Sul concetto di “grave errore professionale” nel caso in cui il concorrente abbia tentato di acquisire informazioni riservate relative ad una procedura di gara
Con la sentenza in commento i Giudici di Palazzo Spada hanno sciolto la riserva su un caso che negli ultimi mesi aveva attratto l’attenzione dei media nonché degli addetti ai lavori.
Si fa riferimento alla gara Consip Facility Management 4 (cd. FM4) indetta dalla stazione appaltante nazionale ormai nel lontano 2014.
Nel corso dello scorso anno un’indagine penale ha portato alla luce un indebito legame tra un dirigente della stessa Consip e Alfredo Romeo, socio di minoranza della Romeo Gestioni S.p.a.
In buona sostanza la Procura di Roma ha rilevato che Alfredo Romeo, prima di prendere parte alla gara in questione, avrebbe corrisposto delle somme di denaro nei confronti del Dirigente pubblico al fine di ottenere informazioni vantaggiose per la partecipazione alla procedura stessa.
Sulla scorta di tale indagine (che aveva visto anche l’applicazione di misure cautelari nei confronti di Alfredo Romeo) Consip ha escluso dalla procedura la Romeo Gestioni per violazione dell’art. 38 lett. f del D.Lgs. n. 163 del 2006 (vigente ratione temporis).
L’esclusione era stata impugnata innanzi al Tar Lazio, che aveva respinto il ricorso con la decisione che poi è stata portata all’attenzione del Consiglio di Stato.
La pronuncia era molto attesa, oltre che per le ovvie ripercussioni mediatiche, anche per profili prettamente giuridici.
Il perno dell’intero giudizio riguardava la configurazione della condotta posta in essere da Romeo (ovverosia l’aver tentato di appropriarsi di informazioni riservate, utili per ottenere un qualche vantaggio in sede di partecipazione) come “grave negligenza o malafede nell’esecuzione delle prestazioni” contrattuali oppure “grave errore professionale“, ipotesi entrambe previste dalla lett. f) del “vecchio” art. 38.
Evidente l’inconferenza della fattispecie con la nozione di “grave negligenza o malafede nell’esecuzione delle prestazioni” contrattuali, rimaneva aperta una delicata questione interpretativa: se un simile comportamento potesse comunque integrare un caso di “grave errore professionale“.
Il Consiglio di Stato ha optato per un’interpretazione estensiva di tale ultimo concetto, ricomprendendo nel suo alveo anche l’illecito anticoncorrenziale in parola.
La novità della sentenza in esame sta nel fatto che l’illecito anticoncorrenziale non era contemplato quale causa di esclusione ai sensi del vecchio codice dei contratti, al contrario di quanto previsto dal D.lgs. 50 del 2016.
La pronuncia di Palazzo Spada è interessante anche sotto altri due profili quali (1) il ruolo di Alfredo Romeo all’interno della società e (2) l’efficacia delle misure di self cleaning.
In merito al primo profilo si evidenzia che Romeo era socio di minoranza, pertanto, la difesa della società esclusa sosteneva che la sua condotta illecita non avrebbe potuto in alcun modo riverberare i propri effetti sulla partecipazione alla gara dell’operatore economico.
La posizione del Consiglio di Stato sul punto invece è ferrea: Alfredo Romeo non era semplicemente il socio di minoranza della Romeo Gestioni S.p.a.; egli, attraverso partecipazioni societarie ramificate, rappresentava di fatto il dominus della società stessa e le sue condotte avevano conseguenze dirette nella gestione della Romeo Gestioni S.p.a.
Il Consiglio di Stato infine, si è anche interrogato sulla portata delle operazioni di self cleaning poste in atto dalla società dopo il verificarsi degli eventi oggetto delle indagini penali, sancendo che tali misure non possono che operare pro futuro “senza poter impedire l’operatività della clausola di estromissione dalla procedura“.
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