La Corte Costituzionale si pronuncia sulla legittimità costituzionale dell’art. 146, co. 3 del Codice dei contratti pubblici

Per la Corte costituzionale è infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 105 e 146 del D. Lgs. n. 50/2016 sollevata in riferimento agli artt. 3 e 9 della Costituzione nella parte in cui non prevedono un divieto di subappalto nel settore dei beni culturali.

Matteo Bortoli 24 Maggio 2022
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La Corte Costituzionale (11 aprile 2022, n. 91) si pronuncia sulla legittimità costituzionale dell’art. 146, co. 3 del Codice dei contratti pubblici

Per la Corte costituzionale è infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 105 e 146 del D. Lgs. n. 50/2016 sollevata in riferimento agli artt. 3 e 9 della Costituzione nella parte in cui non prevedono un divieto di subappalto nel settore dei beni culturali.

Con la sentenza in commento, la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale, sollevata in via incidentale dal T.a.r. Molise (Sez. I, ordinanza del 17 ottobre 2020, n. 278, con commento su questo sito a cura di I. Picardi, Limiti quantitativi al subappalto: l’ultimo capitolo della saga investe gli appalti nel settore dei beni culturali) con riguardo agli artt. 105 e 146, co. 3 del D. Lgs. n. 50/2016, nella parte in cui non prevedono un divieto di subappalto nel settore dei beni culturali analogo a quello relativo all’istituto dell’avvalimento.

1. Il rinvio pregiudiziale del g.a.

Secondo il giudice rimettente, la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 105 e 146 del Codice dei contratti pubblici emergerebbe da diversi argomenti che indurrebbero a ritenere irragionevole (e quindi illegittima) la mancata previsione nel settore sopra richiamato di limiti all’utilizzo del subappalto, a fronte di un espresso divieto di ricorso all’avvalimento nel medesimo settore.
In primo luogo, rileva il Collegio, l’istituto del subappalto sarebbe circondato da minori garanzie rispetto all’avvalimento, in quanto a differenza di quest’ultimo l’istituto di cui all’art. 105, d.lgs. n. 50/2016 non presuppone un regime di responsabilità solidale fra i soggetti coinvolti nei confronti della P.A., al pari di quanto avviene tra impresa ausiliaria e ausiliata, ma al contrario ai sensi dell’art. 105, co. 8 ratione temporis applicabile il contraente principale è l’unico soggetto responsabile nei confronti del committente.

A ciò si aggiunga che, mentre nell’avvalimento l’individuazione del soggetto di cui l’operatore intende avvalersi è noto sin dall’inizio della procedura di gara alla S.A., nel caso di ricorso al subappalto, confinato alla sola fase esecutiva della commessa, l’operatore subaffidatario non sarebbe noto all’Amministrazione.

Infine, peraltro, per l’operatività dell’istituto di cui all’art. 89, è necessario che l’operatore economico provi la relazione giuridica con l’impresa ausiliaria mediante uno specifico contratto di avvalimento che deve contenere la puntuale indicazione dei mezzi e delle risorse messe a disposizione dell’impresa ausiliaria e mediante presentazione di apposita dichiarazione sottoscritta dalla stessa.

Ciò posto, secondo il Collegio, le criticità sopraesposte si paleserebbero in maniera ancora più eclatante con riguardo al subappalto c.d. necessario che presenta maggiori affinità con l’avvalimento. Nè, tali conclusioni potrebbero essere messe in discussione dall’assunto secondo il quale l’avvalimento opererebbe solo nella fase di qualificazione della procedura di gara senza aver alcun rilievo in fase esecutiva.

Invero, tale argomentazione non tiene in debita considerazione il disposto normativo che invece valorizza fortemente il ruolo dell’ausiliario anche in fase esecutiva rendendo l’impresa copartecipe e corresponsabile della corretta esecuzione della commessa.

In tal senso, deporrebbe il dettato dei commi 6, 8 e 9 dell’art. 89 che disciplinano rispettivamente: la responsabilità solidale del concorrente e dell’impresa ausiliaria nei confronti della S.A. in relazione alle prestazioni oggetto di contratto; l’assunzione del ruolo di subappaltatore dell’impresa ausiliaria nei limiti dei requisiti prestati e l’accertamento compiuto dalla S.A. circa l’effettivo impiego da parte del concorrente delle risorse oggetto di avvalimento nell’esecuzione dell’appalto.

Il Collegio conclude precisando che l’auspicata declaratoria di illegittimità costituzionale non paleserebbe profili di incompatibilità rispetto ai principi europei del favor partecipationis e della proporzionalità in quanto in tale evenienza la limitazione al subappalto lungi dal tradursi in una violazione della tutela dell’assetto concorrenziale del mercato europeo sarebbe funzionale alla protezione dei valori fondamentali enucleati dall’art. 36 del TFUE tra i quali figura espressamente anche la protezione del patrimonio artistico.

2. La sentenza della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale non ha condiviso la disamina compiuta dal giudice amministrativo e per l’effetto ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 105 e 146 sollevata in riferimento agli artt. 3 e 9 della Costituzione in quanto non si rinvengono nella disciplina normativa del subappalto analoghe motivazioni idonee a supportare la similitudine con il divieto di avvalimento ex art. 146, co. 3 e di riflesso a palesare un’irragionevole disparità di trattamento.

Sul punto, evidenzia la Corte, l’operatività dell’avvalimento è confinato, salvo eccezioni, entro la fase di partecipazione alla gara in quanto funzionale a dotare di risorse il concorrente che ne è ab initio privo.

Di contro, il subappalto presenta una struttura riservata alla fase esecutiva in quanto l’obbligazione tipica del subappaltatore si sostanzia, ai sensi dell’art. 1655 del c.c., nel compimento con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro.

Inoltre, il subappalto presuppone (rectius impone) che l’impresa abbia i requisiti per partecipare alla gara anche nel caso di ricorso al subappalto c.d. necessario. Al riguardo, il combinato disposto di cui agli artt. 12, co. 2 del D.L. 28 marzo 2014, n. 47 (conv. in L. 23 maggio 2014, n. 80) e 92, co. 1 del D.P.R. n. 207/2010 prevede infatti che nei contratti pubblici di lavori l’impresa che decida di subappaltare quota parte delle lavorazioni per una categoria a qualificazione obbligatoria richiesta dalla lex specialis disponga dell’attestazione SOA per la categoria prevalente volta a “coprire” anche l’importo della categoria scorporabile.

In tale evenienza, rileva la Consulta, “l’elemento comunque decisivo è che – in base alla disciplina del subappalto relativo ai beni culturali – soltanto l’operatore dotato di una qualificazione specialistica può eseguire i lavori relativi a tali beni, e questo di per sé assicura loro una effettiva tutela”.

In sostanza, sia che l’operatore decida di ricorrere al subappalto per ottenere la necessaria qualificazione specialistica sia che decida di avvalersi in via facoltativa dell’apporto operativo e gestionale di un altro operatore viene garantito che l’esecuzione della prestazione sia effettuata in proprio e in via diretta dal subappaltatore qualificato.

Pertanto, da un attento esame della normativa non emerge – ad eccezione delle ipotesi di avvalimento concernente i titoli di studio e professionali di cui all’allegato XVII, parte II, lett. f) del Codice ovvero del ruolo di subappaltatore ricoperto dell’impresa ausiliaria nei limiti di cui all’art. 89, co. 8 – che la prestazione da eseguire debba essere svolta dall’impresa ausiliaria; al contrario, salvo le eccezioni menzionate, la prestazione viene svolta sempre dal concorrente a cui viene rilasciato il certificato di corretta esecuzione.

Pertanto proprio l’assenza di una garanzia in ordine all’esecuzione della prestazione ad opera di un’impresa qualificata giustifica la ratio sottesa al divieto ex art. 146, co. 3 del CCP.

In conclusione, precisa la Consulta, l’eventuale previsione di un divieto di subappalto non solo contrasterebbe con gli articoli 3 e 9 della Costituzione, ma “potrebbe tradursi in una compressione del principio della concorrenza oltre che dell’autonomia privata non priva di criticità”.

3. Conclusioni.

La sentenza in esame si pone in linea di continuità rispetto all’orientamento giurisprudenziale eurounitario che, a più riprese, non ha esitato a censurare la previgente disposizione di cui all’art. 105, co. 2 del D. Lgs. n. 50/2016, la quale nel fissare un limite generale e astratto al subappalto si poneva in grave violazione rispetto ai fondamentali principi del favor partecipationis e della proporzionalità (in proposito, cfr. su questo sito G.F. Maiellaro – I. Picardi, Il limite al subappalto nella tempesta perfetta, tra giurisprudenza e “Milleproroghe”). Né sul punto può ritenersi condivisibile quanto sostenuto dal giudice rimettente in ordine ad una compatibilità europea di un divieto generalizzato di subappalto nello specifico settore dei beni culturali in quanto volto a tutelare, nel caso di specie, il patrimonio artistico, storico e archeologico nazionale ai sensi dell’art. 36 TFUE.

Tale disposizione non può essere, infatti, invocata in via del tutto apodittica per derogare al rispetto dei principi di tutela della concorrenza, ogniqualvolta si ponga astrattamente il tema di tutelare il patrimonio culturale nazionale.

Invero, il puntuale rispetto del criterio della proporzionalità impone che le misure restrittive da un lato devono esercitare un effetto diretto sull’interesse pubblico da tutelare e dall’altro lato devono risultare strettamente indispensabili per tutelare siffatto interesse.

Sul punto, il giudice europeo (CGUE, Sez. V, C- 63/18; Id., C- 402/18) ha evidenziato come ogni provvedimento normativo che impatta sull’assetto concorrenziale del mercato deve passare attraverso un attento giudizio di proporzionalità impostato sui noti criteri della: adeguatezza, idoneità e necessarietà. Proprio tale ultimo indice richiede l’insostituibilità con altro mezzo meno gravoso per la realizzazione altrettanto efficace delle finalità da perseguire pena l’illegittimità della restrizione imposta.

Nel caso di specie, attesa la diversità strutturale tra avvalimento e subappalto, la cornice normativa sopraesposta fornisce tutti gli strumenti per garantire che l’esecuzione della commessa avvenga ad opera di un soggetto dotato di apposita qualificazione, garantendo pertanto la tutela dei fondamenti interessi di cui agli art. 145 e ss del Codice dei contratti.

Inoltre, degno di nota anche il recente intervento normativo di modifica dell’art. 105, co. 8 ad opera dell’art. 49 del D.L. 31 maggio 2021, n. 77 (conv. in L. 29 luglio 2021, n. 108) nonché dall’art. 10 della L. 23 dicembre 2021, n. 238 che ha imposto un regime di responsabilità solidale tra contraente principale e subappaltatore nei confronti della P.A. per le prestazioni oggetto del contratto di subappalto.

Sebbene tale intervento normativo non incide sulla vicenda del giudizio a quo in forza del principio del tempus regit actum, tuttavia manifesta il chiaro segnale di dotare l’istituto del subappalto di ulteriori accorgimenti volti a garantire la corretta esecuzione della commessa.

Di contro, a parere di chi scrive, sembra palesare profili di dubbia compatibilità europea la previsione di un divieto generalizzato di ricorso all’avvalimento, ai sensi dell’art. 146, co. 3 del Codice, giustificato dall’esigenza di garantire che i lavori vengano direttamente eseguiti da chi abbia la specifica qualificazione richiesta nonché mezzi e risorse necessari.

Anche in tale evenienza una corretta applicazione dei principi europei imporrebbe quantomeno una previa verifica in ordine alla necessarietà e adeguatezza di tale divieto rispetto alle finalità che si intende perseguire.

Sul punto, preme rilevare che se da un lato la normativa nazionale non assicura con riguardo all’istituto dell’avvalimento che la prestazione sia eseguita dall’impresa ausiliaria che si limita a mettere a disposizione i requisiti di cui beneficerà il concorrente dall’altro lato è altresì vero che, in forza del disposto dell’art. 89, co. 9 del D. Lgs. n. 50/2016, è imposto alla P.A. lo svolgimento di verifiche sostanziali circa l’effettivo possesso dei requisiti e dell’effettivo impiego delle risorse, oggetto di avvalimento, nell’esecuzione dell’appalto.

Pertanto, nel settore dei beni culturali l’ordinamento sembrerebbe dotare la P.A. del potere di effettuare un idoneo controllo anche durante la fase esecutiva al fine di appurare che i lavori vengano eseguiti con l’impiego delle risorse specifiche ed adeguate alla tutela del bene oggetto di intervento ai sensi dell’art. 146, co. 1 del Codice.

Alla luce di quanto sopra rilevato, si auspica che sull’impianto normativo di cui agli articoli 146 e ss. il legislatore e la giurisprudenza possano intervenire nuovamente per giungere anche in siffatta ipotesi ad un’interpretazione comunitariamente orientata sganciata da rigidi formalismi.

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