Come era stato previsto sin dalla modifica dell’art. 5 del d.lgs. 33/2013 da parte del d.lgs. 97/2016, ANAC ha predisposto una bozza di linee guida poste in consultazione, finalizzate, una volta strutturate nel testo definitivo, a garantire uniformità alla disciplina del nuovo accesso civico introdotto dal citato d.lgs. 97/2016 ed inserito nell’art. 5 sopra citato.
L’aspetto problematico della nuova disciplina riguarda, in effetti, i limiti di operatività del nuovo tipo di accesso, resi problematici a causa dell’ampia portata applicativa del nuovo diritto per il quale non si rende necessario il possesso di un interesse diretto concreto e attuale, indispensabile presupposto, invece, nell’accesso tradizionale ex legge 241/1990.
Il nuovo accesso, deve essere tenuto distinto non solo da quello tradizionale di cui alla legge 241/1990, ma anche dal previgente accesso civico, anche questo contenuto nel medesimo art. 5 del d.lgs. 33/2013, ed avente ad oggetto tutto ciò che deve, per legge, essere pubblicato: ANAC, per evitare confusione ha chiamato “accesso civico” la previgente disciplina e “accesso generalizzato” la nuova forma di accesso introdotta dalla riforma.
Il rinnovellato articolo 5 del d.lgs. 33/2013 prevede dunque che “chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati giuridicamente rilevanti, secondo quanto previsto dall’art. 5-bis”, si traduce, in estrema sintesi, in un diritto di accesso non condizionato dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti ed avente ad oggetto tutti i dati e i documenti e informazioni detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli per i quali è stabilito un obbligo di pubblicazione.
Il nuovo “accesso generalizzato” si propone pertanto quale strumento avente la finalità di “favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”.
Il fine della riforma è pertanto quella di garantire al cittadino una maggiore trasparenza dell’attività pubblica e conseguentemente un controllo generalizzato sull’operato della Pubblica Amministrazione (esattamente ciò che la giurisprudenza amministrativa sul diritto di accesso ex legge 241/1990, ha sempre osteggiato al fine di evitare la paralisi dell’attività amministrativa).
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