Ai sensi dell’art. 37 commi 18 e 19, del Codice dei contratti (nel testo integrato dal d.lgs. 113/2007), quando una misura interdittiva antimafia colpisce un’impresa mandante o mandataria di un r.t.i., è consentito all’Amministrazione di proseguire il rapporto di appalto con l’impresa superstite (naturalmente, alle condizioni del possesso dei necessari requisiti di qualificazione richiesti dal bando).
Il Collegio desume da questa disposizione l’esclusione di qualsiasi “automatica” sussistenza di rischi di infiltrazione mafiosa in capo ad una impresa per il solo fatto che si fosse associata ad altra impresa ritenuta controindicata; si ritiene, conseguentemente, che la “vicinanza” tra una impresa controindicata ed una impresa oggetto di valutazione nel procedimento volto alla definizione di un provvedimento interdittivo vada apprezzata caso per caso, in relazione alle concrete vicende collaborative tra le due imprese, che vanno adeguatamente approfondite allo scopo di accertare la sussistenza di fattori oggettivi di condizionamento, non della impresa controindicata rispetto a quella in valutazione, ma da parte delle medesime organizzazioni criminali che hanno compromesso la posizione della prima.
In questo modo si persegue la ratio di contemperare il prosieguo dell’iniziativa economica delle imprese in forma associata con le esigenze afferenti alla sicurezza e all’ordine pubblico connesse alla repressione dei fenomeni di stampo mafioso, ogni volta che, a mezzo di pronte misure espulsive, si determini volontariamente l’allontanamento e la sterilizzazione delle imprese in pericolo di condizionamento mafioso (cfr. Cons. Stato, VI, n. 7345/2010).
In particolare il Collegio si sofferma sul fatto che l’interdittiva in discorso non offra alcuna indicazione specifica in ordine alla posizione dell’impresa del RTI non colpita dal provvedimento, rendendo così illegittima la sua esclusione.
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