amministrazione concedente risiede nell’impossibilità sopravvenuta e non imputabile al concessionario di prestare il servizio.
Il c.d. factum principis esonera da responsabilità il concessionario in ordine alla impossibilità di dare adempimento alle prestazioni oggetto di concessione e, al contempo, implica la necessità di meditare sull’esistenza di corrispettività delle prestazioni.
Il Giudice ha dato rilievo al dato secondo cui il contributo erogato dal Comune è in forma fissa e commisurato su una durata predefinita (nel caso di specie il quinquennio) e prescinde da altri elementi quali l’iscrizione o meno nella scuola degli alunni, implicando la necessità che quel contributo sia comunque destinato a favorire il concessionario nella erogazione del miglior servizio possibile per soddisfare le esigenze delle famiglie.
In tale valutazione, dunque, ci si discosta dal tema del rischio operativo che ordinariamente ricade in capo al concessionario in quanto quest’ultimo, esonerato dalle responsabilità che gli derivano dal contratto ai sensi degli articoli 1218 e 1223 c.c. per effetto degli eventi pandemici, non può neppure vedere aggravata la propria posizione con una minore riscossione delle entrate preventivate nell’ambito del Piano Economico Finanziario.
Grande rilievo è stato, d’altronde, assegnato allo strumento della revisione del PEF in termini appunto di rinegoziazione, unica via ritenuta dal Giudice percorribile per ponderare, nel corretto contraddittorio delle parti, gli effetti della pandemia e così rideterminare le condizioni di equilibrio del rapporto obbligatorio, alterate dall’impossibilità di rendere la prestazione per effetto di un ordine governativo.
Su tali basi è stato valorizzato, piuttosto, il potere dell’amministrazione concedente di procedere all’adozione degli atti e provvedimenti utili a determinare una ridefinizione dei tempi e degli elementi economici della concessione, sulla scorta di quanto invero richiesto dal concessionario nel caso di specie, e in linea con quanto previsto dall’art. 106, comma 1, lett. C) del D.Lgs. n. 50/2016 che, proprio per far fronte all’emergenza sanitaria, costituiva un valido strumento per consentire le variazioni dei contratti in corso di esecuzione, ovviamente nei limiti stabiliti dalla norma e in conformità con la previsione dell’art. 165, comma 6, del d.lgs. n. 50/2016 ai sensi del quale “Il verificarsi di fatti non riconducibili al concessionario che incidono sull’equilibrio del piano economico finanziario può comportare la sua revisione da attuare mediante la rideterminazione delle condizioni di equilibrio”.
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