Diritto processuale amministrativo – Contenzioso appalti – Accesso agli atti delle procedure di gara pubbliche – Artt. 35 e 36 d.lgs. n. 36/2023 – Termine per la costituzione in giudizio – Nozione di segreti tecnici o commerciali

TRGA Trento, sez. unica, 28 ottobre 2024, n. 158

25 Novembre 2024
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1. In materia di contenzioso sui contratti pubblici, è da ritenersi che il termine per la costituzione in giudizio entro dieci giorni dalla notifica di cui all’art. 36, comma 4, del D.lgs. n. 36 del 2023, corrisponda al termine per la costituzione in giudizio prevista per il rito ordinario dall’art. 46 cod. proc. amm., e che pertanto abbia anch’esso una natura meramente ordinatoria, e che per individuare il termine per il deposito di memorie e documenti sia necessario riferirsi ai termini processuali previsti dall’art. 55 cod. proc. amm. da dimidiare ai sensi dell’art. 36, comma 7, del D.lgs. n. 36 del 2023. In particolare, nel rito ordinario l’art. 46 cod. proc. amm. prevede che le parti possano costituirsi in giudizio nel termine di sessanta giorni dalla notificazione nei loro confronti del ricorso. Per giurisprudenza costante il termine di costituzione delle parti intimate stabilito dall’art. 46 cod. proc. amm., non ha carattere perentorio, ed è ammissibile la costituzione della parte sino all’udienza di discussione del ricorso salvo, nel caso di costituzione tardiva, il maturarsi delle preclusioni e delle decadenze dalle facoltà processuali di deposito di documenti e memorie ove siano decorsi i termini di cui all’art. 73, comma 1, cod. proc. amm., di quaranta e di trenta giorni liberi prima dell’udienza ed il cui inutile decorso implica lo svolgimento di difese solamente orali (cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. IV, 8 gennaio 2024, n. 113; T.R.G.A, Trento, 20 novembre 2023, n. 182; T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. II, 6 novembre 2023, n. 1399; Consiglio di Stato, Sez. IV, 31 gennaio 2023, n. 1082). Analogamente lo speciale rito previsto dall’art. 36, comma 4, del D.lgs. n. 36 del 2023, prevede che le parti intimate possano costituirsi entro dieci giorni dal perfezionamento nei propri confronti della notifica del ricorso, e al comma 7, per quanto concerne la procedura da applicare, dispone che il ricorso debba essere fissato d’ufficio in camera di consiglio nel rispetto di termini pari alla metà di quelli di cui all’articolo 55 cod. proc. amm.. Ne consegue che le parti intimate possono costituirsi in giudizio anche successivamente al decorso del termine di dieci giorni dalla notifica del ricorso, e possono depositare memorie e documenti fino al termine di un giorno libero prima della camera di consiglio ai sensi del combinato disposto delle norme di cui all’art. 55, comma 5, ultimo periodo cod. proc. amm. (secondo cui “le parti possono depositare memorie e documenti fino a due giorni liberi prima della camera di consiglio”), e 36, comma 7, del D.lgs. n. 36 del 2023 (secondo cui “il ricorso di cui al comma 4 è fissato d’ufficio in udienza in camera di consiglio nel rispetto di termini pari alla metà di quelli di cui all’articolo 55 del codice di cui all’allegato I al decreto legislativo n. 104 del 2010”).
Alla luce di tali premesse la costituzione in giudizio mediante il deposito di una memoria effettuata da APSS il 22 ottobre 2024, deve pertanto ritenersi ammissibile rispetto alla camera di consiglio svoltasi il 24 ottobre 2024.
 
2. In tema di accesso agli atti relativi alle procedure di gara pubbliche, l’art. 35, comma 4, lett. a), del D.lgs. n. 36 del 2023, prevede che possano essere esclusi dall’accesso le informazioni fornite dall’operatore nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali. Come è stato chiarito nella giurisprudenza formatasi sotto la vigenza del precedente Codice dei contratti pubblici di cui al D.lgs. 18 aprile 2006, n. 50, che conteneva una disposizione analoga all’art. 53, comma 5, lett. a), nel valutare l’effettiva sussistenza di un segreto tecnico commerciale, l’Amministrazione non può ignorare la definizione normativa contenuta nel Codice della proprietà Industriale, di cui all’art. 98 del D.lgs. 10 febbraio 2005 n. 30, che richiede, ai fini della tutela, che le informazioni aziendali e commerciali ed esperienze sulle applicazioni tecnico industriali debbano avere i requisiti di segretezza e rilevanza economica ed essere soggette, da parte del legittimo detentore, a misure di protezione ragionevolmente adeguate (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 11 agosto 2021, n. 9363; id. 22 luglio 2021, n. 8858; Consiglio di Stato, Sez. V, 7 gennaio 2020, n. 64). L’art. 98 del D.lgs. n. 30 del 2005, afferma che “per segreti commerciali si intendono le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore, ove tali informazioni:
a) siano segrete, nel senso che non siano nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore;
b) abbiano valore economico in quanto segrete;
c) siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete”.
Ne consegue che non qualsiasi elemento di originalità del servizio offerto è riconducibile entro la categoria dei segreti tecnici o commerciali, perché è inevitabile che ogni operatore possieda elementi che differenziano la propria organizzazione e la propria offerta in una procedura di tipo comparativo, ma la qualifica di segreto tecnico o commerciale deve essere riservata ad elaborazioni e studi ulteriori, di carattere specialistico, che possano trovare applicazione in una serie indeterminata di appalti, e siano in grado di differenziare il valore del servizio offerto solo a condizione che i concorrenti non ne vengano a conoscenza (cfr. T.A.R. Campania, Salerno Sez. II, 24 febbraio 2020, n. 270). Per quanto concerne l’attività che deve essere svolta dall’Amministrazione a fronte di una dichiarazione di segretezza dell’operatore, va rammentato che la dichiarazione di sussistenza di un segreto commerciale o industriale deve essere oggetto di un autonomo e discrezionale apprezzamento, sotto il profilo della validità e della pertinenza delle ragioni prospettate a sostegno dell’opposto diniego (cfr. T.A.R. Campania, Sez. II, 30 gennaio 2020, n. 437; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 22 giugno 2021, n. 1526). L’esplicitazione dell’interesse e della motivazione della domanda ostensiva non richiedono l’utilizzo di particolari formule e neppure una puntuale deduzione in ogni aspetto degli specifici motivi di impugnazione che la parte intende proporre, perché una tale pretesa realizzerebbe “un’inversione logica, non potendosi, in assenza della conoscenza dell’offerta tecnica, dedursi motivi di ricorso se non nella forma generica e inammissibile del c.d. ‘ricorso al buio’, con inaccettabile compressione del diritto di difesa” (in questo senso T.A.R. Liguria, Sez. I, n. 1526 del 2021) e concretizzerebbe “una probatio diabolica finché il concorrente non abbia avuto conoscenza della documentazione all’uopo necessaria”, essendo evidente che “l’interesse alla contestazione dei punteggi, rappresentando necessariamente un posterius rispetto alla conoscenza della documentazione tecnica della controinteressata, è insito nella finalità dichiarata dell’accesso di definire la linea difensiva da porre eventualmente in essere” (in questo senso Consiglio di Stato, Sez. III, ord. 7 febbraio 2023, n. 1321). Inoltre un’eventuale reiezione delle richieste ostensive per ragioni di carattere formale, quali il mancato utilizzo di determinate formule verbali nell’originaria domanda di accesso o la mancata prospettazione di motivi di ricorso al buio propugnate dalla parte resistente e dalla controinteressata, mal si concilia con quanto affermato dalla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato la quale, con sentenza 2 aprile 2020, n. 10, ha statuito che “il giudizio in materia di accesso, pur seguendo lo schema impugnatorio, non ha sostanzialmente natura impugnatoria, ma è rivolto all’accertamento della sussistenza o meno del diritto dell’istante all’accesso medesimo e, in tal senso, è dunque un ‘giudizio sul rapporto’, come del resto si evince dall’art. 116, comma 4, del d. lgs. n. 104 del 2010, secondo cui il giudice, sussistendone i presupposti, ordina l’esibizione dei documenti richiesti” e con la successiva sentenza 18 marzo 2021, n. 4, con cui l’Adunanza plenaria ha evidenziato, su un piano più generale riguardante l’accesso difensivo, che “la pubblica amministrazione detentrice del documento e il giudice amministrativo adìto nel giudizio di accesso ai sensi dell’art. 116 c.p.a. non devono invece svolgere ex ante alcuna ultronea valutazione sull’ammissibilità, sull’influenza o sulla decisività del documento richiesto nell’eventuale giudizio instaurato, poiché un simile apprezzamento compete, se del caso, solo all’autorità giudiziaria investita della questione e non certo alla pubblica amministrazione detentrice del documento o al giudice amministrativo nel giudizio sull’accesso, salvo il caso di una evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive e, quindi, in ipotesi di esercizio pretestuoso o temerario dell’accesso difensivo stesso per la radicale assenza dei presupposti legittimanti previsti dalla l. n. 241 del 1990”.

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