La pronuncia in disamina ha ad oggetto le modifiche del prezzo, originariamente fissato a corpo, all’esito di modifiche di rilievo delle prestazioni oggetto di contratto
Il Supremo Collegio ha assunto quale base delle proprie determinazioni la delibera del 21 febbraio 2002 n. 51 dell’AVCP (oggi ANAC) che si era pronunciata affermando che “nel contratto di appalto i cui corrispettivi sono stabiliti “a corpo”, l’offerente formula la propria offerta economica, attraverso la determinazione, a proprio rischio e sulla base dei grafici di progetto e delle specifiche tecniche contenute nel capitolato speciale d’appalto, dei fattori produttivi necessari per la realizzazione dell’opera, così come risulta dal progetto, finita in ogni sua parte”, derivandone l’immodificabilità del prezzo determinato a corpo, con assunzione a carico dell’appaltatore dell’alea rappresentata dalla maggiore o minore quantità dei fattori produttivi che si renda necessaria rispetto a quella prevista nell’offerta.
Sulla scorta di detta concezione, già l’AVCP aveva rilevato che l’immodificabilità del prezzo “non è però assoluto ed inderogabile, trovando il limite nella pedissequa rispondenza dell’opera da eseguire ai disegni esecutivi ed alle specifiche tecniche (…) entrambi forniti dalla stazione appaltante e sulla base dei quali l’offerente ha eseguito i propri calcoli e proprie stime economiche e si è determinato a formulare la propria offerta, ritenendola congrua e conveniente rispetto alle prestazioni da eseguire”.
Pertanto, è da ritenersi che la predeterminazione del sinallagma contrattuale e la conseguente immodificabilità del prezzo determinato a corpo viene meno allorquando vi sia “una modifica dei disegni esecutivi (e quindi una modifica dell’oggetto del contratto) che comporti la necessità di maggiori (ovvero minori) quantità di opere o lavorazioni rispetto a quelle stimate al momento della fissazione del prezzo e della conseguente formulazione dell’offerta da parte dell’appaltatore, oppure vi sia una variazione delle specifiche tecniche, previste nel progetto facente parte del contratto, che, allo stesso modo di cui sopra, variando l’oggetto del contratto, comportino maggiori o minori costi ed oneri per l’appaltatore”.
La Corte di Cassazione ha quindi confermato i richiamati principi ritenendo che, anche nell’ipotesi di contratto con determinazione del prezzo “a corpo” fisso e invariabile, in quanto riferito all’opera globalmente considerata, l’appaltatore ha diritto ad un compenso ulteriore per i lavori aggiuntivi eseguiti su richiesta del committente o per effetto di varianti, il quale deve essere calcolato “a misura” limitatamente alle quantità variate, mentre le parti di opere rimaste invariate devono essere compensate secondo il prezzo “a corpo” accettato dall’appaltatore, indipendentemente dalla loro effettiva misura, atteso che un appalto “a corpo” non può trasformarsi progressivamente in appalto a “misura”.
Ordinanza della Corte di Cassazione n. 22268 del 25 settembre 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –
Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –
Dott. SAMBITO Maria G.C. – Consigliere –
Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 26276/2012 proposto da:
Fallimento Impresa dott. (OMISSIS) S.r.l., in persona del curatore dott. G.F., elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso l’avvocato Tobia Gianfranco, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato De Marchi Orlo, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Comune di Trieste, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliate in (OMISSIS), presso l’avvocato Nuzzo Mario, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati D’amico Antonia, Gabrielli Giovanni, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS) S.p.a.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 661/2011 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 28/09/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/05/2017 dal cons. VALITUTTI ANTONIO.
Svolgimento del processo
che:
la Corte d’appello di Trieste, con sentenza n. 661/2011, depositata il 28 settembre 2011, ha parzialmente riformato la decisione n. 466/2007 resa dal Tribunale della stessa città, condannando il Comune di Trieste al pagamento della minor somma – rispetto a quella liquidata in prime cure – di Euro 729.130,39, oltre interessi legali, a titolo di ulteriori compensi per le riserve formulate dall’Impresa dott. (OMISSIS) s.r.l., in relazione al contratto di appalto stipulato inter partes il 16 giugno 1999, avente ad oggetto la ristrutturazione del (OMISSIS) di Trieste;
avverso tale sentenza – dichiarato nelle more il fallimento dell’impresa appaltatrice – ha proposto ricorso per cassazione il Fallimento della Impresa dott. (OMISSIS) s.r.l., affidato a quattro motivi, illustrati con memoria ex art. 378 cod. proc. civ.;
il Comune di Trieste ha replicato con controricorso e con memoria.
Motivi della decisione
che:
con il primo motivo di ricorso il Fallimento dell’Impresa (OMISSIS) – denunciando la violazione e falsa applicazione della L. 11 febbraio 1994, n. 109, art. 25, artt. 1659, 1960 e ss., 2697, 2727 e 2729 cod. civ., nonchè il difetto di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – si duole del fatto che la Corte d’appello abbia respinto, peraltro con motivazione del tutto incongrua, il gravame proposto dall’impresa in relazione alle riserve cd. “tecniche “, con le quali era stata formulata dalla medesima la richiesta di un maggiore compenso per l’eccedenza quantitativa e qualitativa dei lavori eseguiti;
l’istante deduce, invero, che, pur vertendosi in ipotesi di appalto “a corpo”, nel quale il corrispettivo stabilito contrattualmente è immodificabile, la rilevante differenza tra le opere pattuite e quelle imposte eseguite, derivante dall’ approvazione di ben due perizie di variante e di un lotto aggiuntivo, avrebbe dovuto comportare la liquidazione dei maggiori compensi richiesti in relazione alle riserve succitate;
Ritenuto che:
in tema di appalto di opere pubbliche a corpo o “a forfait”, il prezzo convenuto sia fisso ed invariabile, L. 20 marzo 1865, n. 2248, ex art. 326, all. F, sicchè, ove risulti rispettato dalle parti di quel rapporto l’obbligo di comportarsi secondo buona fede giusta l’art. 1175 cod. civ. e, dunque, siano stati correttamente rappresentati dall’appaltante tutti gli elementi che possono influire sulla previsione di spesa dell’appaltatore, grava su quest’ultimo il rischio relativo alla ulteriore quantità di lavoro che si renda necessaria rispetto a quella prevedibile, dovendosi ritenere che la maggiore onerosità dell’opera rientri nell’alea normale del contratto, con conseguente deroga all’art. 1664 cod. civ.;
tale affermazione di principio non comporti, peraltro, un’alterazione della struttura o della funzione dell’appalto, che non si trasforma in un contratto aleatorio, benchè l’allargamento del rischio accollato all’appaltatore releghi a situazioni affatto marginali la rilevanza dell’imprevedibilità delle condizioni di maggior difficoltà nell’esecuzione delle opere, potendo venire qui in considerazione solo situazioni che finiscano per incidere sulla natura stessa della prestazione (cfr., ex plurimis, Cass. 09/09/2011, n. 18559; Cass. 21/02/2014, n. 4198; Cass. 17/03/2015, n. 5262);
Considerato che:
la AVCP (Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, oggi Autorità Nazionale Anticorruzione, ANAC) nella Delib. 21 febbraio 2002, n. 51, ha osservato, al riguardo, che “nel contratto di appalto i cui corrispettivi sono stabiliti “a corpo”, l’offerente formula la propria offerta economica, attraverso la determinazione, a proprio rischio e sulla base dei grafici di progetto e delle specifiche tecniche contenute nel capitolato speciale d’appalto, dei fattori produttivi necessari per la realizzazione dell’opera, così come risulta dal progetto, finita in ogni sua parte”, derivandone l’immodificabilità del prezzo determinato “a corpo, con assunzione a carico dell’appaltatore dell’alea rappresentata dalla maggiore o minore quantità dei fattori produttivi che si renda necessaria rispetto a quella prevista nell’offerta;
il concetto di immodificabilità del prezzo “a corpo” – secondo I’AVCP – “non è però assoluto ed inderogabile, trovando il limite nella pedissequa rispondenza dell’opera da eseguire ai disegni esecutivi ed alle specifiche tecniche (…) entrambi forniti dalla stazione appaltante e sulla base dei quali l’offerente ha eseguito i propri calcoli e proprie stime economiche e si è determinato a formulare la propria offerta, ritenendola congrua e conveniente rispetto alle prestazioni da eseguire”;
la predeterminazione del sinallagma contrattuale e la conseguente immodificabilità del prezzo determinato a corpo viene, pertanto, meno, allorquando vi sia “una modifica dei disegni esecutivi (e quindi una modifica dell’oggetto del contratto) che comporti la necessità di maggiori (ovvero minori) quantità di opere o lavorazioni rispetto a quelle stimate al momento della fissazione del prezzo e della conseguente formulazione dell’offerta da parte dell’appaltatore, oppure vi sia una variazione delle specifiche tecniche, previste nel progetto facente parte del contratto, che, allo stesso modo di cui sopra, variando l’oggetto del coni:ratto, comportino maggiori o minori costi ed oneri per l’appaltatore”, atteso che, in siffatta evenienza, il rischio assunto con l’offerta “a corpo” viene a porsi al di fuori della normale ed accettabile alea, talchè ci si trova ci si trova di fronte alla necessità di rideterminare il prezzo “a corpo”, non assolvendo più quest’ultimo alla sua naturale funzione (Delib. n. 51 del 2002, cit.);
anche questa Corte si è posta, poi, nella medesima prospettiva, laddove ha affermato che, in tema di appalto di opere pubbliche, pur essendo il prezzo “a corpo” fisso e invariabile, in quanto riferito all’opera globalmente considerata, l’appaltatore ha diritto ad un compenso ulteriore per i lavori aggiuntivi eseguiti su richiesta del committente o per effetto di varianti, il quale dev’essere calcolato “a misura” limitatamente alle quantità variate, mentre le parti di opere rimaste invariate devono essere compensate secondo il prezzo “a corpo” accettato dall’appaltatore, indipendentemente dalla loro effettiva misura, atteso che un appalto “a corpo” non può trasformarsi progressivamente in appalto a “misura” (Cass. 07/06/2012, n. 9246);
Ritenuto che:
in tale ultima evenienza l’esecuzione di lavori aggiuntivi per effetto di varianti, o su richiesta del committente – in special modo se di rilevante entità e dovuti ad errori o ad insufficienze della progettazione originaria dell’opera – esuli, invero, dal novero delle situazioni prevedibili – sulla base delle informazioni che possano influire sulla previsione di spesa dell’appaltatore, correttamente fornite dall’appaltante (art. 1175 cod. civ.) – che possono dare luogo a modeste variazioni delle opere da eseguire rientranti nell’alea normale del contratto, venendo, per contro, tali variazioni ad incidere sulla natura stessa della prestazione fornita dall’appaltatore;
Considerato che:
nel caso concreto, dall’impugnata sentenza si evince che il bando di gara avvisava i concorrenti che i lavori in questione sarebbero stati “aggiudicati a corpo”, anzichè a corpo e misura, che nei successivi atti di sottomissione del 2 febbraio 2001 e del 5 marzo 2001, l’impresa si era obbligata ad eseguire i nuovi lavori “in conformità alla perizia (…) agli stessi patti, prezzi e condizioni del contratto principale”, che nel contratto aggiuntivo del 21 dicembre 2000 si stabiliva che “in conformità del presente contratto ed al Capitolato speciale d’Appalto….è esclusa la revisione dei prezzi”, e che “l’aggiudicatario aveva dichiarato, previa ispezione dei luoghi, che i prezzi erano remunerativi e “non suscettibili di alcuna maggiorazione””; sulla base degli elementi suesposti la Corte territoriale ha concluso, pertanto, che — attesa la natura del contratto stipulato inter partes, con corrispettivo determinato a corpo e non a misura – il macigior compenso richiesto dall’impresa appaltatrice, per l’eccedenza quantitativa e qualitativa dei lavori eseguiti, non è dovuto;
Ritenuto che:
la Corte d’appello non abbia, tuttavia, tenuto adeguatamente conto sul piano motivazionale, sebbene ne abbia riportato in parte le argomentazioni, delle risultanze della disposta c.t.u. (trascritta nei punti essenziali nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza), dalle quali si evince che “il progetto originario era stato oltre ogni limite snaturato in corso d’opera da ben due perizie suppletive di variante per complessive Euro 3.568.421.402, al netto di ribasso d’asta, su un appalto di Euro 4.859.555.390, e da un ulteriore intervento di completamento oggetto di un contratto autonomo di Lire 2.045.387.520”, sicchè il valore dell’opera, dagli originari scarsi cinque miliardi, era stato elevato a quello di oltre dieci miliardi di lire, e che “le carenze qualitative e quantitative del progetto appaltato”, non solo giustificavano ampiamente “le due perizie suppletive e di variante adottate in corso d’opera”, ma legittimavano, altresì, “sul piano del merito le riserve dell’appaltatore”;
non possa revocarsi in dubbio che l’abnorme incremento dei lavori da eseguire, tale da superare di oltre il doppio il valore delle opere progettate, dovuto a carenze quantitative e qualitative della progettazione originaria, abbia del tutto stravolto, mediante la redazione di due perizie e la predisposizione di un lotto aggiuntivo, l’oggetto del contratto e la natura stessa della prestazione da eseguirsi dall’impresa appaltatrice;
pertanto, contrariamente a quanto erroneamente ritenuto dal giudice di appello, l’impresa appaltatrice abbia, senza dubbio alcuno, diritto al compenso per l’eccedenza quantitativa e qualitativa dei lavori eseguiti, non ostandovi – per le ragioni suesposte – la previsione della determinazione del corrispettivo a corpo e non a misura;
l’esclusione del compenso aggiuntivo non sia neppure adeguatamente giustificata dall’impugnata sentenza – la cui motivazione sul punto appare, invero, del tutto carente – alla stregua di pretese pattuizioni delle parti in tal senso, desumendosi dal testo della decisione esclusivamente singole e frammentarie proposizioni, estrapolate da contesti più ampi, contenenti generici riferimenti all’esecuzione dei nuovi lavori in conformità alla perizia di variante ed “agli stessi patti, prezzi e condizioni del contratto principale” e “dell’atto aggiuntivo”, o all’esclusione della “revisione dei prezzi”, “in conformità del presente contratto ed al Capitolato speciale d’appalto”, senza specificazione alcuna della categoria di lavori alla quale si riferisca detta esclusione, proposizioni dalle quali non è possibile inferire con certezza la volontà delle parti di escludere i compensi aggiuntivi per i maggior; lavori eseguiti dall’impresa e per l’intera, notevole, entità delle opere ìn concreto realizzate; la censura debba, di conseguenza, essere accolta;
Considerato che:
restano assorbiti gli altri motivi di ricorso, concernenti le riserve cd. “risarcitorie”, ossia i maggiori costi ed oneri sopportati dall’appaltatrice in corso d’opera, nonchè la pretesa mancanza di prova in ordine ai maggiori compensi richiesti;
Ritenuto che:
per tutte le ragioni suesposte, il primo motivo di ricorso debba essere accolto, con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’appello di Trieste in diversa composizione, che dovrà procedere a nuovo esame della controversia, facendo applicazione dei principi dì diritto suesposti.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata; rinvia alla Corte d’appello di Trieste in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 24 maggio 2017.
Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2017
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento