La tutela dell’assetto concorrenziale del mercato nella predisposizione di una procedura di gara preordinata all’affidamento di servizi postali

A cura di Paola Mazzarese

1 Agosto 2024
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Consiglio di Stato, sez. VI, 21 marzo 2024, n. 3641.
 
Confronto concorrenziale – servizi postali – Poste Italiane S.p.A. – piccoli e medi operatori postali – copertura C.A.P. – suddivisione dell’appalto in lotti – concorrenza – contrasto giurisprudenziale – caducazione automatica delle aggiudicazioni derivante dall’annullamento del bando – aree EU2 – indebito vantaggio concorrenziale – strategie di compensazione – D.Lgs. n. 50/2016 – fornitore del servizio universale – liberalizzazione mercato postale
 
La struttura di una gara deve essere tale da consentire anche ai piccoli e medi operatori economici di parteciparvi; strumenti di compensazione come il r.t.i. e il subappalto sono di natura negoziale e necessitano, quindi, del consenso di altri operatori. Si tratta di strumenti che non possono ritenersi integralmente equivalenti alla strutturazione della gara in modo conforme ai principi a tutela della concorrenza.
L’espresso divieto di ricorrere al fornitore del servizio universale incide sulla possibilità di assicurare una copertura del lotto da parte degli operatori, costringendoli a contare astrattamente solo sulle proprie reti.
La violazione di un effettivo e concreto confronto concorrenziale lede sia l’interesse degli operatori del settore a concorrere gli uni con gli altri su un piano di non discriminazione, sia l’interesse della stessa Stazione Appaltante ad avere una platea di concorrenti più vasta possibile, in funzione del perseguimento del miglior risultato possibile nell’affidamento e nell’esecuzione dei contratti.

Indice

Il caso di specie

La controversia giunta all’attenzione del Consiglio di Stato riguarda una gara di appalti indetta, ai sensi degli articoli 54, comma 3, e 55 del d.lgs. n. 50/2016, per l’affidamento di servizi di recapito e di gestione della corrispondenza, suddivisa in 21 lotti, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Durante l’espletamento delle operazioni di gara, una delle società partecipanti aveva inviato una segnalazione all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (d’ora in avanti anche A.G.C.M. o Autorità) chiedendo  di valutare se la lex specialis contenesse previsioni discriminatorie nei confronti di operatori  diversi dal fornitore del servizio postale universale.  L’Autorità aveva espresso parere motivato, ex art. 21-bis della L. n. 287/1990, evidenziando dei possibili profili di criticità della a lex specialis legate alle elevate soglie di copertura del servizio richieste dalla p.a. che avrebbero potuto pregiudicare il corretto confronto competitivo a beneficio dei soli  soli operatori postali in grado di garantire le elevate soglie di copertura previste, “o perché particolarmente strutturati, come il Fornitore del Servizio Postale Universale – Poste Italiane S.p.A., o perché radicati nel territorio”.
L’amministrazione aggiudicatrice aveva riscontrato il parere dell’Autorità negando che sussistessero profili di illegittimità.
 A seguito di tale riscontro, l’A.G.C.M. aveva proposto ricorso dinanzi al giudice amministrativo, denunciando come alcune disposizioni della lex di gara avessero fissato delle soglie di copertura territoriale non giustificate da ragioni tecniche o di efficienza, comportando – congiuntamente ad altre regole della gara – la violazione dei principi di cui all’art. 30 del D.Lgs. n. 50/2016 e delle relative disposizioni contenute nelle direttive euro-unitarie, nonché la violazione dei principi di libertà di iniziativa economica e di libera prestazione dei servizi[1].  
Sotto un ulteriore profilo, l’Autorità aveva sostenuto anche l’illegittimità delle modalità previste per l’attribuzione di punteggi premiali ai soli soggetti in grado di garantire una copertura più elevata, considerate irragionevoli e in grado di determinare disparità di trattamento in favore degli operatori economici più strutturati, a discapito, dunque, dei piccoli e medi operatori postali.
Il giudice di primo grado ha respinto il ricorso promosso dall’A.G.C.M.
Secondo il T.a.r. adito, le regole sulle soglie di copertura del servizio postale non potevano ritenersi illegittime, poiché frutto del bilanciamento tra la tutela della concorrenza e l’interesse pubblico ad un servizio postale soddisfacente e capillare. Infatti, secondo il g.a., una soglia di copertura inferiore al 100% – pur garantendo la possibilità di aggiudicazione ad un maggior numero di operatori economici-  potrebbe andare a discapito delle esigenze del servizio pubblico.
Pertanto, la tutela dell’assetto concorrenziale del mercato era stata, nelle specie, comunque perseguita grazie alle seguenti contromisure “compensative”: a) la suddivisione dell’appalto in lotti, con apertura anche alla (possibile) selezione di operatori non in grado di assicurare il servizio a livello nazionale; b) la possibilità per i concorrenti partecipare in raggruppamenti di imprese[2]; c) la possibilità di ricorrere al subappalto[3].
Ne discendeva, secondo il T.a.r., che l’occasione di impiegare tali istituti escludeva l’illegittimità della legge di gara.
Infine, il giudice di prime cure aveva respinto anche il secondo motivo di ricorso sostenendo che si trattasse solamente di una previsione marginale dell’appalto, e in ogni caso giustificata dalla tipologia dei destinatari delle comunicazioni dell’amministrazione aggiudicatrice, in gran parte persone anziane e/o affette da invalidità.  


[1] In particolare, l’articolo 30, comma 1, del D.Lgs. n. 50/2016 prevede che “l’affidamento e l’esecuzione di appalti di opere, lavori, servizi, forniture e concessioni, ai sensi del presente codice garantisce la qualità delle prestazioni e si svolge nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza. Nell’affidamento degli appalti e delle concessioni, le stazioni appaltanti rispettano, altresì, i principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché di pubblicità con le modalità indicate nel presente codice”.
Al comma 2 è stabilito che “le stazioni appaltanti non possono limitare in alcun modo artificiosamente la concorrenza allo scopo di favorire o svantaggiare indebitamente taluni operatori economici o, nelle procedure di aggiudicazione delle concessioni, compresa la stima del valore, taluni lavori, forniture o servizi”.
Ancora, al comma 7 si prevede che “i criteri di partecipazione alle gare devono essere tali da non escludere le microimprese, le piccole e le medie imprese”.
[2] In particolare, la possibilità di partecipare alla gara per mezzo di raggruppamenti di imprese permetterebbe la partecipazione di operatori che, per caratteristiche strutturali, hanno la necessità di ricorrere ad altre imprese per assicurare il servizio, assicurando, secondo il T.A.R., anche la partecipazione di operatori meno strutturati del fornitore del servizio postale universale.
[3] Ricorrere al subappalto consentirebbe di selezionare qualitativamente l’attività da svolgere in proprio e quella da devolvere ad altri operatori, rendendo più agevole l’esecuzione del servizio.

Lo svolgimento del giudizio dinanzi al Consiglio di Stato

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha interposto appello avverso la sentenza del giudice di primo grado.
Con il primo motivo l’A.G.C.M. ha dedotto l’erroneità della sentenza, osservando che le clausole impugnate – indipendentemente dalla classificazione delle stesse come requisiti di partecipazione o di esecuzione – devono ritenersi in contrasto con  il disposto dell ’articolo 30 del d.lgs. n. 50/2016 (ratione temporis applicabile ).
Nella specie, l’appellante ha evidenziato come l’asserita illegittimità della disciplina di gara risiedesse non solo   nella soglia di copertura del servizio particolarmente elevata, ma anche nella richiesta di copertura “diretta” di tale percentuale che aveva obbligato ciascun concorrente a provvedere o con i propri mezzi ovvero attivare i rimedi “compensativi” previsti dalle lex di gara (i.e. r.t.i. e/o subappalto), ma in ogni caso senza   ricorrere al fornitore del servizio universale. Pertanto, gli operatori avrebbero potuto adempiere solo formando un raggruppamento temporaneo di imprese (r.t.i) con il fornitore universale ovvero subappaltando a quest’ultimo parte del servizio.
In sostanze, secondo la ricorrente la possibile partecipazione alla gara di altri operatori sarebbe stata rimessa alla decisione (rectius arbitrio) dell’impresa in posizione dominante. Da ciò consegue la radicale inidoneità dei soprarichiamati istituti, individuati dal T.a.r., a compensare lo svantaggio competitivo e soprattutto a scongiurare  la violazione delle regole concorrenziali.
Con il secondo motivo, l’A.G.C.M. ha chiesto di accertare l’erroneità della sentenza di primo grado anche nella parte in cui ha respinto la censura sull’attribuzione dei punteggi aggiuntivi per l’operatore in grado di assicurare la copertura più elevata.
Ad avviso dell’Autorità, l’utilizzo di questo criterio di copertura premiale avrebbe contribuito “ad ampliare ulteriormente i vantaggi non replicabili del Fornitore del Servizio Universale, ad ulteriore pregiudizio del principio della parità delle condizioni di partecipazione”.  

Il quesito sottoposto all’attenzione dell’Adunanza Plenaria e le questioni di ordine processuale deferite dal Supremo Consesso all’esame della Sesta Sezione del Consiglio di Stato

Con ordinanza n. 8164 del 5 settembre 2023 la sezione VI del Consiglio di Stato, ravvisata la possibilità di adottare una pronuncia in contrasto con la sentenza n. 6013 del 19 giugno 2023 della V Sezione[4], ha deferito all’Adunanza plenaria il seguente quesito: “Se, a risoluzione del potenziale contrasto di giurisprudenza, possa ritenersi legittima una disciplina di gara […] che, imponendo gli obblighi di copertura diretta dei lotti nelle percentuali dell’80% su base nazionale e del 100% su base regionale – non adeguati allo stato attuale del mercato dei servizi postali e senza possibilità di ricorso ai servizi del fornitore del servizio universale – precluda, in sostanza, o, comunque, riduca in modo drastico la possibilità di partecipazione di operatori postali diversi da Poste Italiane s.p.a. comprimendo, in tal modo, il confronto concorrenziale tra gli operatori e non consentendo, di fatto, alla stazione appaltante di scegliere in funzione del miglior risultato possibile nell’affidamento e nell’esecuzione dei contratti, senza ottenere, quindi, risparmi di spesa, e senza che tale disciplina di gara sia imposta dall’esigenza di ottenere la capillarità del servizio postale che sarebbe, comunque, assicurata dalla possibilità di ricorrere al fornitore del servizio universale per le sole zone non coperte dalla rete del diverso operatore postale”.
Con ordinanza n. 18 del 13 dicembre 2023, l’Adunanza Plenaria ha restituito gli atti alla VI sezione, motivando sulla necessità di risolvere alcune questioni pregiudiziali prospettate dalle parti.
In particolare, tali questioni riguardavano: a) l’eventuale rilievo da attribuire alla sentenza n. 6013/2023 della V Sezione del Consiglio di Stato; b) la valutazione in ordine alla necessità, o meno, dell’integrazione del contraddittorio nei confronti di un operatore economico che, seppur aggiudicatario di due lotti, non è stato parte del processo; c) l’ammissibilità dell’atto di intervento ad adiuvandum nel giudizio di appello da parte del Consorzio OMISSIS.
Pertanto, trattando le questioni in ordine logico-giuridico, la prima affrontata riguarda l’ammissibilità dell’atto di intervento depositato nel giudizio in appello.
Il Collegio ha accertato l’ammissibilità dell’intervento ad adiuvandum in forza della stretta correlazione che lega l’interesse collettivo del Consorzio e quello perseguito ex lege dall’Autorità, entrambi preordinati alla tutela della concorrenza nello specifico segmento di mercato.
Sul punto, il Collegio – a supporto del proprio percorso argomentativo – ha richiamato l’Adunanza Plenaria n. 3 del 3 luglio 2017 con cui è stato chiarito che legittimati a proporre intervento, ai sensi dell’art. 97 del c.p.a.,  sono “i titolari di posizioni soggettive dipendenti da quella del ricorrente (appellante), o, comunque, coloro che vantino un interesse indiretto alla demolizione degli effetti prodotti dall’atto impugnato (sentenza appellata), che si riflettono negativamente sulla propria situazione giuridica”.
La seconda questione esaminata concerne la sussistenza di un vincolo diretto del giudicato della sentenza della V sezione n. 6013/2023 anche nei confronti dell’Autorità, destinataria della notifica dell’impugnazione e non avente qualifica di parte necessaria del giudizio.
. Il Collegio ha chiarito che non sussiste un vincolo di giudicato, poiché la notificazione dell’impugnazione all’A.G.C.M. non rende l’Autorità una parte (sostanziale) del processo, bensì costituisce una mera denuntiatio litis, finalizzata a rendere edotta l’Autorità della pendenza del grado di appello e conseguentemente consentire alla stessa un eventuale intervento in giudizio ovvero la proposizione di un autonomo ricorso.  
In secondo luogo, gli effetti del giudicato non investono anche l’Autorità perché non si tratta di un giudicato con effetti inscindibili ed erga omnes che si giustificano solo in caso eccezionali che rendono “inconcepibile – logicamente, ancor prima che giuridicamente – che l’atto annullato possa continuare ad esistere per quei destinatari che non lo hanno impugnato”.
Sulla base di tale considerazione, i giudizi di Palazzo Spada – in adesione al consolidato orientamento dottrinale e giurisprudenziale – hanno ritenuto che produca effetti ultra-partes: a) l’annullamento di un regolamento; b) l’annullamento di un atto plurimo inscindibile; c) l’annullamento di un atto plurimo scindibile, qualora venisse accolto per un vizio comune alla posizione di tutti i destinatari; d) l’annullamento di un atto che provvede unitariamente nei confronti di più soggetti.   Ebbene, nella specie non ricorre alcune delle fattispecie sopra indicate atteso che nessun provvedimento è stato annullato in quanto la V Sezione (sent. n. 6013/2023) si è limitata a respingere le doglianze della ricorrente.
Pertanto, il Collegio ha chiarito che – trattandosi nella specie di un giudicato ad effetti conformativi – – non si può estendere erga omnes la portata di un giudicato di “accertamento della non illegittimità degli atti impugnati (…) ovvero dell’infondatezza delle relative censure dedotte” poiché tali pronunce “lasciano invariato l’assetto giuridico dei rapporti precedente alla radicazione del giudizio, e, quindi, non pongono neppure propriamente un vincolo precettivo alle parti”.
 
L’ultima questione esaminata riguarda la necessità di disporre l’integrazione del contraddittorio anche nei confronti di un operatore economico che, seppur aggiudicatario di due lotti, non è stato evocato in giudizio.
In altre parole, l’Adunanza Plenaria ha chiesto al giudice remittente di valutare se l’estensione e la portata di un giudicato di annullamento degli atti di una procedura di gara suddivisa in lotti possa inerire anche il provvedimento di aggiudicazione disposto nei confronti di un operatore aggiudicatario di lotti autonomi e distinti, a cui non sia stato notificato il ricorso in primo grado.
Sul punto, il Collegio – chiarita la natura non unitaria della procedura di gara suddivisa in più lotti – ha evidenziato come dall’esame del gravame promosso dall’Autorità emerge come lo stesso non sia in grado di decretare l’annullamento di tutti i lotti della procedura.
Ebbene, come risulta dall’esame dei motivi a supporto del ricorso, emerge 
che lo stesso s stata fondato sulle possibili illegittimità della gara indetta dalla p.a.  in quanto sostanzialmente calibrata sulla posizione del fornitore del servizio universale, in ragione delle caratteristiche del servizio postale.
Secondo l’Autorità, come illustrato, la criticità anticoncorrenziali legate alla procedura de quo attengono non solo alla soglia di copertura del servizio particolarmente elevata, ma anche (e soprattutto)  alla richiesta di copertura diretta della percentuale delle prestazioni da erogare che, quindi, aveva imposto agli operatori di provvedere con i propri mezzi o, in alternativa,  di procedere  alla costituzione di raggruppamenti temporanei tra imprese   ovvero, ancora, alla  stipulazione di contratti di subappalto, ma senza possibilità di ricorrere al fornitore del servizio universale, tramite c.d. “postalizzazione”.
 
Dall’esame della domanda è emerso, dunque, come la violazione della concorrenza sia stata predicata non solo in termini generali, ma anche in relazione alla specifica posizione sul mercato di fornitore universale, in ragione delle regole di gara che avevano indubbiamente collocato l’impresa dominante in una posizione di illegittimo vantaggio, non colmabile neppure attraverso gli strumenti previsti dalla gara.
Ne consegue, ad avviso del Collegio, che l’effetto caducante della pronuncia di annullamento non può non collegarsi all’oggetto e al contenuto della domanda, operando, pertanto, solo in relazione ai lotti nei quali si è effettivamente verificato l’illegittimo vantaggio competitivo denunciato dall’A.G.C.M.
Del resto, argomentare diversamente avrebbe significato imporre la caducazione anche di lotti dove il confronto concorrenziale è stato realizzato, determinando paradossalmente la sottrazione del bene della vita anelato e acquisito legittimamente dall’operatore economico aggiudicatario.

[4] La sentenza n. 6013/2023 della V Sezione, emanata su ricorso in appello presentato da un operatore economico interessato all’aggiudicazione dei lotti della medesima gara, considerava idonei i meccanismi di compensazione individuati dalla lex specialis, ritenendo che la partecipazione degli operatori economici alla procedura fosse stata sufficientemente assicurata attraverso la previsione della possibilità di ricorrere a r.t.i. e a.t.i., nonché all’istituto del subappalto. Inoltre, l’assunto del ricorrente, secondo il quale esistono intere zone del territorio nazionale nelle quali non interviene alcun operatore privato, con conseguente impossibilità di coprirle se non ricorrendo a forme di partecipazione associata, veniva considerato “piuttosto generico”. Pertanto, la V Sezione respingeva l’appello e, in ragione della complessità delle questioni esaminate, compensava le spese processuali.

La decisione

La sentenza, emessa dalla VI sezione del Consiglio di Stato, ha accolto il ricorso dell’A.G.C.M. e, per l’effetto, ha annullato il bando di gara, con conseguente caducazione del provvedimento di aggiudicazione (ad eccezione, beninteso, dei due lotti rispetto ai quali non si è verificato l’indebito vantaggio in favore del fornitore del servizio universale).
Ebbene, il Collegio ha evidenziato come l’elevata soglia di copertura diretta e la ricomprensione delle aree EU2 abbiano compromesso, congiuntamente, l’interesse all’effettivo confronto concorrenziale tra gli operatori economici, nonché l’interesse della stazione appaltante ad avere una platea più vasta di possibili contraenti, tra i quali scegliere in funzione del miglior risultato possibile.
Inoltre, il g.a.  ha evidenziato che non è stato valorizzato neanche l’interesse ad ottenere il servizio al minor costo possibile, considerato che la controinteressata ha conseguito l’aggiudicazione di 19 lotti su 21 al valore posto a base d’asta, sanza alcun ribasso.
In particolare, gli strumenti previsti come “misure di compensazione” non sono stati ritenuti sufficienti a garantire la tutela di un adeguato assetto concorrenziale del confronto competitivo in quanto risultano in ogni caso subordinati al consenso di altri operatori.
A ciò si aggiunga anche il divieto di ricorrere al fornitore universale, che ha inciso sulla possibilità di assicurare la copertura diretta del lotto, costringendo gli operatori a contare esclusivamente sulle proprie (carenti) reti.
A sostegno delle suesposte argomentazioni è stata richiamata la delibera dell’ANAC n. 4/2014, dove viene affermato che gli operatori (distinti dal fornitore del servizio universale) sono in grado di garantire in proprio solamente una copertura regionale o, al massimo, sovra-regionale. Ciò impone, sempre secondo la delibera richiamata, che   per rendere effettiva la liberalizzazione del mercato postale, la percentuale di copertura richiesta non dovrebbe superare l’80% dei volumi appartenenti al lotto, con possibilità di procedere alla c.d. “postalizzazione” per il restante 20% del servizio.
Sono state citate anche le Linee guida ANAC-A.G.COM. del 13 aprile 2022 che, pur non rilevando ratione temporis, hanno espresso un principio generale, evidenziando che “l’individuazione dei livelli minimi di copertura e del punteggio attribuibile per la copertura offerta è effettuata sulla base di adeguate analisi di mercato, assicurando il rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza e i limiti della pertinenza e congruità rispetto all’oggetto della gara”. Le stesse Linee guida hanno fornito anche una previsione di copertura, a titolo meramente esemplificativo, che assicurerebbe la più ampia partecipazione alle gare d’appalto in un’ottica pro-concorrenziale, individuando percentuali di copertura del 50% per il territorio nazionale e del 70% del territorio regionale.
Infine, è stato accolto anche il secondo motivo di ricorso dell’A.G.C.M. relativo alla previsione di un criterio premiale solamente per il lotto n. 1, il quale prevedeva l’attribuzione di punteggi ai soggetti in grado di garantire la copertura più elevata.
Il Collegio ha ritenuto che questo criterio abbia concorso alla deprivazione del confronto concorrenziale, determinando un ulteriore vantaggio solo in capo al fornitore del servizio universale, tra l’altro successivamente concretizzatosi.

Brevi considerazioni conclusive

Con la sentenza in commento, la VI Sezione del Consiglio di Stato ha valutato diversamente, rispetto al passato, la questione attinente al bilanciamento tra interessi – tra i quali figura il confronto concorrenziale tra operatori economici – così ribaltando non solo il suo precedente orientamento, ma anche la pronuncia della V Sezione, dello stesso organo giurisdizionale, del 16 marzo 2023, n. 6013, inerente alla medesima gara.
Con la sentenza n. 3641 del 2024, i Giudici hanno rilevato che la mancanza di un effettivo confronto concorrenziale non ha, solamente, compromesso le possibilità di aggiudicazione degli operatori economici, ma anche lo stesso interesse della stazione appaltante ad ottenere il servizio ad un costo inferiore. In definitiva, giova ricordare che, anche rispetto alla clausola che stabilisce un criterio premiale per i soggetti in grado di garantire la copertura più elevata, la VI Sezione del Consiglio di Stato ha mutato orientamento, ritenendo che, nel caso specifico, tale criterio abbia finito per aggravare il distacco concorrenziale, determinando un ulteriore vantaggio in capo al fornitore del servizio universale in ragione della struttura del mercato dei servizi postali.
Al contrario, con la pronuncia n. 6013 del 2023, la V Sezione aveva affermato che consentire il ricorso al fornitore del servizio universale non avrebbe affatto compromesso il perseguimento degli altri interessi pubblici in gioco, quali l’interesse ad un servizio postale efficiente e l’interesse ad ottenere il servizio al minor costo possibile. Inoltre, tale Collegio aveva colto l’occasione per ribadire e sostenere la validità dei principi già espressi, sei anni prima, dalla VI Sezione del Consiglio di Stato, con la decisione del 5 settembre 2017 n. 4200. Infatti, rispetto ad una questione analoga, inerente ad una gara d’appalto per l’affidamento di servizi di recapito e di gestione della corrispondenza non automatizzata della Direzione generale e delle Direzioni regionali, la VI Sezione, nel 2017, aveva espresso il principio per cui l’interesse alla tutela della concorrenza non può sempre prevalere rispetto ad altri interessi primari e secondari, anch’essi di natura pubblicistica, che le stazioni appaltanti devono necessariamente considerare nell’esercizio della loro discrezionalità. Tra i principi in gioco, veniva considerato prevalente quello ad un servizio postale soddisfacente e capillare, in grado di raggiungere il maggior numero di utenti nel minor tempo possibile e con l’impiego di minori risorse.
In secondo luogo, il Collegio non aveva ritenuto meritevole di condivisione nemmeno la censura volta a denunciare la illegittimità del bando di gara, nella parte in cui aveva previsto, come criterio premiale, il riconoscimento di 10 punti agli operatori che offrissero un incremento massimo del 100% rispetto ai punti minimi di giacenza. Invero, a detta della A.G.C.M. – ricorrente – tale previsione avrebbe privilegiato, senza adeguata giustificazione, il solo fornitore del servizio universale, unico operatore in grado di offrire tale incremento. Pertanto, anche con riguardo a siffatta contestazione, il Consiglio di Stato aveva ribadito la preminenza dell’interesse all’universalità, capillarità ed efficienza del servizio oggetto di gara.
Dunque, sostenendo le argomentazioni espresse dalla VI Sezione nel 2017, anche la V sezione ha ritenuto, con la citata pronuncia del 16 marzo 2023, n. 6013, che l’interesse alla tutela della concorrenza possa soccombere rispetto ad altri interessi pubblicistici, specialmente in presenza di strategie di compensazione volte a favorire la partecipazione degli operatori economici.
Alla luce di queste considerazioni, la sentenza della VI Sezione del Consiglio di Stato, sin qui analizzata, ha certamente carattere dirompente, avendo fornito un netto cambio di indirizzo in un settore spesso oggetto di studi e considerazioni critiche, per via delle difficoltà dei piccoli e medi operatori postali a concorrere in un mercato difficile, contraddistinto da particolari caratteristiche infrastrutturali e dall’egemonia del fornitore del servizio universale, in grado di coprire con successo, da solo, l’intero territorio nazionale.  In ogni caso, non è da escludere che il Supremo Consesso possa ritornare sul tema a risoluzione del contrasto giurisprudenziale venutosi a creare, così sciogliendo i dubbi interpretativi sollevati con il quesito, rivolto dalla VI Sezione, all’Adunanza Plenaria per mezzo dell’ordinanza n. 8164/2023.

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