Misure per l’accelerazione degli appalti pubblici nei post emergenza del paese

Le emergenze degli ultimi anni hanno animato una discussione sulla necessità di accelerare gli appalti pubblici del Paese

Paolo Capriotti 11 Maggio 2020
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Le emergenze degli ultimi anni hanno animato una discussione sulla necessità di accelerare gli appalti pubblici del Paese

Tale esigenza è derivata dalla doppia volontà di raggiungere rapidamente lo stato di normalità in conseguenza ad eventi catastrofici (crisi sismiche, alluvioni e altro) oppure per far ripartire l’economia nel caso dell’ultima emergenza sanitaria Covid.

Da qualche anno perciò ognuno dice la sua su quali possano essere i rimedi che potrebbero portare alla velocizzazione degli appalti, le visioni sono molteplici e in taluni casi sono distorte rispetto alla reale efficacia delle misure proposte.

L’esigenza è chiaramente quella di comprimere il ciclo di realizzazione dell’opera pubblica, dalla pianificazione al collaudo, in modo che le spese di realizzazione degli appalti creino prima possibile una iniezione di denaro nel mercato e in maniera tale che la fruizione dell’opera porti rapidamente sviluppo, servizi e ricchezza nella società.

Compreso che, la questione è solo temporale e compattare il ciclo porta indubbiamente maggiori benefici a tutti, cerchiamo allora di capire dove abbiamo maggiore necessità di intervenire.

Di seguito un diagramma estratto dal censimento 2018 fatto dall’Agenzia per la Coesione Territoriale.

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Comprendiamo subito che sono poco influenti nel raggiungimento dell’obiettivo le azioni che guardano al segmento “Affidamento” poiché tale fase è minima nel bilancio temporale totale del ciclo, quindi chi pensa di accelerare promuovendo particolari tipologie di gara sbaglia di grosso, non focalizza il problema.

Ad esempio, spesso vengono proposte le procedure negoziate quale mezzo di accelerazione, come se la settimana di risparmio in pubblicità della procedura negoziata possa cambiare nel bilancio complessivo, ricordiamo anzi che il legislatore con l’inversione procedimentale di apertura delle offerte ha già in parte risolto il problema di gare aperte troppo lunghe.

Nemmeno traslare la progettazione esecutiva sull’esecutore porta benefici, è facile comprendere che la progettazione affidata ad un nuovo soggetto esterno crea senz’altro un allungamento dei tempi rispetto all’ipotesi del progettista della stazione appaltante, in quanto questo è già lanciato nelle attività di progettazione definitiva e conosce bene l’operazione di approfondimento finale da effettuare, senza poi dover effettuare analisi preventive particolari.

Quindi la fase di procurement non presenta particolari criticità e non dobbiamo concentrarci su essa per individuare azioni correttive di snellimento.

Per andare alla fase iniziale, quella azzurra, riteniamo invece che qualcosa possa migliorarsi, il legislatore del D. Lgs. 50/2016 ha ben compreso che i tempi di attraversamento tra le fasi progettuali, intesi come tempi tra una progettazione e l’altra, non devono essere occasione di amplificazione di dilatazione temporali che si generano tra le connessioni di più soggetti e uffici che lavorano alla fase progettuale.

Proprio per questo, il nuovo codice ha soppresso una fase progettuale, con una benefica fusione tra i contenuti del progetto di fattibilità e del progetto preliminare.

Nella dilatazione della fase iniziale contribuisce significativamente in maniera negativa tutta quella parte procedurale relativa all’acquisizione di pareri esterni all’organizzazione, il nostro Paese è caratterizzato da una moltitudine di Enti che sovrintendono all’approvazione dell’opera: autorizzazioni paesaggistiche, monumentali, nulla osta idraulici, parere sanitario, VIA, VAS, Vinc, autorizzazione gestori sottoservizi, antincendio, demanio e altro.

Dunque ci si deve concentrare su questa criticità che è la maggiore, dobbiamo eliminare passaggi e connessioni nelle approvazioni progettuali, chi scrive è convinto che la strada giusta sia quella creare uffici centralizzati per l’approvazione dei progetti, nemmeno conferenze di servizi, ma una struttura unica con dipendenti, in distacco magari da altre amministrazioni, che approvano i progetti.

L’approccio vincente sta nell’accorpare le fasi di pianificazione, progettazione e approvazione su di un numero ridotto di soggetti, se poi fosse uno solo ancor meglio, non si pensi ai conflitti tra controllore e controllato, chiaramente sotto un’unica organizzazione ci saranno più uffici e responsabili indipendenti, coordinati però da un’unica regia.

In combinazione a quanto detto poi, porterebbe beneficio la proposta di rivedere il reato penale dell’abuso d’ufficio, questo darebbe certezza di diritto e conseguente speditezza nell’operato del pubblico dipendente che copre ruoli decisori.

Per venire all’ultima fase, quella di esecuzione, per contenere i tempi di realizzazione quello che deve essere evitato è il contenzioso e la ricaduta in varianti, che essenzialmente sono due facce della stessa medaglia, due diverse soluzioni alla mancata previsione progettuale o alla sottostima della consistenza.

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In questo contesto si deve entrare in una nuova ottica, quella di prevenire contenzioso e varianti, o in altro modo mitigare il rischio e/o trasferirlo ad altri.

Strumenti concreti ci sono e non sarà certamente l’appalto integrato a lasciare indenni le stazioni appaltanti da varianti e contenzioso, questo sempre per tornare a proposte ingiustificate dei legislatori di turno e per demolire definitivamente uno strumento inutile e dispendioso.

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