Commento a T.a.r per il Lazio, sez. II ter, 6 marzo 2024, nn. 4493, 4494 e 4495
Premessa
Con le sentenze gemelle in commento, il T.a.r per il Lazio (sez. II ter, 6 marzo 2024, nn. 4493, 4494 e 4495) si è soffermato su un tema di grande attualità, ossia se sussista o meno a carico degli operatori economici un onere di immediata impugnazione della legge di gara che non contenga riferimenti alle specifiche tecniche, alle clausole contrattuali e ai criteri premiali previsti dai decreti relativi ai CAM.
I fatti di causa
Le pronunce originano dall’impugnazione dei provvedimenti di aggiudicazione dei tre lotti in cui era stata suddivisa una procedura aperta indetta – nella vigenza del d.lgs. n. 50/2016 – per l’affidamento del servizio di pulizia, decoro e manutenzione del verde nei cimiteri.
Tutti e tre i ricorsi sono stati affidati a un unico motivo di doglianza, consistente nella violazione degli artt. 34 e 71 del d.lgs. n. 50/2016, a causa dell’omesso inserimento – nella documentazione progettuale e di gara – delle specifiche tecniche, delle clausole contrattuali e dei criteri premianti previsti dai D.M. 10 marzo 2020, n. 63 (“Criteri ambientali minimi per il servizio di gestione del verde pubblico e la fornitura di prodotti per la cura del verde”) e 29 gennaio 2021, n. 51 (“Criteri ambientali minimi per l’affidamento del servizio di pulizia e sanificazione di edifici e ambienti ad uso civile, sanitario e per i prodotti detergenti”).
In particolare, ad avviso del ricorrente, da tale omissione sarebbe derivata l’illegittimità del bando e dell’intera procedura, senza che ciò comportasse tuttavia un onere di immediata impugnazione della legge di gara, non contenendo quest’ultima “clausole che impedissero la formulazione delle offerte da parte dei concorrenti”.
La decisione del TAR
Il tribunale amministrativo territoriale ha, invece, dichiarato irricevibili i ricorsi per mancata tempestiva impugnazione del bando di gara nel termine di trenta giorni dalla sua pubblicazione.
Infatti, pur essendo il Collegio consapevole dell’orientamento giurisprudenziale in base al quale la non conformità della legge di gara agli artt. 34 e 71 del d.lgs. n. 50/2016 in tema di criteri ambientali minimi non costituisce un vizio tale da imporre un’immediata impugnazione del bando, “non ricadendosi nei casi eccezionali di cause escludenti o impeditive” (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. III, 14 ottobre 2022, n. 8773), purtuttavia “quando la violazione dei principi che informano le procedure di evidenza pubblica risulta già immediatamente evidente e percepibile al momento dell’indizione della gara (…) posporre l’impugnazione della lex specialis fino al momento dell’aggiudicazione non solo non risulta coerente, ma si pone anche in contrasto con il dovere di leale collaborazione e con i principi di economicità dell’azione amministrativa e di legittimo affidamento, immanenti anche nel procedimento amministrativo che governa le procedure evidenziali”.
Ebbene, osservano ulteriormente i giudici amministrativi, nel caso di specie rimesso al loro esame “è evidente che il ricorrente (…) ha atteso di verificare di non essersi collocato in posizione utile all’aggiudicazione e, soltanto dopo di ciò, ha ritenuto di impugnare la lex specialis, senza però nulla eccepire circa la violazione delle invocate prescrizioni ministeriali da parte dei controinteressati, bensì (…) asserendo in generale l’illegittimità della legge di gara per l’asserita violazione di questi ultimi”.
Nella motivazione della sentenza, il tribunale amministrativo territoriale si sofferma brevemente anche sul meccanismo dell’eterointegrazione della legge di gara nelle ipotesi in cui le stazioni appaltanti – così come verificatosi anche nella vicenda in esame – omettano di richiamare le prescrizioni in materia di C.A.M.
In proposito, la giurisprudenza consolidata, muovendo dall’assunto che dette prescrizioni “lungi dal risolversi in mere norme programmatiche, costituiscono in realtà obblighi immediatamente cogenti per le stazioni appaltanti” (Consiglio di Stato, n. 9398/2023), ha chiarito che attraverso il meccanismo sopra richiamato le stesse entrano “a far parte della legge di gara […] finanche in ipotesi di completa omissione, sul punto, della lex specialis (cfr. TAR Veneto – sez. I, 18/3/2019 n. 329: “si deve ritenere che l’obbligo di rispettare i criteri minimi ambientali derivi direttamente dalla previsione contenuta all’art. 34 del D.Lgs. n. 50/2016, che costituisce norma imperativa e cogente e che opera, pertanto, indipendentemente da una sua espressa previsione negli atti di gara […]. Difatti, nel caso di specie è ravvisabile una mera lacuna nella legge di gara, dal momento che la Stazione appaltante ha omesso di inserire la regola sul rispetto dei CAM, prevista come obbligatoria dall’ordinamento giuridico. E tale lacuna può quindi essere colmata, in via suppletiva, attraverso il meccanismo di integrazione automatica, in base alla normativa vigente in materia (cfr. Cons. Stato, sez. III, 24.10.2017, n. 4903)” (ancora TAR Campania n. 377/2024).
Tuttavia, concludono i giudici amministrativi, nel caso di specie “non mette conto indagare se i c.d. CAM siano, o non, suscettibili di eterointegrare la lex specialis nella gara (il che attiene, invece, al merito del ricorso), in quanto la questione della immediata impugnabilità (o non) del bando attiene alla preliminare questione della tempestività del gravame”.
Alcuni spunti di riflessione
Le pronunce che si annotano – pur essendo espressione, ad oggi, di un indirizzo interpretativo ancora minoritario – sollevano taluni interrogativi, soprattutto in considerazione della rilevanza assunta dai criteri ambientali minimi nell’ambito delle procedure di evidenza pubblica.
È, infatti, noto che i CAM rappresentano lo strumento giuridico individuato dal legislatore nazionale per il conseguimento degli obiettivi di sostenibilità ambientale definiti dal “Piano d’azione nazionale per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione” (cfr., da ultimo, D.M. 3 agosto 2023).
La ratio dell’obbligatorietà dei medesimi risiede, da un lato, nell’esigenza di garantire l’incisività della politica nazionale sulla riduzione degli impatti ambientali, sulla promozione di modelli di produzione e consumo maggiormente sostenibili e circolari e sulla diffusione della c.d. occupazione verde (così Cons. Stato, Sez. V, 10 novembre 2022, n. 9879) e, dall’altro, nella necessità di conseguire una razionalizzazione dei consumi della pubblica amministrazione, riducendone ove possibile la spesa (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 22 ottobre 2021, n. 7093).
Tali esigenze risultano, peraltro, coerenti con l’evoluzione cui è andato incontro il contratto di appalto: si tratta di uno strumento che si è trasformato – per il diffondersi di una logica ispirata a un uso alternativo dei contratti pubblici – da mero strumento di acquisizione di beni, servizi e forniture a “strumento di politica economica” (così Cons. Stato, Sez. III, 14 ottobre 2022, n. 8773), capace di orientare i modelli economici verso una maggiore sostenibilità ambientale, economica, sociale ed etica e di influenzare il mercato, contribuendo alla creazione di valore pubblico. Si è, così, affermato che “nell’attuale quadro normativo, soprattutto per effetto delle direttive di seconda e terza generazione, il contratto di appalto non è (…) soltanto un mezzo che consente all’amministrazione di procurarsi beni o di erogare servizi alla collettività, ma – per utilizzare categorie civilistiche – uno «strumento a plurimo impiego» funzionale all’attuazione di politiche pubbliche ulteriori rispetto all’oggetto negoziale immediato: in altre parole uno strumento – polifunzionale – di politiche economiche e sociali, con conseguenti ricadute sulla causa del provvedimento di scelta del contraente” (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 29 dicembre 2023, n. 11322).
Se questo è il contesto di riferimento, è evidente che, mentre un’eventuale pronuncia in rito su un profilo così delicato non pare destinata a creare particolari problemi in presenza di una procedura di gara correttamente impostata anche in relazione agli aspetti riferiti ai criteri ambientali minimi, visto che il conseguimento dei predetti obiettivi verrebbe comunque assicurato tanto nella fase di affidamento quanto in quella di esecuzione, non sembra potersi dire lo stesso laddove la lex specialis di gara non risulti conforme alla disciplina vigente in materia di CAM.
In quest’ultima ipotesi, infatti, il raggiungimento di questi obiettivi finirebbe, nei fatti, per essere “sacrificato” per ragioni di celerità ed economicità dell’azione amministrativa. Il ricorrente, in particolare, non potrebbe – per effetto della declaratoria di irricevibilità del ricorso – aspirare ad ottenere, nel merito, il bene della vita anelato (i.e. annullamento della procedura, con conseguente riedizione della medesima, emendata dal vizio in questione) e l’amministrazione, dal canto suo, finirebbe con l’acquisire una prestazione che, nei fatti, risulterebbe priva di quella qualità che i CAM vogliono assicurare e che richiede di essere valorizzata anche attraverso una corretta determinazione dell’importo da porre a base di gara.
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