È inammissibile la querela di falso proposta avverso le dichiarazioni contenute nel documento unico di regolarità contributiva (DURC)

Secondo il Tribunale di Roma la querela di falso può essere proposta esclusivamente al fine di contestare gli elementi di un documento cui la legge attribuisca pubblica fede

irene picardi 2 Marzo 2021
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Secondo il Tribunale di Roma la querela di falso può essere proposta esclusivamente al fine di contestare gli elementi di un documento cui la legge attribuisca pubblica fede

Con la sentenza n. 18116 del 17 dicembre 2020, il Tribunale ordinario di Roma si è espresso in merito all’ammissibilità della querela di falso proposta avverso il documento unico di regolarità contributiva (DURC).

Nella fattispecie scrutinata, la parte attrice aveva partecipato ad una procedura ad evidenza pubblica nell’ambito della quale l’INPS, interrogato dalla stazione appaltante, aveva attestato l’irregolarità contributiva dell’impresa concorrente, cagionandone così l’esclusione dalla gara. Il codice dei contratti pubblici annovera, infatti, fra le cause di esclusione l’aver commesso violazioni gravi e definitivamente accertate in materia di obblighi relativi al pagamento dei contributi previdenziali, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti, precisando che “costituiscono gravi violazioni in materia contributiva e previdenziale quelle ostative al rilascio del documento unico di regolarità contributiva (DURC), di cui al decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 30 gennaio 2015, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 125 del 1° giugno 2015, ovvero delle certificazioni rilasciate dagli enti previdenziali di riferimento non aderenti al sistema dello sportello unico previdenziale” (articolo 80, comma 4, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50).

Benché la sussistenza delle predette violazioni considerate dall’ente previdenziale ostative al rilascio del DURC fosse stata accertata anche dal giudice del lavoro, il concorrente escluso ha comunque ritenuto di avanzare innanzi al Tribunale di Roma querela di falso avverso le dichiarazioni dell’INPS (art. 221 c.p.c.). Il giudice civile ha, innanzitutto, inquadrato giuridicamente la querela di falso come strumento giurisdizionale finalizzato alla contestazione degli atti e dei mezzi di prova che – ex lege – sono dotati di efficacia di prova legale, ossia l’atto pubblico ai sensi dell’art. 2700 c.c.[1] e la scrittura privata ai sensi dell’art. 2702 c.c.[2]. La sentenza ha inoltre ricondotto la sussistenza dell’interesse ad agire al fatto che i differenti rimedi giurisdizionali – nel caso di specie precedentemente esperiti – sono idonei a far stato tra le parti, mentre la querela di falso è tesa ad eliminare dal mondo giuridico il valore probatorio del documento impugnato erga omnes.

Il Tribunale ha poi rilevato che “in materia di falso – è noto – si distingue una falsità materiale, che investe il profilo estrinseco del documento, da una falsità ideologica che invero attiene al suo contenuto. La prima concerne la genuinità del documento: può esser contestata la contraffazione dello stesso, perché è stato formato da un soggetto diverso dall’autore apparente, o un’alterazione dello stesso, perché si riscontra un’artificiosa modificazione, successiva alla sua formazione. La falsità ideologica concerne – invece – la verità del contenuto del documento”.

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Nel caso di specie, la parte attrice aveva fatto valere la infondatezza delle violazioni contributive ritenute ostative al rilascio del DURC ed aveva chiesto l’accertamento della falsità assoluta di quanto attestato dall’INPS, di talché l’azione era stata sollevata nei confronti del contenuto intrinseco del documento e non della sua falsità materiale.

E è proprio in quanto rivolta alla veridicità del contenuto intrinseco del documento che la querela di falso è stata ritenuta inammissibile dal Tribunale di Roma, in base all’assunto che siffatta azione giurisdizionale investe i soli profili dell’autenticità/provenienza del documento (salvi i casi limite quali quelli del notaio che attesta falsamente una dichiarazione compiuta dinanzi a lui: in questo caso la falsità ideologica ha ricadute anche sull’elemento estrinseco del documento) profili che, nel caso di specie, non sono in contestazione. Non rientrando la fattispecie nelle ipotesi residuali, la conseguenza è l’inammissibilità della querela in tal modo proposta, funzionalizzata a depotenziare il contenuto del documento sotto il profilo della validità delle sue attestazioni, e la cui fondatezza deve esser rimessa al giudice competente nell’ambito del giudizio suo proprio, essendo derivata – nella rappresentazione operata dalla stessa attrice – dall’erronea istruttoria nelle richieste di DURC sopra specificate”.

La pronuncia è conforme alla giurisprudenza prevalente formatasi in materia, in base alla quale la querela di falso viene ammessa limitatamente al profilo estrinseco del documento in quanto elemento a cui è attribuita pubblica fede, a differenza del contenuto intrinseco per il cui accertamento sono esperibili gli altri rimedi giurisdizionali. Tanto è stato affermato sia in caso di atto pubblico, in relazione al quale precisato “l’efficacia di prova legale non vale, invece, a coprire il contenuto intrinseco del documento, ossia la veridicità delle dichiarazioni che il pubblico ufficiale attesta di aver ricevuto. Tale veridicità può essere contestata con ogni mezzo di prova, senza che sia possibile proporre il procedimento previsto dagli artt. 221 ss. c.p.c. Analoghe affermazioni relativamente ai limiti della pubblica fede al solo contenuto estrinseco dell’atto sono ribadite dalla costante giurisprudenza (C. 12386/2006; C. 10702/2005; C. 4865/1998; C. 672/1998; C. 10219/1996) che ammette la parte a dimostrare, con ogni mezzo di prova, la non conformità al vero del contenuto ideologico del documento (C. 6959/1999). La querela non è dunque esperibile per contestare altri aspetti del contenuto ideologico del documento estranei ai limiti segnati dall’art. 2700 (C. 6959/1999)” (Tribunale Chieti, 14/07/2020, n.380); sia in caso di scrittura privata, in relazione alla quale si è affermato che “il valore di prova legale della scrittura privata riconosciuta, o da considerarsi tale, è limitato alla provenienza della dichiarazione dal sottoscrittore, e non si estende al contenuto della dichiarazione stessa; pertanto la querela di falso è esperibile solo nei casi di falsità materiale della scrittura stessa per rompere il collegamento, quanto a provenienza, tra dichiarazione e sottoscrizione ma non è sperimentabile per impugnare la veridicità della dichiarazione documentata (falsità ideologica), al quale effetto può, invece, farsi ricorso alle normali azioni atte a rilevare il contrasto fra volontà e dichiarazione” (Cassazione civile sez. I, 10/04/2018, n.8766).

Si aggiunge che, con la sentenza in commento, il Tribunale di Roma ha richiamato il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo cui la natura del DURC sarebbe da ricondursi ad una dichiarazione di scienza da collocarsi tra gli atti di certificazione ed attestazione redatti da un pubblico ufficiale ed aventi carattere meramente dichiarativo dei dati in possesso della PA, nonché fidefacenti fino a querela di falso (ex multis, TAR Piemonte, sede di Torino, sez. I, 22 febbraio 2021, n. 178; TAR Campania, sede di Napoli, sez. I, 16 luglio 2020, n. 3157; TAR Lazio, sede di Roma, sez. III ter, 30 dicembre 2019, n. 15011; Cons. Stato, sez. V, 14 giugno 2019, n. 4023; Ad. Plen, 13 maggio 2016, n. 10; 4 maggio 2012, n. 8).

La sentenza contrappone a tale orientamento, rimasto costante e immutato nel tempo, la trasformazione della natura del DURC, medio tempore intervenuta per effetto dell’entrata in vigore del DM 30.01.2015, “essendo questo – ormai – un documento riassuntivo di regolarità contributiva, trasmesso on line, privo di riferimenti ma, soprattutto, privo di sottoscrizione del funzionario abilitato ad attribuirvi pubblica fede e quindi, con riferimento ai documenti rilasciati da questa data, entra in tensione la qualificazione tradizionale sopra richiamata”. Con questa precisazione, il Tribunale di Roma sembra evidenziare un ulteriore profilo di inammissibilità della querela di falso, nella misura in cui sia proposta avverso le attestazioni automaticamente elaborate dal sistema informatico dell’ente previdenziale, che in quanto tali non sarebbero assistite da pubblica fede ai sensi degli articoli 2700 e 2702 c.c..

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[1] Art. 2700 c.c. (“Efficacia dell’atto pubblico”), “l’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonche’ delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti”.

[2] Art. 2702 c.c. (“Efficacia della scrittura privata”): La scrittura privata fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta”.

 

 

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