Diritto alla revisione del prezzo per il soggetto colpito da interdittiva antimafia: la parola all’Adunanza Plenaria

Commento a Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana, ordinanza collegiale n. 48 del 22/1/2021

Martina Alò 15 Febbraio 2021
Modifica zoom
100%

Commento a Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana, ordinanza collegiale n. 48 del 22/1/2021

Con questa recente ordinanza la giustizia amministrativa torna ad interrogare l’Adunanza Plenaria sui risvolti applicativi della normativa antimafia, con specifico riguardo alla permanenza del diritto alla revisione del prezzo per le prestazioni già eseguite, nell’ambito di un contratto di appalto poi interrotto in conseguenza dell’adozione di un’informazione antimafia.

La complessa ed articolata vicenda processuale dalla quale origina la pronuncia in commento riguarda la richiesta di vedersi riconosciuto il diritto alla revisione del prezzo per le prestazioni eseguite da parte di un’azienda appaltatrice, per oltre un decennio, di un’Amministrazione pubblica siciliana.

L’Amministrazione, dal canto suo, nega che tale diritto potesse ritenersi sussistente a fronte del fatto che la società ricorrente era già stata, al tempo della richiesta, sottoposta a interdittiva antimafia prefettizia; misura questa che l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato aveva ritenuto, con la sentenza n. 3/2018, produttiva di una forma d’incapacità giuridica nei confronti della Pubblica Amministrazione, con conseguente inidoneità del soggetto colpitone a ricevere erogazioni pubbliche di qualsiasi titolo.

Dal canto suo, la società ricorrente replicava che nella fattispecie sarebbero venute in rilievo delle somme dovute a titolo di corrispettivo contrattuale, le quali erano fatte salve dagli art. 92 e 94 del d.lgs. n. 159/2011 e, comunque, erano già sostanzialmente maturate alla data dell’interdittiva.

Così riassunta la tematica controversa, il CGARS ha incentrato la propria attenzione sugli esatti contorni dell’“incapacità giuridica” delle imprese colpite da provvedimenti interdittivi, dovendo stabilire se l’impossibilità di ricevere somme dalla Pubblica Amministrazione riguardi solo quelle percipiende o, viceversa, investa anche i corrispettivi contrattuali già maturati; e se, in quest’ultimo caso, possano ritenersi “già maturati” anche i corrispettivi – non ancora quantificati – scaturenti dalla revisione del prezzo delle prestazioni precedentemente rese.

Non sussistendo un’uniforme interpretazione giurisprudenziale sul tema, la questione viene devoluta all’Adunanza Plenaria.

A tal fine, il Consiglio siciliano ha ricordato come la stessa Adunanza Plenaria, con la sentenza n. 3/2018, sebbene avesse chiarito come l’art. 67, comma 1, lett. g) del Codice delle leggi antimafia intenda impedire ogni tipo di attribuzione patrimoniale da parte della P.A. (ogni “esborso di matrice pubblicistica”) a favore di imprese colpite da interdittiva prefettizia, non aveva tuttavia dedicato altrettanta attenzione anche alle specifiche norme sui rapporti contrattuali in corso al tempo dell’informativa del Prefetto.

Gli artt. 92 e 94 del d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159 fanno salvo, per il caso di recesso contrattuale indotto dal sopraggiungere di un’informazione antimafia di segno interdittivo a carico del privato contraente, il pagamento del valore delle opere già eseguite nonché il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite.

Tali previsioni legislative tutelano il valore delle opere eseguite e sono intese a preservare, per il periodo in cui il contratto d’appalto abbia trovato attuazione, il rispetto del relativo sinallagma.

Nei medesimi termini è richiamata una pronuncia (non definitiva) del Consiglio di Stato, la n. 8627 del 23 dicembre 2019, che ha ricordato come il comma 3 dell’art. 92 riconosce al soggetto interdetto “il diritto a vedersi corrisposto un compenso limitato all’utilità conseguita dall’amministrazione, onde evitare che quest’ultima, dall’esecuzione dell’opera, possa trarre un ingiustificato arricchimento”. E che “lo ius retentionis appare razionalmente giustificabile nel contesto di prestazioni corrispettive, preventivamente concordate dalle parti in quanto rispondenti ai loro specifici interessi. La stabilizzazione dei relativi effetti costituisce, in siffatto contesto, una scelta di minor costo e di sicuro vantaggio rispetto a quella del ripristino dello status quo ante; ed il mantenimento delle prestazioni eseguite preserva l’equilibrio contrattuale senza che si renda necessaria alcuna restituzione.”

Il “pagamento del valore delle opere già eseguite”, stante la sua ratio di salvaguardia dell’equilibrio del sinallagma per evitare ingiustificati arricchimenti della parte pubblica, sarebbe quindi attributiva di una tutela piena al privato: permettere all’impresa che abbia eseguito delle opere non ancora remunerate, di conseguire il corrispettivo per esse contrattualmente previsto, ove lo stesso non le fosse stato ancora erogato; viceversa, si verserebbe in una ipotesi di effettivo ingiustificato arricchimento della P.A., che non né ipotizzabile astratto, né tantomeno contemplato dalla normativa che chiaramente impone il “pagamento del valore delle opere già eseguite”.

Seguendo il filo di questo ragionamento, l’adozione dell’informazione interdittiva, pur cagionando una condizione d’incapacità ex nunc, non dovrebbe in linea di principio ostare alla possibilità, per il soggetto interdetto, di agire in giudizio per la percezione del corrispettivo contrattuale relativo alle prestazioni in precedenza regolarmente rese.

Tuttavia, aggiunge il CGARS, occorre poi stabilire se in tale ambito possa ricondursi altresì il diritto del privato di ottenere il compenso revisionale per il periodo di esecuzione anteriore all’interdittiva, e quindi se la revisione prezzi costituisca a tutti gli effetti parte integrante del corrispettivo contrattuale.

Sul punto non vi è uniformità giurisprudenziale, né l’Adunanza Plenaria, seppure in molteplici occasioni sia già stata chiamata a pronunciarsi sulla corretta interpretazione della normativa antimafia (sent. n. 3/2018; sent. n. 23/2020), ha avuto ancora occasione di mettere specificamente a fuoco l’importante tema degli effetti dell’interdittiva sugli equilibri dei contratti d’appalto in itinere.

Secondo il Giudice remittente farebbe propendere per un riscontro positivo il fatto che, da giurisprudenza civile e amministrativa costante, “il diritto alla revisione non è altro che il diritto ad un diverso e più vantaggioso calcolo del quantum spettante al prestatore del servizio” (Cons. Stato, Sez. III, 22 ottobre 2013, n. 5128; in termini: Cons. Stato, Sez. III, 9 aprile 2014, n. 1697; Cons. Stato, Sez. VI, 27 novembre 2012, n. 5997; Cass. civ., II, 8 aprile 1999, n. 3393, che ha puntualizzato che “L’obbligo del committente di pagare all’appaltatore il prezzo dell’appalto, ossia la somma di danaro che costituisce il corrispettivo della prestazione di quest’ultimo, ha la sua matrice nel contratto, ed integra dunque un debito di valuta. Tale prezzo non muta natura giuridica se viene revisionato, vuoi per fatti non imputabili al committente (art. 1664 cod. civ.), vuoi per le variazioni del progetto che egli ha facoltà di disporre in corso d’opera”).

Senza contare che, come per giurisprudenza altrettanto costante, le disposizioni in materia di revisione del prezzo costituiscono norme eterointegrative dei contratti in tutti i rapporti di durata, e che, quindi, la Pubblica Amministrazione non ha discrezionalità nella scelta (dovuta) di avviare l’istruttoria per determinarne la debenza e, eventualmente, l’importo (Cass. SS.UU. 31 ottobre 2008 n. 26298; Cons. Stato, n. 2860/2020; n. 2386/2020).

Così ricostruito il tema, ne consegue che al momento in cui è stata adottata l’interdittiva prefettizia, l’impresa – successivamente divenuta “giuridicamente incapace” – versava in una posizione d’interesse legittimo al conseguimento della revisione prezzi, che l’avrebbe legittimata a sollecitare l’avvio della relativa istruttoria.

Né si ricadrebbe nella fattispecie di somme dovute a titolo di “contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo”, espressamente esclusi dall’art. 67 del codice antimafia, bensì di veri e propri “corrispettivi contrattuali”, sebbene nella peculiare forma legata al meccanismo dell’istituto della revisione prezzi, dovuti in ragione di prestazioni già da tempo eseguite.

Alla luce dell’excursus normativo e dell’inquadramento complessivo della normativa rilevante, è stato pertanto formulato all’Adunanza Plenaria il seguente quesito “se gli artt. 92 e 94 del d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159, nel fare salvo, per il caso di recesso dal contratto d’appalto indotto dal sopravvenire di un’informazione antimafia interdittiva a carico del privato contraente, il pagamento del valore delle opere già eseguite, implichino il riconoscimento all’appaltatore medesimo della possibilità di percepire, proprio per le opere già eseguite, anche il compenso revisionale contrattualmente previsto”.

La pronuncia, che si attende entro l’anno, costituirà un ulteriore tassello nel delicato (e complicato) inquadramento dogmatico della normativa che intercetta mondo dell’impresa e della criminalità organizzata (su analogo tema, commentata di recente in questa rivista, TAR Calabria, ord. coll. n. 732/2020), con tutto ciò che ne consegue, in entrambi i casi, in termini di sacrificio/tutela dei diritti costituzionalmente garantiti che ne restano di volta in volta coinvolti.

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento