Contratti della pubblica amministrazione – Esclusione dalla gara – Provvedimenti interdittivi amministrativi – Periodo – Massimo tre anni.
Tar Milano, sez. I, 15 novembre 2019, n. 2421
L’art. 80, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016, delimita e circoscrive l’efficacia temporale della valenza ostativa delle sentenze di condanna e degli atti di “accertamento definitivo”; si è in presenza, in questi casi, del fenomeno, ben noto alla teoria generale, della cd. digressione dell’atto in fatto: la sentenza o il provvedimento amministrativo di accertamento della violazione sono presi in considerazione da altra norma, e ad altri fini, per inferirne un giudizio normativo di “incapacità” o di “inaffidabilità” per un determinato periodo temporale.
Di talchè, ai provvedimenti interdittivi amministrativi, salvo che essi rechino una maggiore durata della inibizione a contrarre, può riconoscersi valenza ostativa per un periodo in ogni caso non superiore a tre anni, “decorrenti dalla data del suo accertamento definitivo”.
In questo caso la potenziale rilevanza di tali provvedimenti, ai fini dell’esercizio della discrezionale potestas di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016, è effettuata in via generale ed astratta dalla norma ed è, pertanto, pienamente percepibile e conoscibile dall’operatore professionale; di qui la esigibilità del relativo obbligo dichiarativo.
Al di fuori delle dette circostanze – tipizzate dalla legge in quanto irrimediabilmente ostative, ovvero potenzialmente rilevanti ai fini della valutazione discrezionale circa la esistenza di gravi illeciti professionali – la chiara delimitazione delle ulteriori informazioni necessarie alla formulazione del giudizio di piena “affidabilità” ed “integrità” del partecipante non può che essere effettuata dalla medesima stazione appaltante con la legge di gara, in guisa:
– da preventivamente apprestare, secondo la qualificata diligenza esigibile anche dalla Amministrazione ed in ossequio al principio di autoresponsabilità, i “mezzi adeguati” per acquisire un compiuto patrimonio informativo;
– poter consapevolmente ed effettivamente assolvere all’onere, in capo ad essa Amministrazione gravante, di dimostrare la esistenza di quelle gravi violazioni professionali, idonee ad incrinare il giudizio di affidabilità ed integrità della impresa;
– consentire a tutti i concorrenti di percepire, ex ante e secondo la professionale diligenza da loro esigibile, la effettiva portata degli obblighi di informazione “ulteriori” di cui la stazione appaltante abbisogna (ulteriori rispetto a quelli naturaliter discendenti dalle prescrizioni di legge ed afferenti alle circostanze che ex se valgono ad integrare i motivi di esclusione tipizzati all’art. 80 del d.lgs. 50/16).
Le informazioni da fornire alla stazione appaltante – ed i correlati obblighi gravanti in capo ai concorrenti- sono quelle che, anche solo in linea di principio, l’Amministrazione dovrebbe ottenere per poter esplicare appieno, plena cognitio, la propria potestas di conduzione della gara e di aggiudicazione della pubblica commessa all’offerente “migliore”, anche perchè pienamente affidabile sotto il profilo della onorabilità e professionalità. In questa ottica l’art. 80, comma 5, lett. f-bis, d.lgs. n. 50 del 2016 munisce di espressa sanctio iuris, il generale obbligo di clare loqui – a sua volta espressione dei canoni fondamentali di buona fede e correttezza che devono sempre e comunque informare i rapporti tra le parti, sin dal momento del loro primo “contatto”- allo scopo di rendere effettivo il flusso di informazioni che deve pervenire alla stazione appaltante ad opera dei partecipanti, sancendo l’autonoma rilevanza escludente della veridicità delle dichiarazioni rese nella domanda di partecipazione.
La natura “non veritiera” o “falsa” di una dichiarazione rilevante ex art. 80, comma 5, lett. f-bis, d.lgs. n. 50 del 2016 può realizzarsi anche attraverso la omissione o la incompletezza (reticenza) delle informazioni fornite, quando l’informazione omessa o resa in modo parziale o incompleto attribuisce al tenore della dichiarazione un senso diverso, così che l’enunciato descrittivo venga ad assumere nel suo complesso un significato contrario al vero o negativo dell’esistenza di fatti rilevanti”; e tuttavia ciò presuppone la esistenza:
– a latere oggettivo, di un obbligo di informazione e di dichiarazione, sufficientemente specifico e determinato, e relativo a fatti (e non già a giudizi o “qualificazioni”);
– a latere soggettivo, della coscienza e volontà di rendere una dichiarazione falsa e, dunque, il dolo generico dell’agente e non già il dolo specifico, irrilevanti essendo le concrete intenzioni dell’agente, non essendo richiesto l’animus nocendi o decipiendi;
Gli obblighi di collaborazione (e di dichiarazione) del partecipante alla gara non possono che attestarsi alle soglie della ragionevole “esigibilità” del contegno, da escludersi in nuce nel caso in cui la esistenza stessa dell’obbligo sia oggettivamente non percepibile, in quanto non discendente dalle norme né, tampoco, individuata o lumeggiata nella lex specialis. Oltrepassata tale soglia, invero, si entra nel terreno:
– della scusabilità della condotta, in quanto indotta dalla scarsa chiarezza ovvero dalla equivocità delle prescrizioni di gara, suscettibili di diversa significanza e interpretazione;
– del potere-dovere per la stazione appaltante di consentire ai partecipanti –indotti in incolpevole errore dalla equivocità delle prescrizioni- di “presentare, integrare, chiarire, o completare le informazioni o la documentazione asseritamente incomplete, errate o mancanti entro un termine adeguato” (CGUE, 2 maggio 2019, C-309/18, cit., § 23, con il pregnante richiamo ivi contenuto all’art. 56, par. 3, della direttiva 2014/24/UE).
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