È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale serie generale n. 145 del 25 giugno 2018 il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 76/2018 recante “modalità di svolgimento, tipologie e soglie dimensionali delle opere sottoposte a dibattito pubblico”, adottato ai sensi dell’art. 22, comma 2, d.lgs. n. 50/2016.
Il regolamento, che entrerà poi a tutti gli effetti in vigore il 24 agosto 2018, ha finalmente fornito all’istituto del dibattito pubblico, una delle “novità” più discusse del d.lgs. n. 50/2016 (che si limitava soltanto a prevederlo), una disciplina concreta, sebbene con oltre un anno di ritardo rispetto al termine previsto dall’art. 22 del Codice.
L’istituto in questione, introdotto dal d.lgs. n. 50/2016 in attuazione dell’art. 1, comma 1, lett. qqq) della legge delega (senza tuttavia alcun vincolo in tal senso proveniente dalle direttive eurounitarie), è sostanzialmente modellato sul débat public francese e ha l’obiettivo di consentire – già nella fase progettuale – la consultazione pubblica delle possibili istanze e osservazioni delle comunità locali dei territori interessati dalla realizzazione di opere infrastrutturali strategiche.
In sostanza, nelle intenzioni del legislatore, l’introduzione di forme di dibattito pubblico si poneva non solo in un’ottica di trasparenza, informazione e partecipazione democratica ai processi decisionali ma, consentendo un confronto “a monte” in vista dell’inizio dei lavori, forse soprattutto quale possibile strumento di prevenzione di forme di contrasto alla realizzazione di opere pubbliche e di deflazione del successivo contenzioso.
Se queste erano le ambiziose intenzioni del legislatore, probabilmente il d.P.C.M. oggi varato rappresenta un passo indietro e rischia di compromettere l’effettiva operatività del nuovo istituto, confinandolo a sporadiche ipotesi applicative con la previsione di elevate soglie dimensionali.
Rispetto a tale rischio, il Governo era già stato messo in guardia dal Consiglio di Stato in sede di parere reso sullo schema di decreto (parere n. 359 del 12 febbraio 2018, commentato su questo sito).
Il Consiglio di Stato, infatti, aveva affermato con chiarezza che le soglie economiche fissate dal decreto erano «di importo così elevato da finire per rendere, nella pratica, minimale il ricorso a tale istituto».
Ciò nonostante, il monito del Consiglio di Stato è rimasto sostanzialmente inascoltato e così le soglie sono rimaste pressoché identiche a quelle previste nello schema di decreto: basti pensare che, per le più rilevanti categorie di autostrade e strade extraurbane principali (superiori a 15 km) e ferrovie (superiori ai 30 km), continuano a essere fissate in un importo pari superiore a 500 milioni di euro al netto di IVA del complesso dei contratti previsti.
Sembra essere stato altresì ignorato il suggerimento relativo alla necessità di una migliore definizione del ruolo della Commissione nazionale del dibattito pubblico, essendo rimasta praticamente inalterata la formulazione dell’art. 4, comma 6, che ne disciplina le funzioni.
Rispetto alla bozza, si è unicamente aggiunto che la relazione biennale sulle risultanze delle attività di monitoraggio dovrà essere presentata non solo alle Camere, come previsto nello schema, ma anche al Governo.
In gran parte inascoltato risulta essere stato anche il suggerimento relativo alla necessità di approntare strumenti di prevenzione anche per i beni culturali nazionali non protetti a livello UNESCO, essendo state aggiunte, rispetto all’originaria formulazione dell’art. 3, soltanto le aree marine protette.
Sono stati, invece, accolti altri suggerimenti.
In particolare:
- è stato individuato un numero dispari di componenti la Commissione per evitare situazioni di stallo mediante la previsione di tre, anziché due, rappresentanti designati dal Presidente del Consiglio dei Ministri (art. 4);
- è stato chiarito che «l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore individua, secondo i propri ordinamenti, il soggetto titolare del potere di indire il dibattito pubblico» (art. 5);
- per quanto riguarda l’esigenza di garantire l’indipendenza e la terzietà del coordinatore del dibattito pubblico è stato specificato che «se l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore è un Ministero, il coordinatore è designato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri tra i dirigenti delle pubbliche amministrazioni estranei al Ministero interessato» (art. 6).
In definitiva, da una prima lettura del d.P.C.M., che potrà essere pienamente valutato solo alla prova pratica, il nuovo istituto del dibattito pubblico sembra uscire senz’altro ridimensionato e depotenziato.
Potrebbe quasi sembrare che il dibattito pubblico sia transitato, dalla vetrina in cui lo aveva posto il Codice, in un oscuro retrobottega.
La sostanziale retromarcia rispetto agli iniziali intenti di riforma che collocavano il dibattito pubblico tra le più rilevanti novità del nuovo Codice potrebbe aver tenuto conto delle preoccupazioni degli operatori economici, considerati i rischi di stallo che sarebbero potuti derivare da una più diffusa applicazione.
È difficile stabilire se si sia trattato di un’occasione sprecata o se il débat public francese fosse in effetti difficilmente trasponibile nella realtà italiana.
Di certo se ne tornerà a parlare una volta che il regolamento sarà entrato in vigore il prossimo 24 agosto, iniziando inevitabilmente a incidere soprattutto sull’iter realizzativo delle opere infrastrutturali di maggiore rilevanza economica.
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