Consiglio di Stato, 11 luglio 2023, n. 6797
I fatti di causa
Un’azienda sanitaria provinciale stabiliva di procedere all’affidamento del servizio di ristorazione con invio di lettere di invito alle società ritenute in possesso dei requisiti.
Dopo avere disposto l’aggiudicazione della gara in favore dell’operatore economico selezionato, la stazione appaltante concordava l’esecuzione anticipata del servizio procedendo, anche in deroga alle modalità esecutive del capitolato e dell’offerta tecnica, alle stesse condizioni economiche previste dall’offerta di gara.
Successivamente l’operatore economico aggiudicatario trasmetteva alla stazione appaltante il piano dettagliato del servizio a regime, proponendo una variante che veniva approvata e recepita solo dopo la stipula del contratto con separata deliberazione della stazione appaltante.
La società classificatasi seconda in graduatoria impugnava tale delibera ritenendo che, con la variante approvata, la stazione appaltante avesse invero autorizzato una illegittima modifica dell’offerta tecnica ed economica originariamente proposta dall’aggiudicataria.
Il ricorso veniva accolto dal TAR Calabria (sentenza n. 279/2023) in quanto il servizio non poteva che essere erogato dalla società aggiudicatrice alle condizioni indicate nell’offerta tecnica ed economica inizialmente presentata.
La decisione del Consiglio di Stato
La causa ha ad oggetto la possibilità di ammettere delle varianti e a quali condizioni, affrontando in via preliminare la questione di giurisdizione sollevata sia dalla stazione appaltante che dall’aggiudicataria, entrambe appellanti, a parere delle quali il Giudice di primo grado non avrebbe inteso correttamente il petitum del ricorso, atteso che il ricorrente avrebbe contestato la deliberazione della stazione appaltante in quanto atto paritetico e, per tale ragione, relativo alle modalità esecutive dell’appalto e suscettibile di essere vagliato dal Giudice Ordinario.
Il Consiglio di Stato ha operato un distinguo e ha sottolineato che l’oggetto della domanda di primo grado riguardava nella sostanza l’aggiramento della gara pubblica per l’affidamento diretto di prestazioni ulteriori e modificate al di fuori delle normali variazioni considerate legittime dalla legge.
Quando, pertanto, non si discuta di mera esecuzione del contratto ma di illegittimo affidamento diretto di prestazioni, ovvero in assenza di gara, viene a essere leso l’interesse legittimo alla partecipazione alla gara.
Viene, dunque, meno ogni considerazione in ordine alla esecuzione del contratto posto che, nel caso di specie, l’esigenza di procedere con delle variazioni alle prestazioni oggetto di affidamento si poneva a cavallo tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto, ovvero allorquando la stazione appaltante aveva avvertito l’esigenza di chiedere l’anticipata esecuzione delle prestazioni facendo valere i propri motivi di interesse pubblico espressi con la delibera impugnata. Questo dato rendeva, dunque, ancor più certa la giurisdizione del Giudice amministrativo posto che la decisione dell’amministrazione era stata assunta in un momento antecedente alla stipula del contratto allorquando era da escludersi che la legittimità di qualsivoglia determinazione potesse essere sottoposta al vaglio del Giudice Ordinario.
Le tesi esposte hanno indotto il Consiglio di Stato anche a soffermarsi sui casi nei quali è ammessa la variante, con una coerente disamina dell’art. 106 del D.Lgs. n. 50/2016 rispetto al quale – ricalcando le disposizioni dell’art. 72, comma 1, lett. C) della direttiva 24/2014/UE – si è confermata la possibilità di apportare modifiche ai contratti in corso di validità quando: a) la necessità di modifica sia determinata da circostanze impreviste e imprevedibili per l’amministrazione aggiudicatrice (e sono le c.d. varianti in corso d’opera); b) la modifica non alteri la natura stessa del contratto.
L’alterazione del contratto, dal punto di vista strettamente economico, dovrebbe ritenersi esclusa laddove l’aumento del prezzo non ecceda il 50% del valore del contratto iniziale.
La disamina della fattispecie ha creato il presupposto per una riflessione in ordine al significato dell’alterazione della natura del contratto subita per effetto di una modifica in corso d’opera.
Il Supremo Collegio ha sottolineato che il legislatore ha voluto impedire che attraverso il ricorso allo ius variandi si potesse addivenire a una modificazione radicale del contratto, riuscendo, surrettiziamente, a eludere la disciplina del codice degli appalti. Soccorre a tal proposito la direttiva 24/2014/UE, espressamente richiamata in pronuncia, in virtù della quale, al paragrafo 109 del “considerando”, viene chiarita la nozione con un esempio: “si verifica “la variazione della natura generale dell’appalto, sostituendo i lavori, le forniture o i servizi oggetto dell’appalto con qualcosa di diverso”, oppure quando vi sia “un cambiamento sostanziale del tipo di appalto poiché, in una situazione di questo genere, è possibile presumere un’influenza ipotetica sul risultato”.
Pertanto, non si riscontra uno stravolgimento del contratto laddove: la variazione non investa la natura complessiva del contratto; per effetto dello ius variandi l’oggetto della prestazione non sia mutato ma richieda soltanto modalità di esecuzione del servizio parzialmente difformi ma comunque giustificati da esigenze sopravvenute non prevedibili al momento dell’indizione della gara.
Queste modifiche, che si appalesino comunque strumentali e accessorie alla prestazione principale, dovrebbero essere tali da richiedere miglioramenti per la soddisfazione del preminente interesse pubblico, tenuto conto peraltro dell’art. 106 del “considerando” della direttiva appalti ai sensi del quale “Le amministrazioni aggiudicatrici si trovano a volte ad affrontare circostanze esterne che non era possibile prevedere quando hanno aggiudicato l’appalto, in particolare quando l’esecuzione dell’appalto copre un periodo lungo. In questo caso è necessaria una certa flessibilità per adattare il contratto a tali circostanze, senza ricorrere a una nuova procedura di appalto”.
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