La Consulta dichiara incostituzionale la spending review 2013

9 Giugno 2016
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La Corte costituzionale, con la sentenza n. 129 depositata il 6 giugno, dichiara illegittimo l’art. 16, comma 6, del d.l. 95/2012 nella parte in cui lo Stato prevede la riduzione delle risorse per gli enti locali senza alcuna forma di coinvolgimento con tali enti, ed in assenza di un termine per l’adozione del decreto di natura non regolamentare del Ministero dell’interno.

La questione di illegittimità costituzionale 
Il Comune di Lecce era ricorso innanzi al TAR contestando la riduzione dei trasferimenti erariali determinata dal decreto del Ministero dell’Interno del 24 settembre 2013, chiedendone l’annullamento. Tale decreto discendeva dalle disposizioni di cui al d.l.95/12 (c.d. spending review bis) ed in particolare dall’art. 16 comma 6, il quale aveva disposto, nella sua originaria versione, la riduzione per gli enti locali di 500 milioni di euro per l’anno 2012, di 2.000 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014 e 2.100 milioni di euro a decorrere dall’anno 2015. Secondo il TAR del Lazio adito, la citata normativa statale violerebbe i precetti costituzionale per le seguenti motivazioni:

  • per la mancata previsione di un termine per l’adozione del decreto ministeriale volto a determinare la quota di riduzione spettante a ciascun comune lederebbe l’autonomia finanziaria e il buon andamento dell’amministrazione dell’ente medesimo, incidendo l’eventuale tardività nell’adozione del decreto ministeriale sulla redazione del bilancio finanziario del comune;
  • per la lesione del principio di leale collaborazione, in quanto non subordina la determinazione unilaterale delle quote, da parte dello Stato, all’inerzia della Conferenza Stato-Città e autonomie locali;
  • individua nei “consumi intermedi” il criterio per la determinazione della quota di riduzione delle risorse da trasferire, senza decurtare da detti consumi le spese sostenute per i servizi ai cittadini;
  • per il ricorso ad un criterio (i consumi intermedi) diverso da quello previsto dalla disposizione costituzionale per il fondo perequativo (minore capacità contributiva per abitante).

Le motivazioni del Giudice delle leggi
Evidenzia, in via preliminare, la Consulta come le disposizioni contenute nel d.l. 95/2012 hanno subito nel tempo ulteriori integrazioni e modifiche, tanto che per il solo anno 2013 convivono due fondi con due diversi meccanismi di imputazione delle riduzioni: il primo riguarda il Fondo sperimentale di riequilibrio, in via di estinzione, e prevede che lo Stato, con una decisione unilaterale, distribuisca le risorse, ridotte in proporzione alle spese sostenute per i consumi intermedi; il secondo riguarda il nuovo Fondo di solidarietà comunale, il cui riparto è affidato primariamente alla Conferenza Stato-Città e autonomie locali e, nel solo caso di mancato accordo, all’intervento unilaterale dello Stato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Il mancato coinvolgimento della Conferenza Stato-Città e autonomie locali nella fase di determinazione delle riduzioni addossate a ciascun comune, seppur limitatamente all’anno 2013, unitamente alla mancanza di un termine per l’adozione del decreto ministeriale e alla individuazione dei costi intermedi come criterio base per la quantificazione dei tagli finanziari, comporta, infatti, la violazione degli artt. 3, 97 e 119 Cost.
Secondo il Giudice delle leggi, se è vero che l’art. 16, comma 6, del d.l. 95/2012, indica obiettivi di contenimento delle spese degli enti locali, ponendosi come principio di coordinamento della finanza pubblica, che vincola senz’altro anche i Comuni, è altrettanto vero che l’incidenza deve, in linea di massima, essere mitigata attraverso la garanzia del coinvolgimento dei citati enti territoriali, nella fase di distribuzione del sacrificio e nella decisione sulle relative dimensioni quantitative, e non può essere tale da rendere impossibile lo svolgimento delle funzioni degli enti in questione. In tale contesto non è possibile, pertanto, da parte dello Stato escludere sin dall’inizio ogni forma di coinvolgimento degli enti interessati, tanto più se il criterio posto alla base del riparto dei sacrifici non è esente da elementi di dubbia razionalità, come è quello delle spese sostenute per i consumi intermedi. Ora, il ricorso al criterio delle spese sostenute per i consumi intermedi come parametro per la quantificazione delle riduzioni delle risorse da imputare a ciascun comune possa trovare giustificazione solo se affiancato a procedure idonee a favorire la collaborazione con gli enti coinvolti e a correggerne eventuali effetti irragionevoli. Il criterio delle spese sostenute per i consumi intermedi non è dunque illegittimo in sé e per sé; la sua illegittimità deriva dall’essere parametro utilizzato in via principale anziché in via sussidiaria, vale a dire solo dopo infruttuosi tentativi di coinvolgimento degli enti interessati attraverso procedure concertate o in ambiti che consentano la realizzazione di altre forme di cooperazione. Inoltre, non può essere sottovalutato il fatto che la disposizione impugnata non stabilisce alcun termine per l’adozione del decreto ministeriale che determina il riparto delle risorse e le relative decurtazioni. Un intervento di riduzione dei trasferimenti che avvenisse a uno stadio avanzato dell’esercizio finanziario comprometterebbe un aspetto essenziale dell’autonomia finanziaria degli enti locali, vale a dire la possibilità di elaborare correttamente il bilancio di previsione, attività che richiede la previa e tempestiva conoscenza delle entrate effettivamente a disposizione.

Conclusioni
Sulla base delle su esposte considerazioni la Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 6, del decreto-legge 6.7.2012, n. 95 nella parte in cui non prevede, nel procedimento di determinazione delle riduzioni del Fondo sperimentale di riequilibrio da applicare a ciascun comune nell’anno 2013, alcuna forma di coinvolgimento degli enti interessati, né l’indicazione di un termine per l’adozione del decreto di natura non regolamentare del Ministero dell’interno.

Vincenzo Giannotti

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