Nell’ambito di una procedura a evidenza pubblica indetta ai sensi del D.Lgs. n. 50/2016, veniva impugnato dall’operatore economico non aggiudicatario il provvedimento di aggiudicazione e gli atti della procedura, intesi come bando di gara e disciplinare predisposti dalla stazione appaltante sul modello del Bando-tipo ANAC n. 2, facendo valere quattro motivi di impugnazione che inducevano il T.A.R. Lombardia a dichiarare inefficace il contratto d’appalto nelle more già stipulato con l’aggiudicatario.
Quest’ultimo, quindi, proponeva appello dinanzi al Consiglio di Stato lamentando l’erronea reiezione, a opera del Giudice di prime cure, della pur proposta eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado.
L’allora ricorrente, infatti, non aveva impugnato il Bando-tipo ANAC n. 2 le cui clausole, come sopra enunciato, erano state riprodotte dalla stazione appaltante nella elaborazione della lex specialis.
Il Consiglio di Stato ha accolto il motivo di impugnazione trovandosi così ad affrontare la questione del valore dei bandi-tipo predisposti dall’ANAC i cui poteri sono espressamente sanciti dall’art. 213, co. 2 del D.Lgs. n. 50/2016 che prevede, tra l’altro, che “L’ANAC, attraverso linee guida, bandi-tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolazione flessibile, comunque denominati, garantisce la promozione dell’efficienza, della qualità dell’attività delle stazioni appaltanti, cui fornisce supporto anche facilitando lo scambio di informazioni e la omogeneità dei procedimenti amministrativi e favorisce lo sviluppo delle migliori pratiche”.
In tale contesto, pur rimanendo il bando-tipo uno strumento di “regolazione flessibile” su cui il Supremo Consesso non si è voluto interrogare in fattispecie per indagarne la natura giuridica, definita appunto “dubbia”, la conclusione che se ne è tratta è la necessità della impugnazione correlata con gli atti successivi soprattutto in considerazione della previsione dell’art. 71 dello stesso codice dei contratti pubblici il quale espressamente stabilisce che i bandi di gara sono redatti in conformità dei predetti bandi tipo e che: “Le stazioni appaltanti nella delibera a contrarre motivano espressamente in ordine alle deroghe al bando-tipo”.
Ciò che ne consegue è che i bandi tipo predisposti dall’ANAC risulterebbero avere un valore vincolante per le stazioni appaltanti le quali, dunque, possono discostarsene solamente dandone adeguata giustificazione nella delibera a contrarre.
Pertanto, nel momento in cui è stato adottato il bando-tipo, esso costituisce parametro dell’azione amministrativa delle stazioni appaltanti che allo stesso sono tenute a uniformarsi, salvo, come detto, il potere di deroga adeguatamente motivato.
Sul piano processuale ciò si traduce nella necessità di procedere con un’immediata impugnazione del bando-tipo, unitamente alla lex specialis di gara, posto che il potere conformativo di una stazione appaltante costituisce un limite invalicabile nel caso in cui l’operatore economico dovesse adoperarsi per la sola impugnativa del bando e del disciplinare.
La stazione appaltante, infatti, anche laddove dovesse dichiararsi l’annullamento dell’atto conseguente, avrebbe soltanto la possibilità di conformarsi nuovamente al parametro regolatorio superiore e vincolante che non è stato posto in discussione dalla parte che denuncia la lesione.
È pacifico, infatti, che una qualsiasi censura sollevata, ad esempio, per far valere l’erronea adozione da parte della stazione appaltante, di un criterio di valutazione dell’offerta violativo del principio di separazione tra offerta economica e offerta tecnica, non produrrebbe alcun effetto ove la stessa non fosse diretta avverso l’atto regolatorio presupposto, posto che il disciplinare di gara ovvero il bando si limita a riprodurre il contenuto del bando-tipo.
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