I fatti di causa
La società ricorrente ha agito, ai sensi dell’articolo 30, comma 5, cod. proc. amm., al fine di ottenere il risarcimento del danno derivante dagli illegittimi provvedimenti di esclusione dalla gara e di aggiudicazione della commessa in favore di altra società poi annullati in sede giurisdizionale.
Dopo aver ottenuto dalla stazione appaltante l’attestazione della circostanza che la gara non avrebbe dovuto essere aggiudicata all’altra concorrente e che la stessa tuttavia aveva avuto un seguito, essendo stato il contratto posto in esecuzione, la ricorrente ha domandato il riconoscimento delle voci di danno del lucro cessante, del danno da perdita di chance, del danno emergente, delle altre spese affrontate dalla ricorrente, del danno curriculare e del danno non patrimoniale per lesione dell’immagine aziendale.
La decisione del T.A.R. Lazio.
Traendo spunto dai più recenti insegnamenti offerti dal Supremo Consesso (sentenza n. 26/2024), il Collegio ha ricordato che all’impresa pregiudicata dalla mancata aggiudicazione è data la possibilità di scegliere tra: a) la “tutela in forma specifica”, a carattere integralmente satisfattorio, affidata alla “domanda di conseguire l’aggiudicazione e il contratto” (art. 124, comma 1, prima parte), il cui accoglimento, secondo l’insegnamento del Supremo Consesso, “: a1) postula, in negativo, la sterilizzazione ope judicis, in termini di “dichiarazione di inefficacia”, del contratto eventualmente già stipulato inter alios (essendo, per ovvie ragioni, preclusa la reduplicazione attributiva dell’unitario bene della vita gestito dalla procedura evidenziale); a2) richiede, in positivo, un apprezzamento di spettanza in termini di diritto al contratto, con la certezza che, in assenza del comportamento illegittimo serbato dalla stazione appaltante, il ricorrente si sarebbe senz’altro aggiudicato la commessa”; b) il “risarcimento del danno per equivalente” (art. 124, comma 1, seconda parte) “e ciò: b1) sia nel caso in cui il giudice abbia riscontrato l’assenza dei presupposti per la tutela specifica (e, in particolare, non abbia ravvisato, ai sensi degli artt. 121, comma 1 e 122 cod. proc. amm., i presupposti per dichiarare inefficace il contrato stipulato ovvero, sotto distinto profilo, non abbia elementi sufficienti a formulare un obiettivo giudizio di spettanza); b2) sia nel caso in cui la parte abbia ritenuto di non formalizzare la domanda di aggiudicazione (né si sia resa comunque “disponibile a subentrare nel contratto”, anche in corso di esecuzione), nel qual caso la “condotta processuale” va anche apprezzata in termini concausali (cfr. art. 124, comma 2, in relazione al richiamato art. 1227 cod. civ.)”.
Come nel caso esaminato dal Consiglio di Stato, la ricorrente si era trovata costretta a chiedere il risarcimento del danno per equivalente, essendo l’annullamento dell’aggiudicazione intervenuto quando i lavori erano stati ormai eseguiti dal primo aggiudicatario. Su tali presupposti il Collegio ha ritenuto sussistente il fatto costitutivo dell’illecito, essendo illegittimo il provvedimento di esclusione disposto ab origine e la conseguente aggiudicazione a un altro concorrente, con conseguente rapporto di causa-effetto suscettibile di tutela in sede risarcitoria.
Il Collegio ha ricordato, sotto questo profilo che “L’azione risarcitoria va (…) ricondotta alle disposizioni dell’art. 30, comma 2, Cod. proc. amm. e dell’art. 2043 cod. civ.: il fatto costitutivo è l’illegittimità del provvedimento; l’elemento soggettivo del dolo o della colpa, in materia di pubblici appalti, non è rilevante, né richiesto a presupposto della responsabilità della pubblica amministrazione; l’evento di danno (ingiusto) è appunto l’adozione del provvedimento illegittimo per avere la pubblica amministrazione esercitato l’attività amministrativa con incompetenza o in violazione di legge o eccesso di potere; le conseguenze pregiudizievoli risarcibili perché prodotte da tale evento di danno sono quelle direttamente e immediatamente causate dall’atto illegittimo” (Cons. Stato, Sez. V, 14 febbraio 2023, n. 1552; Id., 4 luglio 2022, n. 5554; Id., 30 novembre 2021, n. 7960).
In questa prospettiva, “Il danneggiato è, dunque, tenuto a provare il nesso eziologico tra il danno ingiusto, costituito dal provvedimento illegittimo, e le dirette e immediate conseguenze pregiudiziali risarcibili (danno conseguenza). Nella materia dei pubblici appalti tali conseguenze consistono sostanzialmente nella perdita dell’aggiudicazione o nella perdita delle chances di aggiudicazione (…)” (Cons. Stato, n. 1552 del 2023, cit. e n. 5554 del 2022, cit.).
Pertanto, nel caso del danno da mancata aggiudicazione, per l’imputazione si prescinde dalla colpa della stazione appaltante in quanto “la responsabilità assume, nella materia de qua, una coloritura funzionale compensativo-surrogatoria a fronte della impossibilità di conseguire l’aggiudicazione del contratto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 aprile 2019, n. 2429; Id., sez. V, 19 luglio 2018, n. 4381)”; mentre, nell’ottica dell’esistenza di un danno “subito e provato”, “è onere del concorrente danneggiato offrire compiuta dimostrazione dei relativi presupposti, sia sul piano dell’an che sul piano del quantum, atteso che, in punto di tutela risarcitoria, l’ordinario principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal c.d. metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento ex art. 64, commi 1 e 3 cod. proc. amm., che si giustifica solo in quanto sussista la necessità di equilibrare l’asimmetria informativa tra Amministrazione e privato (cfr. Cons Stato, sez. V, 13 luglio 2017, n. 3448)”.
Fatte queste premesse il Collegio ha delineato i seguenti parametri in relazione ai potenziali riconoscimenti:
“non compete il ristoro del danno emergente, posto che i costi per la partecipazione alla gara sono destinati, di regola, a restare a carico del concorrente (il quale, perciò, può pretenderne il ristoro solo allorché lamenti, in chiave di responsabilità precontrattuale, di averli inutilmente sostenuti per essere stato coinvolto, in violazione delle regole di correttezza e buona fede, in una trattativa inutile), onde il cumulo con l’utile prospetticamente derivante, in caso di mancata aggiudicazione, dalla esecuzione della commessa darebbe vita ad un ingiustificato arricchimento (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 23 agosto 2019, n. 5803; Id., sez. VI, 15 settembre 2015, n. 4283; Id., sez. III, 25 giugno 2013, n. 3437; Id., sez. III, 14 dicembre 2012, n. 6444)”;
spetta, invece, “il lucro cessante, che si identifica con il c.d. interesse positivo e che ricomprende: d1) il mancato profitto, cioè a dire l’utile che l’impresa avrebbe ricavato, in base alla formulata proposta negoziale ed alla propria struttura dei costi, dalla esecuzione del contratto; d2) il danno c.d. curriculare, derivante dall’impossibilità di arricchimento della propria storia professionale ed imprenditoriale, con conseguente potenziale perdita di competitività in relazione a future occasioni contrattuali”.
Relativamente al lucro cessante la quantificazione non può essere pari alla misura del dieci per cento, o di altra percentuale, dell’importo a base d’asta, non essendo tale parametro ancorato a precedenti utili in materia di risarcimento ed essendo il riconoscimento economico ancorato alla prova del danno da parte del danneggiato, dovendo farsi ricorso alla valutazione equitativa solo in caso di impossibilità o di estrema difficoltà a fornire prova in relazione all’ammontare preciso del danno patito.
Anche il danno curriculare deve essere oggetto di puntuale dimostrazione da parte del soggetto danneggiato, al quale per ogni tipologia di pregiudizio eventualmente subito andranno riconosciuti rivalutazione monetaria (a decorrere dalla data di stipula del contratto fino all’attualità), e interessi legali sulla somma di anno in anno rivalutata, fino all’effettivo soddisfo.
Il danno da mancata aggiudicazione alla luce delle indicazioni fornite dal Consiglio di Stato. Gli strumenti di maggior tutela e gli indici cui ancorarsi per la stima del danno.
TAR Lazio, Roma, sentenza del 27 giugno 2024, n. 12921
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