Nota a Consiglio di Stato, sez. VI, Sentenza n. 4832 del 29.07.2020
A seguito della sentenza della CGUE del 27 novembre 2019 che ha affermato che la direttiva n. 2004/18/CE, in materia di appalti pubblici, osta ad una norma come l’art. 118 – che limita al trenta per cento la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi e al venti per cento la possibilità di ribassare i prezzi applicabili alle prestazioni subappaltate rispetto ai prezzi risultanti dall’aggiudicazione – deve ritenersi ammissibile l’affidamento in subappalto oltre i limiti fissati da detta disposizione.
La questione affrontata dal Consiglio di Stato
La vicenda contenziosa da cui trae origine la pronuncia in commento concerne una gara per l’affidamento del servizio di pulizia nella quale il costituendo RTI aggiudicatario, in sede di procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta, aveva giustificato il proprio ribasso invocando, tra le altre, la prevista possibilità di subappaltare una parte del servizio a cooperative sociali di produzione e lavoro di tipo b che, per la loro peculiare natura e funzione, beneficiano di agevolazioni salariali, fiscali e contributive, al fine del contenimento dei costi della manodopera.
Avverso il provvedimento di aggiudicazione è insorto il costituendo RTI secondo in classifica deducendo dinanzi al TAR Lazio – sede di Roma articolate censure, fra cui, la violazione dei limiti al subappalto di cui all’art. 118, commi 2 e 4 del d.lgs 163/2006, in quanto, da un lato, il valore delle prestazioni lavorative affidate in subappalto alle cooperative sociali di tipo b avrebbe ecceduto il prescritto limite quantitativo del 30 % del valore dell’appalto e, dall’atro, le medesime prestazioni sarebbero state retribuite con corrispettivi ribassati di oltre il 20% rispetto a quelli praticati dal medesimo costituendo RTI nei confronti dei propri dipendenti diretti.
Il giudice di prime cure, con sentenza n. 12511/2017, ha accolto parzialmente la suddetta impugnazione con precipuo riferimento alla dedotta violazione dei limiti di cui all’art. 118, commi 2 e e 4 del d.lgs 163/2006 (oltre che per l’asserita violazione della lex specialis in ordine alla formazione dell’organigramma offerto dall’aggiudicatario per l’esecuzione dei servizi oggetto di appalto).
Siffatta pronuncia è stata successivamente oggetto di impugnazione in via principale da parte dell’originaria aggiudicataria nonché di impugnazione in via incidentale da parte dell’originario ricorrente parzialmente vittorioso in primo grado.
Il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia
Chiamato a pronunciarsi sulle censure sollevate dalle parti avverso la sentenza di primo grado, il Consiglio di Stato, ritenendo di attribuire rilevanza decisiva, ai fini della definizione della controversia, alle questioni concernenti i limiti al subappalto, sia con riferimento al limite del trenta per cento quale quota parte del servizio massima subappaltabile di cui all’art. 118, comma secondo del d.lgs 163/2006, sia relativamente al limite del venti per cento quale ribasso massimo praticabile sui prezzi unitari risultanti dall’aggiudicazione per le prestazioni affidate in subappalto di cui all’art. 118, comma quarto del d.lgs 163/2006, con l’ordinanza n. 3553/18 pubblicata in data 11 giugno 2018, ha rimesso alla Corte di Giustizia la questione pregiudiziale concernente la compatibilità di tali disposizioni con: i) i principi di libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi di cui gli articoli 49 e 56 del (TFUE); ii) l’art. 25 della Direttiva 2004/18 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004; iii) l’art. 71 della Direttiva 2014/24 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014.
Tale pronuncia è intervenuta peraltro a breve distanza dall’Ordinanza n. 148 del 19 gennaio 2018 con la quale il Tar Lombardia – Milano aveva proposto una analoga questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia in ordine alla nuova disciplina del subappalto contenuta nell’art. 105 del d.lgs 50/2016 – che peraltro sul punto riprende il tenore del predetto art. 118 – chiedendo alla Corte di Giustizia di fornire risposta al dubbio relativo alla possibile violazione dei principi di libertà di stabilimento (art. 49 TFUE), di libera prestazione dei servizi (art. 56 TFUE) e di proporzionalità, nonché dell’art. 71, Direttiva 2014/24/UE, che non prevede alcun limite per il subappalto, da parte della disciplina codicistica che invece prevede lo stringente limite del 30% senza eccezioni di sorta.
A sostegno dell’Ordinanza di rimessione alla Corte di Giustizia, il Consiglio di Stato ha in particolare rilevato che la previsione dei limiti generali dettati dai due commi dell’art. 118 del d.lgs 163 del 2006 in questione potesse effettivamente rendere più difficoltoso l’accesso delle imprese, in particolar modo di quelle di piccole e medie dimensioni, agli appalti pubblici, “così ostacolando l’esercizio della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi e precludendo, peraltro, agli stessi acquirenti pubblici l’opportunità di ricevere offerte più numerose e diversificate; tale limite, non previsto dalla direttiva 2004/18, impone una restrizione alla facoltà di ricorrere al subappalto per una parte del contratto fissata in maniera astratta in una determinata percentuale dello stesso, e ciò a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità di eventuali subappaltatori e senza menzione alcuna del carattere essenziale degli incarichi di cui si tratterebbe, in contrasto con gli obiettivi di apertura alla concorrenza e di favore per l’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici”.
La decisione della Corte di Giustizia
La Corte di Giustizia, con la sentenza del 27 novembre 2019, resa nella causa C- 402/18 si è pronunciata sulla questioni pregiudiziali sopracitate rilevando che: “La direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, dev’essere interpretata nel senso che:
– essa osta a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che limita al 30% la quota parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi;
– essa osta a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che limita la possibilità di ribassare i prezzi applicabili alle prestazioni subappaltate di oltre il 20% rispetto ai prezzi risultanti dall’aggiudicazione”.
Nello specifico, con riferimento alla prima questione concernente il limite del 30 % della quota subappaltabile, la Corte di Giustizia ha in sostanza evidenziato come siffatto limite non risultasse conforme all’obiettivo dell’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza nella misura più ampia possibile e risultasse in ogni caso eccessivo rispetto a quanto necessario per contrastare il fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici, non lasciando peraltro alcuno spazio a una necessaria valutazione caso per caso da parte dell’ente aggiudicatore
Con riguardo alla seconda questione concernente la prevista possibilità di ribassare i prezzi applicabili alle prestazioni subappaltate non oltre il 20% rispetto ai prezzi risultanti dall’aggiudicazione, la Corte di Giustizia ha ritenuto tale limite non conforme al diritto dell’unione europea in quanto eccessivo rispetto al fine che intende perseguire ovvero quello di assicurare ai lavoratori impiegati nel contesto di un subappalto una tutela salariale, sproporzionato rispetto all’obiettivo di voler garantire la redditività dell’offerta e la corretta esecuzione dell’appalto, dal momento che esistono altre misure meno restrittive che faciliterebbero il raggiungimento di quest’ultimo e, in ogni caso, non rispondente all’esigenza di assicurare una valutazione caso per caso da parte dell’amministrazione aggiudicatrice, dal momento che si applica indipendentemente da qualsiasi presa in considerazione della tutela sociale garantita dalle leggi, dai regolamenti e dai contratti collettivi applicabili ai lavoratori interessati.
Al contempo, la Corte di Giustizia, dato atto che, nello specifico, il subappalto oggetto di esame da parte del giudice del rinvio comportava il ricorso a cooperative sociali che, in base alla normativa italiana, beneficiano di un regime preferenziale in materia di fiscalità, di contributi, di retribuzione e di previdenza sociale, e che tale normativa mira proprio a facilitare l’integrazione nel mercato del lavoro di talune persone svantaggiate, rendendo possibile il versamento ad esse di un corrispettivo meno elevato di quello che si impone nel caso di altri soggetti che effettuano prestazioni analoghe, ha altresì evidenziato che la mera circostanza che un offerente – come nel caso in esame – fosse in grado di limitare i propri costi in ragione dei prezzi che egli negozia con i subappaltatori non è di per sé tale da violare il principio della parità di trattamento, ma contribuisce piuttosto a una concorrenza rafforzata e quindi all’obiettivo perseguito dalle direttive adottate in materia di appalti pubblici.
La decisione del Consiglio di Stato
Con la pronuncia in esame, il Consiglio di Stato ha quindi recepito pedissequamente l’indirizzo espresso dalla Corte di Giustizia con la citata sentenza del 27 novembre 2019 e, ritenendo perciò non più applicabile al caso di specie, in quanto contraria al diritto europeo, la disciplina di cui all’art. 118, commi 2 e 4, del d.lgs 163 del 2006, posta a base di entrambe le prime censure accolte dal TAR Lazio, ha accolto l’appello principale ritenendo perciò legittimo l’affidamento in subappalto alle cooperative sociali effettuato dal costituendo RTI aggiudicatario.
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