Mentre TAR Campania Napoli, Sez. VI n. 5837 del 10.12.2019 afferma l’applicabilità della disciplina dell’accesso civico generalizzato al settore dei contratti pubblici, aderendo all’orientamento espresso dalla Sezione III del Consiglio di Stato con la sentenza n. 3780 del 6.6.2019, quest’ultima, con ordinanza n. 8501 del 16.12.2019, richiede un intervento chiarificatore all’Adunanza Plenaria, finalizzato ad avvalorare la propria linea interpretativa
Con riferimento al tema dell’applicabilità della disciplina sull’accesso civico generalizzato di cui all’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013 al settore dei contratti pubblici, coesistono attualmente in seno alla giurisprudenza amministrativa due orientamenti contrastanti, formatisi in tempi recenti, che poggiano su diverse interpretazioni della normativa di riferimento, ed in particolare dell’art. 5-bis, comma 3, del d.lgs. n. 33/2013, secondo cui – come è noto – “il diritto di cui all’art.5, comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990”.
Da una parte si registrano, infatti, decisioni di maggior apertura verso la conoscenza degli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione di contratti pubblici, le quali affermano che anche in tale materia deve essere garantita la più ampia trasparenza, pur nel rispetto delle limitazioni di cui all’art. 5-bis del d.lgs. n. 33/2013 (si rammenta che l’art. 5-bis individua, ai commi 1 e 2, “limiti” comunemente definiti “relativi”, che si affiancano ai limiti “assoluti” previsti dal comma 3).
Questo filone giurisprudenziale trova la sua principale espressione nella sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III, 5.6.2019 n, 3780 (commentata su questa rivista: cfr. E. Papponetti “E’ consentito l’accesso civico generalizzato agli atti di gara e della successiva fase di esecuzione del contratto da parte di un operatore economico che non abbia partecipato alla stessa” – giugno 2019), la quale muovendo proprio dall’interpretazione dell’art. 5-bis, comma 3 cit. chiarisce che <<tale ultima prescrizione fa riferimento, nel limitare tale diritto, a “specifiche condizioni, modalità e limiti” non ad intere “materie”. Diversamente interpretando, significherebbe escludere l’intera materia relativa ai contratti pubblici da una disciplina, qual è quella dell’accesso civico generalizzato, che mira a garantire il rispetto di un principio fondamentale, il principio di trasparenza ricavabile direttamente dalla Costituzione. …
Non ritiene il Collegio che il richiamo … all’art. 53 del “Codice dei contratti” nella parte in cui esso rinvia alla disciplina degli artt. 22 e seguenti della l. 241/90, possa condurre alla generale esclusione dell’accesso civico della materia degli appalti pubblici.
.. Proprio con riferimento alle procedure di appalto, la possibilità di accesso civico, una volta che la gara sia conclusa e viene perciò meno la tutela della “par condicio” dei concorrenti, non risponde soltanto ai canoni generali di “controllo diffuso sul perseguimento dei compiti istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche” (art. 5 co. 2 cit. d.lgs. 33). Vi è infatti, a rafforzare in materia l’ammissibilità dell’accesso civico, una esigenza specifica e più volte riaffermata nell’ordinamento statale ed europeo, e cioè il perseguimento di procedure di appalto trasparenti anche come strumento di prevenzione e contrasto della corruzione …”.
In precedenza, anche TAR Lombardia, Milano 11.1.2019, n. 45 aveva evidenziato che << … non può certamente affermarsi che il c.d. accesso civico non possa applicarsi ai procedimenti di appalto delle pubbliche amministrazioni di cui al vigente D.Lgs. 50/2016. In particolare, non ne suffraga la tesi il riferimento al comma 3 dell’art. 5-bis citato …>>.
I giudici meneghini, in particolare, basavano il proprio convincimento su tale considerazione: << … la disciplina dell’accesso agli atti in materia di appalti si rinviene nell’art. 53 del codice dei contratti pubblici, il quale però al primo comma richiama espressamente la legge n. 241/1990, salvo introdurre nei commi successivi una serie di prescrizioni riguardanti invero essenzialmente il differimento dell’accesso in corso di gara, senza quindi che possa sostenersi che si configuri una speciale disciplina, realmente derogatoria di quella di ordine generale della legge 241/1990 e tale da escludere definitivamente l’accesso civico: questo potrà essere in subiecta materia temporalmente vietato, negli stessi limiti in cui ciò avviene per i partecipanti alla gara, e dunque fino a che questa non sarà terminata, ma non escluso definitivamente, se non per quanto stabilito da altre disposizioni, e così, prima di tutte, dalla chiara previsione dell’art. 5 comma 2 del D.Lgs. 33/2013.>>.
Un secondo ed opposto orientamento è espresso nella sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, n. 5503 del 2 agosto 2019, la quale – nel negare l’accesso generalizzato agli atti di gara – ha affermato che <<La previsione dell’art. 5-bis, comma 3 si distingue da quella dei commi 1 e 2 …. perché è disposizione volta a fissare, non i limiti relativi all’accesso generalizzato consentito a “chiunque”, bensì le eccezioni assolute, a fronte delle quali la trasparenza recede. …
In particolare, sono sottratti al bilanciamento ed esclusi senz’altro dall’accesso generalizzato: i casi di segreto di Stato ed i casi di divieti di accesso o di divulgazione previsti dalla legge, i casi elencati nell’art. 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990 (che, al suo interno, ricomprende intere materie), i casi in cui “l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti”… la previsione in questione assume significato autonomo e decisivo se riferita alle discipline speciali vigenti in tema di accesso e, per quanto qui rileva, al primo inciso del primo comma dell’art. 53. Ne consegue che il richiamo testuale alla disciplina degli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990 n. 241 va inteso come rinvio alle condizioni, modalità e limiti fissati dalla normativa in tema di accesso documentale, che devono sussistere ed operare perché possa essere esercitato il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici”.
(In tale direzione, si pongono anche TAR-Lombardia, Milano n. 630/2019 e TAR-Emilia Romagna, Parma n. 197/2018).
Il primo dei due orientamenti riportati ha trovato una nuova recente affermazione con la sentenza del TAR Campania, Napoli, Sez. VI n. 5837 del 10.12.2019.
Nello specifico, i Giudici partenopei erano chiamati a pronunciarsi sulla legittimità del diniego opposto dalla stazione appaltante alla domanda di accesso civico generalizzato ex art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 33 del 2013 presentata da un operatore che aveva rinunciato a partecipare alla procedura di gara e che ciononostante aveva manifestato il proprio interesse ad accedere ai verbali ed alle giustificazioni presentate dall’aggiudicatario-contraente a sostegno della sua offerta ai fini di verificare la trasparenza e l’imparzialità della condotta tenuta dall’Amministrazione.
Dopo essersi soffermati sui tratti distintivi, concernenti finalità e presupposti, della disciplina dell’accesso documentale o ordinario (il quale è strumentale alla tutela di interessi individuali di un soggetto che si trova in posizione differenziata rispetto agli altri cittadini) rispetto a quella relativa all’accesso generalizzato (azionabile, invece, da chiunque senza la previa dimostrazione della sussistenza di un interesse attuale e concreto per la tutela di situazioni rilevanti e con la sola finalità di consentire la pubblicità diffusa ed integrale di dati, documenti ed informazioni), gli stessi Giudici hanno evidenziato che non tutta la “materia” dei contratti pubblici deve essere sottratta alla “conoscenza diffusa” di cui al d.lgs. 33/2013 sulla base di una considerazione “di ordine sistematico e teleologico”, così sintetizzabile: <<se la materia degli appalti pubblici è una di quelle dove è più elevato il rischio di corruzione (ricompresa tra le aree più a rischio di cui all’art. 1, co. 16 della legge n. 190/2012) e sulla quale, in misura maggiore, si è appuntata l’attenzione della disciplina anticorruzione (anche nell’ambito dei vari piani nazionali anticorruzione) e dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, sarebbe incomprensibile o, quanto meno, irragionevole che il legislatore abbia voluto sottrarre alla disciplina sulla trasparenza, e quindi all’accesso del quisque de populo, proprio la materia degli appalti.>>.
Il TAR ha, dunque, ritenuto di condividere le argomentazioni espresse nella sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III n. 3780/2019 in forza delle quali a rafforzare l’ammissibilità dell’accesso civico nel settore in esame vi sarebbe “una esigenza specifica e più volte riaffermata nell’ordinamento statale ed europeo, e cioè il perseguimento di procedure di appalto trasparenti anche come strumento di prevenzione e contrasto della corruzione”.
Inoltre, la possibilità di accesso civico, una volta che la gara sia conclusa e sia dunque venuta meno l’esigenza di tutelare la “par condicio” dei concorrenti, risponde proprio ai canoni generali di “controllo diffuso sul perseguimento dei compiti istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche” di cui all’art. 5 comma 2 del d.lgs. 33/2013 (Cfr. Cons. Stato 3780/2019): a gara conclusa, infatti, l’offerta dell’aggiudicataria potrà essere oggetto di accesso civico generalizzato perchè essa rappresenta la “scelta” dell’Amministrazione, la “decisione amministrativa”, controllabile da parte dei cittadini.
Restano ovviamente ferme le puntuali limitazioni di cui all’art. 53 del d.lgs. n. 50/2016 poste a tutela della gara e dei partecipanti, che rappresentano per il TAR “limiti assoluti”.
Va annotato, da ultimo, il rilievo che il Collegio formula in via preliminare rispetto alla decisione sul merito della controversia, per cui una volta riconosciuta la legittimazione processuale dell’istante/ricorrente a contestare il diniego all’accesso (generalizzato) subito, questi – se in esito alla visione dei documenti ricevuti – riscontrasse una qualche illegittimità dell’azione amministrativa non potrà adire il giudice amministrativo per il solo ripristino della legalità violata.
Secondo il TAR, infatti, la disciplina dell’acceso civico non può estendersi fino al punto di consentire nel silenzio della norma di attivare una sorta di azione popolare “correttiva” in esito all’accesso ottenuto.
Ai fini dell’eventuale impugnativa degli atti adottati dall’amministrazione e conosciuti in sede di accesso generalizzato il ricorrente potrà, pertanto, agire in giudizio (esclusivamente) secondo le ordinarie regole processuali e far valere in quella sede la sua legittimazione a ricorrere.
A distante di pochi giorni dalla pubblicazione della sentenza del TAR Campania n. 5837/2019, il Consiglio di Stato Sez. III, chiamato a dirimere una controversia concernente la sussistenza del diritto della società (appellante e) seconda classificata nella graduatoria di una gara pubblica ad avere accesso ai documenti inerenti la fase esecutiva del contratto ai fini di un possibile subentro ex art. 140 del d.lgs. n. 50/2016 ha sollecitato, con ordinanza n. 8501 del 16.12.2019 l’intervento nomofilattico risolutivo dell’Adunanza Plenaria in ordine a tre questioni di rilevanza generale, concernenti nello specifico:
a) la sussistenza, o meno, della titolarità del diritto di accesso ordinario, basato sull’art. 22 della legge n. 241/1990, in capo all’operatore economico, il quale intenda conoscere i documenti afferenti all’esecuzione di un contratto pubblico, al fine di verificare l’esistenza dei presupposti per la sua risoluzione;
b) la sussistenza, o meno, del dovere dell’amministrazione di accogliere un’istanza di accesso, formalmente basata sulla disciplina ordinaria di cui all’art. 22 della legge n. 241/1990 qualora, in difetto del requisito dell’interesse differenziato in capo al richiedente, siano comunque riscontrabili, in concreto, tutti i presupposti per l’esercizio del diritto di accesso civico generalizzato di cui al d.lgs. n. 33/2013;
c) l’applicabilità, o meno, della disciplina del diritto di accesso civico generalizzato nel settore dei contratti pubblici dei lavori, servizi o forniture, con particolare riguardo alla fase esecutiva delle prestazioni.
Con riferimento all’ultima delle predette questioni, la Sezione III propone all’Adunanza Plenaria una soluzione che confermi – ulteriormente corroborandola sul piano motivazionale – la tesi esposta nella propria sentenza n. 3780/2019 e al tal proposito mette in luce i seguenti punti essenziali su cui occorrerà attendere la valutazione finale del massimo Consesso di giustizia amministrativa.
- Il diritto di accesso civico generalizzato si caratterizza per il fatto di essere del tutto sganciato dal collegamento con una posizione giuridica differenziata; l’operatore economico, pertanto, al pari di qualsiasi altro soggetto potrebbe esercitare tale diritto anche al semplice scopo di verificare la correttezza dell’operato dell’amministrazione, indipendentemente dall’esigenza di proteggere una particolare situazione giuridica soggettiva.
- Dal punto di vista della qualificazione dell’interesse ostensivo, la disciplina in tema di accesso civico, in considerazione della sua maggiore latitudine applicativa, appare avere carattere “contenitivo” (secondo il rapporto tra “più” e “meno”) rispetto alla più restrittiva disciplina in tema di accesso ordinario.
- Sia la disciplina dell’accesso ordinario che quella dell’accesso civico generalizzato hanno carattere “generale”, non essendo nessuna di esse ancorata ad uno specifico ambito tematico. Tale circostanza impone di interpretare la clausola di salvezza recata dall’art. 5 bis, comma 3, d.lgs. n. 33/2013 in termini che non diano luogo ad una sorta di interpretatio abrogans di cui farebbe le spese la disciplina più recente in tema di accesso.
- Non potrebbe ritenersi che l’art. 53 del Codice dei contratti nella parte in cui rinvia all’art. 22 e seguenti della l. 241/1990 possa condurre alla generale esclusione dell’accesso civico dalla materia degli appalti pubblici. Qualora anzi si ritenga di affermare l’applicazione dell’accesso civico anche nella materia delle procedure di evidenza pubblica lo stesso non potrebbe che venire in rilievo nella sua piena portata normativa, inclusa l’ammissibilità di un accesso di tipo soggettivamente “generalizzato”.
Non resta ora che attendere la decisione dell’Adunanza Plenaria al fine di capire se la pubblica amministrazione sia destinata o meno ad assumere i contorni di una “casa di vetro” (cfr. Cons St., parere n. 515/2016) nel complesso settore dei contratti pubblici.
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