La presentazione di una domanda di concordato in bianco o con riserva non può considerarsi causa automatica di esclusione, né inibisce la partecipazione dell’operatore economico alle procedure per l’affidamento di contratti pubblici

Commento Consiglio di Stato, 6 ottobre 2023, n. 8715

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Commento Consiglio di Stato, 6 ottobre 2023, n. 8715

Sulla scia di quanto disposto dall’Adunanza Plenaria n. 9/2021, il Consiglio di Stato ammette che la presentazione di una domanda di concordato in bianco o con riserva non possa considerarsi causa automatica di esclusione, né inibisca la partecipazione dell’operatore economico alle procedure per l’affidamento di contratti pubblici, neppure quando si tratti di una procedura di partenariato per l’innovazione, caratterizzata dall’espletamento di fasi prodromiche all’individuazione del miglior candidato. È rafforzativa della tesi la previsione contenuta nell’art. 94, comma 5, lett. D) del D.lgs. n. 36/2023.

I fatti di causa

La società appellante partecipava, nella qualità di mandante di un RTI, a una procedura di partenariato per l’innovazione ex art. 65 del D.Lgs. n. 50/2016, dichiarando nella domanda di partecipazione di essere stata ammessa al concordato con continuità aziendale e di essere stata già autorizzata alla partecipazione alla procedura di gara dal giudice delegato ai sensi dell’art. 110, comma 3, lett. a) del Codice.

Esaminata la domanda, la Commissione di gara domandava al RUP di attivare il soccorso istruttorio per sopperire alla mancata esibizione della documentazione relativa all’ammissione al concordato con continuità aziendale.

L’operatore economico, riscontrando a tale richiesta, precisava che nelle more era mutata la situazione rispetto a quanto precedentemente dichiarato poiché aveva provveduto al deposito di un “Accordo di ristrutturazione del debito, secondo l’articolo 182 bis, comma 1, R.D. 16 marzo 1942, n. 267” e che, pertanto, non si trovava più, in realtà, in alcuna delle situazioni previste dall’articolo 80, comma 5, lett. b), del Codice dei contratti pubblici.

Ciò induceva la Stazione Appaltante a disporre l’esclusione dell’RTI dalla procedura in quanto, anche a seguito di ulteriori chiarimenti forniti, emergeva a parere del RUP che la società non era in realtà in possesso dell’autorizzazione alla partecipazione alla gara da parte del G.D. del Tribunale Fallimentare competente e non era in concordato con continuità aziendale ma in “concordato con riserva” ai sensi dell’articolo 161, comma 6, secondo periodo, R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (condizione, quindi, diversa da quella di cui al successivo articolo 186 bis della L.Fall.).

A seguito di impugnazione del provvedimento dinanzi al TAR Lazio, il Collegio con sentenza n. 5324/2023, pur accogliendo la prospettazione della ricorrente circa l’equivalenza dell’ammissione al concordato con riserva a quella del concordato con continuità aziendale, rigettava comunque il ricorso ritenendo che l’esclusione fosse correttamente fondata sull’autonomo motivo escludente relativo alla falsa dichiarazione dell’intervenuta autorizzazione da parte del G.D., non potendosi ritenere equivalente il parere favorevole ricevuto dal commissario giudiziale all’autorizzazione del G.D., avuto riguardo alla normativa in materia, considerando detta falsità come idonea a fuorviare il giudizio della stazione appaltante ex art. 80 comma 5 lett. c) bis del Codice. A parere del Giudice di prime cure ciò valeva ancor più nell’ambito di una procedura quale quella del partenariato per l’innovazione nella quale il possesso del requisito doveva ritenersi maturato prima dell’aggiudicazione, stante la suddivisione in fasi della procedura composta da: 1) selezione qualitativa ai sensi dell’art. 65, comma 3 del Codice; 2) presentazione delle offerte ai sensi dell’art. 64, comma 4 del Codice; 3) aggiudicazione e stipula; 4) esecuzione del Contratto di Partenariato per l’Innovazione, con conseguente inapplicabilità alla fattispecie dei principi enunciati dall’Adunanza Plenaria n. 9/2021.

La decisione del Consiglio di Stato

Avverso la superiore pronuncia ha proposto appello la società, ritenendo che non fosse stata integrata alcuna falsa dichiarazione e soprattutto che l’interpretazione, per così dire restrittiva, offerta dal Giudice di prime cure, avesse comportato la sussistenza di una causa di esclusione che non aveva alcuna ragione normativa e sistematica, andando anche oltre i principi sanciti proprio dall’Adunanza Plenaria da ultimo menzionata.

La sentenza di primo grado non aveva considerato che il momento entro cui il requisito oggetto della dichiarazione (ovvero l’autorizzazione del Giudice delegato) doveva necessariamente intervenire non corrispondeva alla conclusione della prima fase procedimentale della procedura di partenariato per l’innovazione ma al momento, ancora successivo, di adozione del provvedimento finale di aggiudicazione e tanto in attuazione del principio espresso nella sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 9 del 2021 che ha inequivocabilmente stabilito che l’autorizzazione giudiziale, lungi dal costituire una condizione di partecipazione al procedimento di gara, ben può intervenire anche in un secondo momento, purché antecedente alla definitiva scelta dell’operatore economico cui affidare la commessa.

La finalità della prima fase di selezione non consisterebbe, come erroneamente ritenuto dal Giudice di primo grado, in una sorta di anticipazione della verifica dei requisiti di partecipazione (tra cui, in particolare, quelli di ordine generale, come quello in esame), bensì soltanto nell’individuare sul mercato operatori economici dotati di quelle capacità che, nel settore della ricerca e dello sviluppo, risultano idonee ad approntare le soluzioni innovative perseguite dal partenariato per l’innovazione.

Sulla scorta di tali principi, il Consiglio di Stato, accogliendo il ricorso della mandante dell’RTI escluso, ha affermato, sulla scorta dell’art. 186 bis, comma 4, l.fall., che la presentazione di una domanda di concordato in bianco o con riserva non possa considerarsi causa di automatica esclusione, né inibisca la partecipazione alle procedure per l’affidamento di contratti pubblici proprio facendo pedissequo richiamo di quanto espresso dalla citata Adunanza Plenaria: “In particolare non si può ritenere che la presentazione di una tale domanda comporti per ciò solo la perdita dei requisiti generali di partecipazione – il cui eventuale successivo recupero in caso di buon esito della procedura non varrebbe neppure ad elidere una simile cesura, in ragione del noto principio di continuità sempre ribadito da questo Consiglio (Cons. St. AP n. 8/2012 e 8/2015) – ostando a tale ricostruzione, oltre che la lettera dell’art. 186 bis, la veduta e ribadita funzione prenotativa e protettiva dell’istituto del concordato con riserva che, come spiegato nella relazione ministeriale all’art. 372 del codice della crisi d’impresa, da strumento di tutela non può tradursi nel suo contrario, ossia in un ostacolo alla prosecuzione dell’attività imprenditoriale in quanto proprio tale prospettiva postula che resti consentito, per quanto “vigilato”, l’accesso al mercato dei contratti pubblici”. Questa conclusione, continua la citata sentenza, “che subordina la partecipazione alle procedure di gara al prudente apprezzamento del tribunale, vale sia per l’ipotesi che l’impresa abbia già assunto la qualità di debitore concordatario nel momento in cui è indetta la (nuova) procedura ad evidenza pubblica” (come nel caso di specie), “che per il caso in cui, all’inverso, la domanda di concordato segua temporalmente quella già presentata di partecipazione alla gara”. Dell’avvenuta presentazione della domanda di concordato, ai sensi dell’art. 161 comma 6, l’operatore deve (prontamente) mettere a conoscenza la stazione appaltante, trattandosi di un’informazione rilevante, ancorché la domanda di concordato sia pubblicata nel registro delle imprese e sia quindi in linea di principio conoscibile. “Qualora fosse omessa tale informazione valuterà la stazione appaltante l’incidenza di una condotta reticente, (ma) senza automatismi e alla luce di quanto si è chiarito di recente con la sentenza di questa Adunanza n.16/2020: facendo quindi applicazione dell’art. 80, comma 5, lett. C bis, anziché della lett. F-bis”.

La Plenaria ha ritenuto che “la centralità e l’importanza che riveste l’autorizzazione del giudice fallimentare, ai fini della partecipazione alla gara, conducono a ritenere che il rilascio e il deposito di tale autorizzazione debbano intervenire prima che il procedimento dell’evidenza pubblica abbia termine e, dunque, prima che sia formalizzata da parte della stazione appaltante la scelta del miglior offerente attraverso l’atto di aggiudicazione”.

Pertanto, non si può procedere a una esclusione automatica dell’operatore economico dovendo, piuttosto, la stazione appaltante procedere a una valutazione specifica, caso per caso, in merito alla rilevanza dell’autorizzazione, al suo rilascio e al momento in cui la stessa avvenga, ovvero se prima o dopo l’aggiudicazione oppure ancora all’approssimarsi della stipula del contratto.

Il Supremo Consesso ha sottolineato come il principio di diritto affermato nella sentenza dell’Adunanza Plenaria abbia trovato positiva collocazione in sede di stesura del Nuovo Codice (d.lgs. n. 36/2023) con esplicito riconoscimento normativo nell’ambito dell’art. 94, comma 5, lett. d), a mente del quale le Stazioni appaltanti possono escludere: “d) l’operatore economico che sia stato sottoposto a liquidazione giudiziale o si trovi in stato di liquidazione coatta o di concordato preventivo o nei cui confronti sia in corso un procedimento per l’accesso a una di tali procedure, fermo restando quanto previsto dall’articolo 95 del codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, dall’articolo 186-bis, comma 5, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e dall’articolo 124 del presente codice. L’esclusione non opera se, entro la data dell’aggiudicazione, sono stati adottati i provvedimenti di cui all’articolo 186-bis, comma 4, del regio decreto n. 267 del 1942 e all’articolo 95, commi 3 e 4, del codice di cui al decreto legislativo n. 14 del 2019, a meno che non intervengano ulteriori circostanze escludenti relative alle procedure concorsuali”.

A tal proposito il Consiglio di Stato, nella parte della relazione al nuovo Codice dei Contratti Pubblici riferita a detto disposto, ha evidenziato che, in adesione ai principi espressi dall’Adunanza Plenaria, “l’autorizzazione giudiziale alla partecipazione alla gara pubblica deve intervenire entro il momento dell’aggiudicazione della stessa, non occorrendo che in tale momento l’impresa, inclusa quella che ha presentato domanda di concordato in bianco o con riserva, sia anche già stata ammessa al concordato preventivo con continuità aziendale”.

A tal uopo, il Consiglio di Stato ha puntualizzato che sarebbe ingiustificata una lettura restrittiva di detto principio, non trovando detta prospettazione alcun fondamento nelle considerazioni svolte nella sentenza dell’Adunanza Plenaria, essendo la stessa illogica e idonea a creare una disparità di trattamento tra imprese che abbiano già presentato domanda di ammissione al concordato con riserva, tenute in tale prospettiva ad ottenere l’autorizzazione giudiziale entro il termine di presentazione della domanda, a pena di inammissibilità della stessa e di preclusione dalla partecipazione alla procedura, e imprese che, viceversa pur sussistendone i presupposti, decidano di depositare la domanda di concordato con riserva solo una volta presentata l’offerta, al fine di poter conseguire l’autorizzazione giudiziale entro il ben diverso termine di aggiudicazione del contratto.

Non costituendo, pertanto, l’autorizzazione giudiziale ex art. 186 comma 4 l. fall. requisito per la presentazione della domanda alla procedura di gara ma per la sola aggiudicazione, con possibilità peraltro di intervenire, quale condizione integrativa dell’efficacia anche dopo l’aggiudicazione ma prima della stipula del contratto, secondo il discrezionale apprezzamento della stazione appaltante, il Consiglio di Stato ha considerato erronea la statuizione di prime cure che ha ritenuto come il principio di diritto enunciato dall’Adunanza Plenaria, valevole per tutte le procedure ad evidenza pubblica, alla luce della sua ratio, non fosse per contro applicabile alla procedura di partenariato per l’innovazione, disciplinata dall’articolo 65 D.Lgs. 50/2016.

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