Il Consiglio di Stato offre un riepilogo dei criteri utili a definire e determinare sotto il profilo probatorio il danno da mancata aggiudicazione della gara alla luce dei principi giurisprudenziali affermatisi sul tema

Commento a Consiglio di Stato, sez. V, sentenza del 2 gennaio 2024, n. 26

Modifica zoom
100%

I fatti di causa
La società ricorrente aveva chiesto l’accertamento della responsabilità di un Ente Locale per l’illegittima aggiudicazione ad altro operatore economico di un appalto la cui determina di aggiudicazione era già stata annullata con sentenza del TAR passata in giudicato; di qui la conseguente richiesta di condanna del Comune al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali patiti.
Più nel dettaglio, con la sentenza ormai passata in giudicato, venivano ritenute fondate le censure di ricorso relative alla illegittima ammissione dell’A.T.I. aggiudicataria, sia con riguardo alla mancata produzione in sede di gara dell’originale della polizza assicurativa inerente alla cauzione provvisoria, sia alla mancanza di alcune dichiarazioni da parte degli amministratori in carica nel triennio precedente.
Per l’effetto, parte ricorrente, dopo la pubblicazione della predetta sentenza, chiedeva al Comune di procedere all’affidamento dell’appalto in suo favore, ma ciò non avveniva, pertanto, chiedeva il risarcimento del danno patito.
A sostegno della pretesa veniva invocata la violazione degli artt. 2043 cod. civ. e 30 e 124 del cod. proc. amm., con richiesta di ristoro del lucro cessante, ossia dell’utile non percepito, quantificato in una somma pari al 15% dell’offerta, cui doveva aggiungersi il danno curriculare, da quantificare equitativamente in una misura compresa tra l’1 e il 5% dell’importo globale dell’appalto.
In primo grado, il ricorso veniva accolto essendo ritenuto sussistente il fatto lesivo, ossia l’evento pregiudizievole della sfera giuridica della società ricorrente, derivante da una attività amministrativa illegittima emergendo l’ingiustizia del danno arrecato alla ricorrente che, nella sua qualità di seconda classificata, avrebbe dovuto ottenere l’aggiudicazione però non conseguita.
Avverso la predetta pronuncia interponeva gravame il Comune fondandosi su due motivi di impugnazione: in primo luogo, l’error in iudicando nella parte in cui era stata riconosciuta la sussistenza dell’an del danno asseritamente subito, nonostante non fosse stata fornita prova a sostegno della pretesa risarcitoria, né con riferimento al mancato profitto, né con riferimento al danno curriculare; in secondo luogo e in via subordinata, l’error in iudicando per la erronea determinazione del quantum del danno asseritamente subito.
 
La decisione del Consiglio di Stato.
Il Supremo Consesso ha deciso di assumere in esame il primo motivo di impugnazione proposto dall’Ente Locale, ritenendolo fondato alla luce della sostanziale carenza di elementi probatori a supporto della domanda di risarcimento del danno e dell’utile eventualmente ritraibile dall’appalto non oggetto di aggiudicazione.
Il Consiglio di Stato, superando gli automatismi tipici conseguenti alla declaratoria di annullamento dell’aggiudicazione e al presunto danno che discenderebbe all’operatore economico che non abbia ottenuto l’aggiudicazione per fatto e colpa della Stazione Appaltante, ha enucleato dapprima quelli che risultano essere i consolidati strumenti di tutela posti in capo alla parte privata.
E, dunque, all’impresa pregiudicata è data la possibilità di scegliere: a) la “tutela in forma specifica”, a carattere integralmente satisfattorio, affidata alla “domanda di conseguire l’aggiudicazione e il contratto” (art. 124, comma 1, prima parte), il cui accoglimento, secondo l’insegnamento del Supremo Consesso, “: a1) postula, in negativo, la sterilizzazione ope judicis, in termini di “dichiarazione di inefficacia”, del contratto eventualmente già stipulato inter alios (essendo, per ovvie ragioni, preclusa la reduplicazione attributiva dell’unitario bene della vita gestito dalla procedura evidenziale); a2) richiede, in positivo, un apprezzamento di spettanza in termini di diritto al contratto, con la certezza che, in assenza del comportamento illegittimo serbato dalla stazione appaltante, il ricorrente si sarebbe senz’altro aggiudicato la commessa”; b) il “risarcimento del danno per equivalente” (art. 124, comma 1, seconda parte).
È chiaro che, nel caso di specie, la ricorrente aveva dovuto optare per tale ultima forma di tutela, essendo l’annullamento dell’aggiudicazione intervenuto quando i lavori erano stati ormai eseguiti dal primo aggiudicatario.
Di qui, dunque, l’imputazione di una responsabilità in capo alla stazione appaltante in conseguenza della mancata aggiudicazione al soggetto che, invero, avrebbe dovuto stipulare il contratto ed eseguire i lavori e la possibilità per quest’ultimo di ricevere un ristoro economico che, però, ai sensi dell’art. 124, comma 1, c.p.a. deve pur sempre inerire a un danno “subito e provato”.
Ciò implica l’onere del danneggiato di provare il danno sia sotto il profilo dell’an che del quantum, non potendosi ammettere alla tutela in forma specifica il concorrente che assuma di avere subito un danno ma che non alleghi coerentemente i presupposti del pregiudizio subito.
Con la conseguenza che per il Supremo Consesso, non spetterebbe in ipotesi il ristoro del danno emergente in quanto i costi di partecipazione dovrebbero restare a carico del concorrente (a meno che non provi una responsabilità precontrattuale della stazione appaltante); mentre risulterebbe dovuto il lucro cessante nella sua accezione di interesse positivo, ovvero di mancato profitto ricavato dalla esecuzione del contratto e di danno curriculare, inteso come perdita di possibilità di incrementare l’avviamento d’impresa o di ottenere qualificazioni e come danno al prestigio professionale.
Con l’ovvia considerazione che in ipotesi di totale assenza di prova sia in ordine all’an che al quantum del risarcimento e di indicazioni di parametri utili cui ancorare la richiesta, sotto il profilo probatorio, e la relativa stima, non si potrà dar seguito ad alcun riconoscimento economico.
Nel caso di specie, la doglianza rivolta dalla Stazione Appaltante in appello risiedeva appunto nella mancata allegazione agli atti di causa dell’offerta formulata dal concorrente che assumeva di avere subito il pregiudizio cui peraltro risultavano sostanzialmente ancorate le pretese inerenti al lucro cessante (15% della somma presuntivamente offerta) e danno curriculare (un importo tra l’1% e il 5% dell’importo globale dell’appalto).
Il Consiglio di Stato, facendo corretta applicazione del principio di diritto già enunciato dalla sentenza dello stesso Consiglio di Stato, n. 2435/2019 (pronuncia tra l’altro richiamata anche dal Giudice di prime cure), ha ribadito che “spetta all’impresa danneggiata offrire la prova dell’utile che in concreto avrebbe conseguito, qualora fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, poiché nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento (ex art. 64, commi 1 e 3, c.p.a.)”, ravvisando pertanto l’errore commesso dal Collegio di prime cure il quale invece si era limitato ad apportare una riduzione sul quantum di risarcimento richiesto dalla parte.

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento