Il precedente in disamina offre spunti molto interessanti in tema di requisiti di moralità professionale, con particolare riferimento ai reati connessi alla gestione e al trattamento dei rifiuti.
Oggetto del contendere era infatti l’omessa dichiarazione da parte dell’aggiudicataria di uno dei soggetti cessati dalla carica della società ausiliaria in ordine alla sussistenza di una condanna per gestione non autorizzata dei rifiuti.
Diversamente dal giudice di prime cure che aveva rilevato l’ininfluenza del precedente penale ai fini dei requisiti di moralità professionale, il Consiglio di Stato ha invece osservato che l’art. 80, comma 5, lett. f-bis, del d.lgs. n. 50 del 2016 prevede quale causa di esclusione dalla gara l’ipotesi in cui “l’operatore economico […] presenti nella procedura di gara in corso e negli affidamenti di subappalti documentazione o dichiarazioni non veritiere”.
Tale precetto comporta un’autonoma rilevanza dell’omissione, prosegue il Supremo Consesso, sia con riferimento alla posizione del concorrente sia, in caso di avvalimento per la posizione dell’ausiliaria.
La dichiarazione non veritiera è infatti sanzionata dalla norma in linea generale quale circostanza che rileva nella prospettiva dell’affidabilità del futuro contraente, a prescindere da considerazioni su fondatezza, gravità e pertinenza degli episodi non dichiarati.
Afferma quindi il Consiglio di Stato che la sanzione della reticenza è funzionale all’affermazione dei principi di lealtà ed affidabilità, in una parola, della correttezza dell’aspirante contraente, che permea la procedura di formazione dei contratti pubblici ed i rapporti con la stazione appaltante, come indirettamente inferibile anche dall’art. 30, comma 1, del d.lgs. n. 50 del 2016.
Quanto al merito del precedente penale in contesa, si trattava di “attività di gestione di rifiuti non autorizzata” ex art. 256 D.Lgs. n. 152/2006, un reato non compreso nell’elenco contenuto nell’art. 80, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 50 del 2016, il quale fa invece riferimento alla diversa fattispecie contemplata dall’art. 260 del D.lgs. n. 152 del 2006 (“attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti”).
La condanna, semmai, assume secondo il Consiglio di Stato rilievo in quanto espressione di “grave illecito professionale” ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 50 del 2016, dovendosi intendere tale qualsiasi condotta legata all’esercizio dell’attività professionale, contraria a un obbligo giuridico di carattere civile, penale ed amministrativo (così Cons. Stato, III, 5 settembre 2017, n. 4192).
Sotto il profilo degli effetti, conclude il Supremo Consesso, è diverso l’obbligo di dichiarare sentenze penali di condanna rientranti tra quelle previste dall’art. 80, comma 1, ovvero rilevanti ai sensi del successivo comma 5, lett. c); nel primo caso l’esclusione è atto vincolato in quanto discendente direttamente dalla legge, mentre nell’ipotesi di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), la valutazione è rimessa alla stazione appaltante (fermo restando che, nella prospettiva della norma da ultimo indicata, l’operatore economico non può valutare autonomamente la rilevanza dei precedenti penali da comunicare alla stazione appaltante, poiché questa deve essere libera di ponderare discrezionalmente la sua idoneità come causa di esclusione).
Tale diversità di effetti (espulsivi in un caso, meramente informativi, con finalità preistruttoria nell’altro) giustifica anche, pur nella difficile ermeneusi del comma 10 dell’art. 80, perché solo nel primo caso l’ordinamento attribuisca un’efficacia temporale alla sentenza definitiva di condanna.
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Vedi il testo integrale della sentenza Consiglio di Stato, Sez. V, 19.11.2018, n. 6529
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