Tale regola di fonte giurisprudenziale è stata ribadita, da ultimo, da Consiglio di Stato, Sez. III, 3 novembre 2022, n. 9567 ed è ora codificata nel nuovo art. 35, comma 1, del testo del decreto legislativo di riforma del Codice dei contratti pubblici approvato, in esame preliminare, dal Consiglio dei Ministri.
Con la sentenza della III Sezione n. 9567 del 3 novembre 2022, il Consiglio di Stato è tornato ad affrontare il tema relativo all’applicabilità dell’istituto dell’accesso civico generalizzato al settore dei contratti pubblici.
E lo ha fatto con un intervento netto, idoneo a garantire il definitivo superamento di quegli indirizzi in tema di rapporto tra accesso documentale e accesso civico generalizzato non del tutto coerenti con le indicazioni fornite dalla decisione dell’Adunanza Plenaria n. 10 del 2 aprile 2020, che pure erano emersi successivamente alla pubblicazione di tale pronuncia specie nella giurisprudenza dei giudici di primo grado (cfr., per tutte, TRGA di Trento, 6.7.2021, n. 49 e TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 17.8.2021, n. 1939 secondo cui “l’accesso civico non può costituire una sorta di lasciare passare attribuito al soggetto che in base alla disciplina generale ex l. 241/1990 non sia titolare di una posizione giuridica tutelabile in relazione alla domanda di accesso”).
La sentenza in questione assume, peraltro, un rilievo simbolico in quanto resa (il 3 novembre scorso) in concomitanza con il decimo anniversario dell’entrata in vigore della legge 6 novembre 2012, n. 190, recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione” ed in un momento storico caratterizzato dalla presenza di numerose e rilevanti gare (aggiudicate, in corso di espletamento o di imminente indizione) finalizzate a dare attuazione agli obiettivi del PNRR.
Va osservato al riguardo come proprio i giudici di Palazzo Spada avessero infatti evidenziato, già prima del suindicato intervento dell’Adunanza Plenaria, che l’ammissibilità dell’accesso civico nella materia dei contratti pubblici si giustificava anche alla luce dell’esigenza “di perseguire procedere di appalto trasparenti come strumento di prevenzione e contrasto alla corruzione” (cfr. Cons. St., Sez. III, 5 giugno 2019, n. 3780, già segnalata in questa Rivista).
Il caso
L’oggetto del giudizio all’esame del Consiglio di Stato riguardava una procedura aperta indetta per l’affidamento del servizio di ossigenoterapia domiciliare aggiudicato ad un dato operatore economico (società A) e, più in particolare, il silenzio serbato sull’istanza di accesso all’offerta tecnica della società A formulata da altra ditta (società B, che – da quanto si evince dalla lettura della decisione – era rimasta estranea alla procedura di gara).
La stazione appaltante negava l’accesso documentale sul rilievo del difetto di legittimazione della richiedente l’accesso ai sensi dell’art. 53 del d.lgs. n. 50/2016.
Con successiva nota, la società B riproponeva e integrava l’originaria istanza di accesso, precisando che la domanda avrebbe dovuto intendersi formulata (questa volta) anche come accesso civico generalizzato ai sensi degli artt. 5 e 5-bis del d.lgs. n. 33/2013 per la dichiarata <<finalità di conoscere con quali mezzi e con quali soluzioni logistiche [la società aggiudicataria] intendesse assicurare la capillarità del servizio di distribuzione dei presidi di ossigenoterapia>>.
Il silenzio serbato dalla stazione appaltante su quest’ultima istanza veniva impugnato dalla società B con ricorso avanti al TAR, il quale tuttavia lo dichiarava inammissibile, rilevando che la mancata impugnazione del diniego a suo tempo emanato non avrebbe consentito la reiterabilità dell’istanza di accesso e la conseguente impugnazione del successivo diniego, che assumeva carattere meramente confermativo del primo (non impugnato).
La decisione del Consiglio di Stato
I Giudici di Palazzo Spada hanno riformato la sentenza del TAR statuendo che fosse, invece, obbligo della Stazione appaltante esaminare la “specifica diversa richiesta … formulata per la prima volta [nella seconda istanza] … di accesso civico generalizzato”.
L’impianto motivazionale della decisione di secondo grado poggia sui seguenti due assunti, che si pongono in linea con i principi espressi dall’Adunanza Plenaria n. 10/2020:
- sussiste una differenza ontologica tra l’accesso ordinario/documentale e l’accesso civico generalizzato.
Mentre l’art. 22 della legge n. 241/1990 consente l’accesso ai documenti a chiunque abbia un interesse finalizzato alla tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, l’accesso civico generalizzato è riconosciuto e tutelato al fine di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo di risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico e può essere esercitato da chiunque e senza alcun onere di motivazione;
- con l’introduzione dell’istituto dell’accesso civico generalizzato (ad opera dell’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013), il Legislatore ha inteso superare il limite del divieto del controllo generalizzato sull’attività delle pubbliche amministrazioni (e dei soggetti ad essi equiparati) previsto per lo strumento dell’accesso documentale disciplinato dalla legge n. 241/1990.
L’accesso civico generalizzato, dichiaratamente ispirato al c.d. “Freedom of information act” del sistema giuridico statunitense, è infatti finalizzato a garantire il controllo democratico sull’attività amministrativa.
Sulla scorta di quanto precede, il Consiglio di Stato ha evidenziato che le due istanze di accesso contenute nella seconda richiesta formulata dalla società B, per quanto contenutisticamente analoghe, non fossero sovrapponibili sotto il profilo soggettivo (della legittimazione) e dei presupposti, dovendosi riconoscere una modifica oggettiva della fonte della domanda ostensiva e delle ragioni poste a suo fondamento.
Considerato che la giurisprudenza è concorde nel ritenere che il (secondo) diniego ad una nuova domanda di accesso non abbia natura confermativa allorché quest’ultima sia basata su fatti nuovi e su una diversa prospettazione della legittimazione all’accesso (cfr., ad esempio, Cons. St., Sez. V, 6.11.2017, n. 5996), a maggior ragione – afferma il Consiglio di Stato – tale principio rileva quando un’ulteriore istanza di accesso è basata su un quadro normativo diverso da quello posto a base della precedente istanza, sicché sussiste l’obbligo di esaminarla.
La conclusione cui perviene il Giudice d’appello è, dunque, che la disciplina dell’accesso civico generalizzato è applicabile, fermi i divieti temporanei o assoluti di cui all’art. 53 del d.lgs. n.50/2016, anche agli atti delle procedure di gara e, in particolare, all’esecuzione dei contratti pubblici, nel rispetto delle eccezioni enucleate dall’art. 5-bis, commi 1 e 2 del d.lgs. n. 33/2013 (secondo l’insegnamento fornito dell’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 10 del 2 aprile 2020).
Può definitivamente osservarsi come la decisione in rassegna si collochi nel solco di quell’indirizzo giurisprudenziale, che ha inteso sanare il difetto di coordinamento tra la disciplina sull’accesso civico introdotta dal d.lgs. n. 33/2013 (e modificata dal d.lgs. n. 97/2016) e gli artt. 53 del d.lgs. n. 50/2016 e 22 e ss. della l. n. 241/1990 attraverso la valorizzazione dell’impatto “orizzontale” dell’accesso civico, il quale <<non è limitabile da norme preesistenti (e non coordinate con tale istituto) ma soltanto da prescrizioni speciali e interpretabili restrittivamente che la stessa nuova normativa ha introdotto al suo interno>> (in questi termini, Cons. St., Sez. III 5.6.2019, n. 3780).
Preme, da ultimo, evidenziare come la riferita regola di natura pretoria sulla generale applicabilità dell’istituto dell’accesso civico generalizzato al settore dei contrati pubblici sia stata ora recepita nel testo del nuovo art. 35, “Accesso agli atti e riservatezza”, comma 1 dello schema di decreto legislativo di riforma del Codice dei contratti pubblici approvato dal Consiglio dei Ministri, il quale, con norma applicabile a tutti i nuovi procedimenti a far data dal 1° aprile 2023, stabilisce che <<Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti assicurano in modalità digitale l’accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, mediante acquisizione diretta dei dati e delle informazioni inserite nelle piattaforme, ai sensi degli articoli 3-bis e 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990 n. 241 e degli articoli 5 e 5-bis del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33>>.
Benché la laconica formulazione di tale previsione non pare possa escludere l’esigenza di una costante e puntuale attività interpretativa da parte della giurisprudenza anche per il futuro, di certo la codificazione della regola su descritta deve essere accolta con estremo favore.
Le esigenze di accesso civico generalizzato infatti assumono, con riferimento alla materia dei contratti pubblici, una particolare e più pregnante connotazione, perché costituiscono la «fisiologica conseguenza» dell’evidenza pubblica posto che <<ciò che è pubblicamente evidente, per definizione, deve essere anche pubblicamente conoscibile salvi ovviamente i limiti di legge>>.
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