Il Consiglio di Stato si pronuncia sui potenziali effetti dell’annullamento in sede di riesame dell’ordinanza di custodia cautelare sull’informativa antimafia

L’annullamento in sede di riesame dell’ordinanza di custodia cautelare non determina l’automatica caducazione dell’informazione prefettizia antimafia emessa a carico della medesima impresa

irene picardi 23 Maggio 2017
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L’annullamento in sede di riesame dell’ordinanza di custodia cautelare non determina l’automatica caducazione dell’informazione prefettizia antimafia emessa a carico della medesima impresa

Il Consiglio di Stato, nel riconoscere la legittimità dell’informativa antimafia adottata dal Prefetto nonostante il precedente annullamento in sede di riesame dell’ordinanza di custodia cautelare penale, ha escluso che sussista un nesso di derivazione necessaria fra l’annullamento dell’ordinanza custodiale e l’annullamento dell’informazione antimafia qualora la stessa non si fondi soltanto sulle motivazioni dell’ordinanza, ma su ulteriori ed autonomi elementi indiziari capaci di giustificarne l’emissione.

E’ stato, infatti, precisato che non esiste una corrispondenza biunivoca tra gli atti di indagine penale valutati ai fini cautelari e gli elementi indiziari apprezzati dal Prefetto a fini interdittivi, né è corretto ipotizzare, un rapporto di ancillarità tra i primi e i secondi che comporti l’invalidità derivata dell’informativa antimafia quale effetto automatico dell’annullamento dell’ordinanza di custodia cautelare disposta in sede di riesame.

Peraltro, anche volendo ammettere che tale nesso concretamente possa sussistere in alcuni casi (allorché, ad esempio, l’informativa si limiti a recepire pedissequamente i soli elementi indiziari valorizzati dell’ordinanza custodiale annullata dal Tribunale del riesame), il giudice amministrativo non può dal solo annullamento dell’ordinanza cautelare far discendere ipso iure l’annullamento dell’informativa senza scrutinare con attenzione le motivazioni del riesame.

È ben possibile ed anzi ben frequentemente accade che il giudice penale, pur avendo ritenuto non sussistere i “gravi indizi di colpevolezza” di cui all’art. 273, comma 1, c.p.p., capaci di supportare, allo stato delle indagini, l’ipotesi accusatoria e di giustificare l’emissione dell’ordinanza custodiale, abbia appurato o, comunque, non escluso l’esistenza di taluni dei fatti o degli elementi investigativi recepiti nell’informativa.

Il giudice amministrativo, nello scrutinare la “tenuta” del quadro indiziario posto a base dell’informativa antimafia, soprattutto se recepito, almeno in parte, da ordinanze cautelari penali, deve valutare integralmente le motivazioni di tutti i provvedimenti giurisdizionali (v., sul punto, Cons. St., sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743), anche ad effetto “scagionante”, per appurare se effettivamente essi abbiano privato funditus di rilevanza gli elementi fattuali.

Il Consiglio di Stato ha, inoltre, osservato che in caso di recesso dal contratto di appalto per sopravvenuta adozione dell’informazione antimafia a carico dell’impresa aggiudicataria, la fase di affidamento è da considerarsi già esaurita al momento della stipulazione del contratto, sicchè all’eventuale impugnazione della misura prefettizia deve applicarsi il termine ordinario di 60 giorni e non quello dimezzato di 30 giorni, non potendo estendersi a tale ipotesi la ratio della disciplina acceleratoria di cui all’art. 120 c.p.a.

Al riguardo, si è osservato che nell’ipotesi di recesso conseguente all’informativa, non vengono impugnati, unitamente all’informativa antimafia, atti inerenti alla procedura di gara, di cui all’art. art. 119, comma 1, lett. a), c.p.a., per i quali sussiste l’interesse pubblico specifico alla sollecita definizione delle relative controversie, sotteso alla disposizione che dimezza i termini processuali (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 31 agosto 2016, n. 3754).

Con tale pronuncia la terza sezione del Consiglio di Stato si è discostata dall’opposto orientamento giurisprudenziale fatto proprio dal precedente della quarta sezione n. 3247 del 20 luglio 2016 in base al quale l’atto di recesso sarebbe da ricondurre agli atti che concernono l’affidamento dell’appalto (avvenuto in favore di un soggetto a ciò interdetto, e dunque in difetto dei presupposti necessari per essere destinatario dell’affidamento), con conseguente applicazione dell’art. 120 c.p.a. e dei termini dimidiati ivi previsti.

Con la sentenza in rassegna, dopo aver precisato che la soggezione alla disciplina degli artt. 119 e 120 c.p.a. in tanto si giustifica in quanto venga in rilievo, e sia impugnato, un atto riconducibile all’esercizio (o al mancato esercizio) del potere di scelta, da parte dell’Amministrazione, in una procedura di gara, è stato, invece, chiarito che il potere di recedere dal contratto, in seguito all’emissione dell’informativa, è l’espressione di una speciale potestà amministrativa che compete alla stazione appaltante ai sensi dell’art. 92, comma 4, del d.lgs. n. 159 del 2011, anche nella fase esecutiva del contratto, e non già del generale potere “selettivo” attribuitole dall’ordinamento per la scelta del miglior contraente.

La risoluzione pubblicistica del rapporto, eccezionalmente riconosciuto alla stazione appaltante dall’art. 92, comma 4, del d.lgs. n. 159 del 2011, infatti, non costituisce propriamente l’oggetto o l’effetto di uno degli “atti delle procedure di affidamento”, ma è il contenuto di un atto vincolato della stazione appaltante, la conseguenza necessitata, a valle, di una valutazione compiuta dal Prefetto, a monte, in ordine ad un requisito fondamentale richiesto dall’ordinamento per la partecipazione alle gare. L’accertamento di tale requisito spetta al Prefetto con un atto di tipica espressione di un’ampia discrezionalità nell’esercizio di tale funzione, connessa alla tutela dell’ordine pubblico e alla prevenzione antimafia e, proprio in quanto tale, non è corretto ricondurla e relegarla alla sola materia delle procedure di gara, che del resto non ne esaurisce il ben più vasto raggio applicativo, e alla relativa disciplina processuale, di cui quindi è errato invocare la ratio acceleratoria e la dimidiazione dei termini.

 Massima a cura dell’Avv. Irene Picardi (irene.picardi@hotmail.it)

 REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4910 del 2016, proposto da G. s.p.a. – G., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato M. S. e dall’Avvocato M. P., con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato A. B. in Roma, OMISSIS;

contro

C.s.c.a.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocato-OMISSIS-M., domiciliato ai sensi dell’art. 25 c.p.a. presso la Segreteria della III Sezione del Consiglio di Stato in Roma, OMISSIS;

nei confronti di

-OMISSIS-in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato L. L., con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato A. P. in Roma, OMISSIS;
A. s.r.l., non costituita in giudizio;

sul ricorso numero di registro generale 4911 del 2016, proposto da G. s.p.a. – G., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato M. S. e dall’Avvocato M. P., con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato A. B. in Roma, OMISSIS;

contro

-OMISSIS-in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato L. L., con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato A. P. in Roma, via OMISSIS;

nei confronti di

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, e U.T.G. – Prefettura di Napoli, in persona del Prefetto pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, OMISSIS;
C.s.c.a.r.l., non costituito in giudizio;
A. s.r.l., non costituita in giudizio;

per la riforma

quanto al ricorso n. 4910 del 2016:

della sentenza del T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, Sezione I, n. 02220/2016, resa tra le parti, concernente l’affidamento ad altra concorrente del contratto di manutenzione delle reti idriche e fognarie a seguito di recesso per interdittiva antimafia.

quanto al ricorso n. 4911 del 2016:

della sentenza del T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, Sezione I, n. 02732/2016, resa tra le parti, concernente l’informativa prefettizia antimafia con conseguente recesso dal contratto di affidamento per manutenzione delle reti idriche e fognarie

 

visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

visti i rispettivi atti di costituzione, nei giudizi riuniti, di C.s.c.a.r.l., di -OMISSIS-del Ministero dell’Interno e dell’U.T.G. – Prefettura di Napoli;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 gennaio 2017 il Consigliere Massimiliano Noccelli e uditi per l’appellante G. – G. s.p.a. l’Avvocato M. S., per l’appellata-OMISSIS- l’Avvocato L. L. e per il Ministero dell’Interno, appellante incidentale, l’Avvocato dello Stato-OMISSIS-G.;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso avente R.G. n. 5958/2015 e proposto avanti al T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, il C.s.c. a r.l. (di qui in avanti, per brevità, il Consorzio) ha impugnato il recesso esercitato da G. – G. s.p.a. (di qui in avanti, per brevità, G. s.p.a.) dal contratto di appalto, relativo ai lavori di «Manutenzione, pronto intervento, rifunzionalizzazione, ricostruzione e riabilitazione delle reti idriche e fognarie di competenza della GORI s.p.a. ricadenti nel territorio dell’ATO 3 Sarnese Vesuviano – Lotto 3 – CIG 5171452132», in seguito all’interdittiva antimafia emessa dal Prefetto di Napoli il 23 ottobre 2015 a carico della consorziata -OMISSIS-

1.1. Nel ricorso il Consorzio, lamentando la violazione dell’art. 37, commi 18 e 19, del d. lgs. n. 163 del 2006 e dell’art. 95, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 159 del 2011, ha chiesto l’annullamento del recesso esercitato da G. s.p.a. e la conseguente reintegrazione in forma specifica, ai sensi degli artt. 30 e 34 c.p.a., mercé l’affidamento delle lavorazioni residue previste nel contratto di appalto in conformità a quanto previsto dal citato art. 37 del d. lgs. n. 163 del 2006.

1.2. Nel primo grado del giudizio si è costituita G. s.p.a per resistere al ricorso, di cui ha chiesto la reiezione, esponendo, peraltro, di aver proceduto all’interpello ai sensi dell’art. 140 del d. lgs. n. 163 del 2006, dopo aver esercitato il recesso, e di avere affidato i lavori alla seconda graduata, A. s.r.l., nuova aggiudicataria dell’appalto, che aveva completato i lavori residui.

1.3. Con successivi motivi aggiunti la ricorrente ha impugnato anche i documenti depositati il 5 dicembre 2015 da G. s.p.a. e, in particolare, gli atti dell’interpello, la nuova aggiudicazione e i verbali attestanti il nuovo affidamento e l’ultimazione dei lavori.

1.4. Si è costituita nel primo grado di giudizio la controinteressata A. s.r.l., la quale ha eccepito l’inammissibilità del ricorso, per inesistenza della notifica nei suoi riguardi, e comunque la sua infondatezza nel merito.

1.5. Il T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, ha accolto l’istanza cautelare del Consorzio con l’ordinanza n. 247 del 10 febbraio 2016, confermata dalla sez. V di questo Consiglio di Stato, in sede di appello cautelare, con l’ordinanza n. 1183 del 7 aprile 2016.

1.6. Infine, con la sentenza n. 2220 del 4 maggio 2016, il T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, accolto il ricorso e i motivi aggiunti, ha annullato tutti gli atti impugnati con il ricorso introduttivo e con gli stessi motivi aggiunti, ma ha dichiarato non luogo a provvedere sulla domanda di reintegrazione in forma specifica proposta dal Consorzio, perché «dai provvedimenti impugnati segue l’obbligo dell’amministrazione di attivare il procedimento di cui all’art. 95, primo e secondo comma, del D.Lgs. n. 159/2011».

2. Parallelamente e separatamente, con il ricorso avente R.G. n. 5601/2015,-OMISSIS- ha impugnato avanti al T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, l’informativa antimafia emessa dal Prefetto di Napoli il 23 ottobre 2015 a suo carico, costituente, come detto, la ragione e il presupposto del recesso esercitato da G. s.p.a., nonché tale recesso e tutti gli atti conseguenziali, chiedendone l’annullamento e il conseguente accertamento del diritto a completare il contratto di appalto già stipulato con la stazione appaltante.

2.1. Nel primo grado del giudizio si sono costituiti il Ministero dell’Interno, l’Ufficio Territoriale del Governo – Prefettura di Napoli, G. s.p.a. e il Consorzio, tutti per resistere al ricorso proposto da-OMISSIS-

2.2. La ricorrente ha proposto motivi aggiunti avverso anche gli atti istruttori depositati dalla Prefettura di Napoli a supporto dell’informativa antimafia.

2.3. Con la sentenza n. 2732 del 26 maggio 2016, infine, il T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, ha annullato tutti gli atti impugnati con il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti e la consequenziale domanda di -OMISSIS- per l’accertamento del diritto della ricorrente ad eseguire il contratto di appalto stipulato con la stazione appaltante G. s.p.a.

3. Avverso le due sentenze, che concernono la stessa vicenda sostanziale – l’informativa emessa a carico di-OMISSIS- e il conseguente recesso di G. s.p.a. dal contratto stipulato con il Consorzio aggiudicatario dell’appalto – e che hanno entrambe annullato per ben due volte, senza disporre la opportuna riunione dei giudizi, lo stesso recesso seppure per ragioni diverse, ha proposto appello G. s.p.a.

3.1. Avverso la sentenza n. 2220 del 4 maggio 2016 G. s.p.a. ha proposto infatti appello, rubricato al R.G. n. 4910/2016, deducendo cinque motivi di censura che saranno successivamente esaminati, e ne ha chiesto, previa sospensione, la riforma, con conseguente reiezione del ricorso e dei motivi aggiunti proposti in primo grado dal Consorzio.

3.2. Si sono costituiti in tale giudizio il Consorzio e -OMISSIS-entrambe per resistere all’appello proposto da G. s.p.a.

3.3. Avverso la sentenza n. 2732 del 26 maggio 2016 G. s.p.a. ha pure proposto appello principale, rubricato al R.G. n. 4911/2016, deducendo due distinti motivi di censura di cui oltre si dirà, e ne ha chiesto, previa sospensione, la riforma.

3.4. Il 5 agosto 2016 il Ministero dell’Interno e l’Ufficio Territoriale del Governo – Prefettura di Napoli hanno proposto, a loro volta, appello incidentale autonomo avverso tale pronuncia, ritenuta erronea nella parte in cui ha annullato l’informativa antimafia, e ne hanno chiesto, previa sospensione, la riforma.

3.5. Si è costituita anche in tale giudizio-OMISSIS- per resistere ad entrambe le impugnazioni, principale ed incidentale, di cui ha chiesto la reiezione.

3.6. Nella camera di consiglio del 30 agosto 2016, fissata per l’esame di entrambe le domande cautelari proposte contro le sentenze qui impugnate, il Collegio, ritenuto di doverle esaminare con sollecitudine nel merito, sull’accordo delle parti ne ha rinviato la trattazione congiunta all’udienza pubblica del 12 gennaio 2017.

3.7. Infine, in tale udienza, il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.

4. Preliminarmente ritiene il Collegio ritiene di dover disporre la riunione dei giudizi R.G. n. 4910/2016 e n. 4911/2016, perché i ricorsi separatamente proposti in primo grado dal Consorzio e da-OMISSIS- per la loro stretta e oggettiva connessione, avrebbero dovuto essere definiti in un simultaneus processusdal T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, con un unico contestuale accertamento, cioè, sia della legittimità dell’informativa antimafia, emessa a carico della consorziata -OMISSIS-sia della legittimità, derivata o per vizi propri, dal recesso di G. s.p.a. dal contratto stipulato con il Consorzio.

4.1. È prioritario nell’ordine logico delle questioni controverse l’esame dell’appello incidentale proposto dal Ministero dell’Interno, che investe la legittimità dell’informativa antimafia emessa dalla Prefettura di Caserta, annullata dal T.A.R. con la sentenza n. 2732 del 2016 e costituente presupposto, a sua volta, del recesso annullato dal T.A.R., con la precedente sentenza n. 2220 del 2016, tuttavia per vizi propri di questo, come ora si dirà.

4.2. In via preliminare deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità dell’appello incidentale, formulata da-OMISSIS- nella memoria difensiva depositata il 9 agosto 2016, sull’assunto che detto appello sarebbe stato notificato oltre il termine di 30 giorni, scaduto il 13 luglio 2016, dalla notificazione della decisione appellata, intervenuta il 13 giugno 2016.

4.3. Tale appello incidentale autonomo, proposto dal Ministero dell’Interno, è tempestivo perché il termine per impugnare l’informativa antimafia – istituto di portata generale, “trasversale”, che non interseca, cioè, solo la materia dei pubblici appalti – è quello ordinario di 60 giorni e non quello dimezzato di 30 giorni, previsto dall’art. 120, comma 5, c.p.a.

4.4. La Sezione ha già avuto modo di chiarire, infatti, che nell’ipotesi di recesso conseguente all’informativa non vengono impugnati, unitamente all’informativa antimafia, atti inerenti alla procedura di gara, di cui all’art. art. 119, comma 1, lett. a), c.p.a., per i quali sussiste l’interesse pubblico specifico alla sollecita definizione delle relative controversie, sotteso alla disposizione che dimezza i termini processuali (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 31 agosto 2016, n. 3754).

4.5. Nel caso di specie, come quello esaminato dal precedente appena citato, «la fase di affidamento si era in precedenza esaurita con la stipulazione dei contratti oggetto dei contestati atti risolutivi», sicché devono trovare applicazione le regole del rito ordinario, non potendo estendersi all’impugnazione dell’informativa la ratio della disciplina acceleratoria di cui all’art. 120 c.p.a.

4.6. Questa Sezione non ritiene condivisibile il precedente di questo Cons. St., sez. IV, 20 luglio 2016, n. 3247, secondo cui il potere di recesso esercitato dalla stazione appaltante in seguito a sopraggiunta informativa antimafia sarebbe riconducibile alla nozione dei «provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture», di cui all’art. 119, comma 1, lett. a), c.p.a. o comunque al novero degli «atti delle procedure di affidamento», di cui all’art. 120, comma 1, c.p.a.

4.7. La soggezione alla disciplina degli artt. 119 e 120 c.p.a. in tanto si giustifica in quanto venga in rilievo, e sia impugnato, un atto riconducibile all’esercizio (o al mancato) esercizio del potere di scelta, da parte dell’Amministrazione, in una procedura di gara.

4.8. Il potere di recedere dal contratto, in seguito all’emissione dell’informativa, è invece l’espressione di una speciale potestà amministrativa che compete alla stazione appaltante ai sensi dell’art. 92, comma 4, del d. lgs. n. 159 del 2011, anche nella fase esecutiva del contratto, e non già del generale potere “selettivo” attribuitole dall’ordinamento per la scelta del miglior contraente.

4.9. La risoluzione pubblicistica del rapporto eccezionalmente riconosciuto alla stazione appaltante dall’art. 92, comma 4, del d. lgs. n. 159 del 2011, infatti, non costituisce propriamente l’oggetto o l’effetto di uno degli «atti delle procedure di affidamento», ma è il contenuto di un atto vincolato della stazione appaltante, la conseguenza necessitata, a valle, di una valutazione compiuta dal Prefetto, a monte, in ordine ad un requisito fondamentale richiesto dall’ordinamento per la partecipazione alle gare o, per dirla nei termini della citata sentenza n. 3247 del 2016, di una «indispensabile capacità giuridica»: l’impermeabilità mafiosa delle imprese concorrenti.

4.10. L’accertamento di tale indispensabile capacità giuridica spetta al Prefetto con un atto tipica espressione di una ampia discrezionalità nell’esercizio di tale funzione connessa alla tutela dell’ordine pubblico e alla prevenzione antimafia e, proprio in quanto tale, non è corretto ricondurla e relegarla alla sola materia delle procedure di gara, che del resto non ne esaurisce il ben più vasto raggio applicativo, e alla relativa disciplina processuale, di cui quindi è errato invocare la ratio acceleratoria e la dimidiazione dei termini.

4.11. Di qui, per le ragioni esposte, l’infondatezza dell’eccezione preliminare sollevata dall’appellata -OMISSIS-

5. Nel merito, ciò premesso, l’appello incidentale è fondato e merita accoglimento.

5.1. Il T.A.R. per la Campania, con la sentenza n. 2732 del 26 maggio 2016, ha annullato l’informativa antimafia emessa il 23 ottobre 2015 dalla Prefettura di Napoli a carico di -OMISSIS-sulla base del rilievo che, «sebbene la informativa antimafia sia motivata con riferimento anche a fatti ulteriori rispetto all’ordinanza di custodia cautelare successivamente annullata dal Tribunale del riesame, facendosi riferimento a frequentazioni del -OMISSIS- con persone controindicate, l’elemento centrale della nota prefettizia è certamente costituito dall’ordinanza di custodia cautelare in carcere, di cui sono riportati ambi brani a dimostrazione del ritenuto pericolo di connivenza con la mafia» (p. 9 della sentenza impugnata).

5.2. Il primo giudice ha stigmatizzato essenzialmente il fatto che l’ordinanza di custodia cautelare richiamata nell’informativa fosse già stata annullata dal Tribunale del riesame di Napoli alla data di adozione della informativa prefettizia e ciò non avrebbe dovuto essere ignorato dall’autorità amministrativa procedente, che avrebbe dovuto prendere in considerazione le motivazioni del riesame.

5.3. Il T.A.R. per la Campania non ha escluso che, pur dopo la caducazione dell’ordinanza cautelare in sede di riesame, la Prefettura avrebbe potuto adottare una informativa a carico dell’impresa, «qualora avesse ravvisato gravi elementi indiziari dai quali desumere la concretezza del pericolo di condizionamento e infiltrazione mafiosa» (p. 9 della sentenza impugnata).

5.4. Secondo il primo giudice, quindi, la Prefettura di Napoli avrebbe dovuto esaminare con attenzione il provvedimento del Tribunale del riesame, che confuta radicalmente la validità del quadro indiziario riprodotto nella misura cautelare e dare conto delle eventuali ragioni per le quali avesse ritenuto egualmente rilevanti le circostanze esposte nell’ordinanza di custodia cautelare.

5.5. La mancata analisi dell’ordinanza del riesame renderebbe illegittima, per eccesso di potere sotto il profilo della carenza di istruttoria, la informativa del 23 ottobre 2015, impugnata con il ricorso introduttivo, e vizierebbe, per illegittimità derivata, gli atti esecutivi della nota prefettizia, impugnati con lo stesso ricorso.

6. Il ragionamento del primo giudice, tuttavia, non è anzitutto condivisibile in punto di diritto perché non è conforme ai consolidati principî che questa Sezione, anche di recente, è venuta affermando in questa materia (v., al riguardo, la già richiamata sentenza di Cons. St., sez. III, 31 agosto 2016, n. 3754).

6.1. Il T.A.R. per la Campania ha trascurato, anzitutto, che l’informativa antimafia prot. n. 135910 del 23 ottobre 2015, impugnata in primo grado, non si fonda soltanto sulle motivazioni dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Napoli, poi annullata dal Tribunale del riesame dei Napoli, ma su ulteriori elementi – in particolare il contenuto delle intercettazioni telefoniche, autonomamente esaminato dall’autorità prefettizia, e le frequentazioni di-OMISSIS–OMISSIS- – che sono stati esaminati e valorizzati dal Gruppo Ispettivo Antimafia nella seduta del 16 settembre 2015, all’esito della quale detto Gruppo ha proposto l’adozione dell’informativa antimafia.

6.2. Il Prefetto di Napoli ne ha concluso che «il quadro complessivo, delineato a conclusione dell’attività istruttoria, risulta fondato ed attuale in termini di esposizione della-OMISSIS- al pericolo di condizionamento da parte della criminalità organizzata».

6.3. Si tratta di motivazione che, proprio alla luce dei plurimi elementi esaminati dal Gruppo e in maniera autonoma sganciati dalla valutazione del materiale probatorio fatta dal G.I.P. a fini cautelari, resiste alle censure tutte sollevate da-OMISSIS- con il ricorso originario e i motivi aggiunti, tutti erroneamente accolti dal T.A.R.

6.4. La sola mancata valutazione di una precedente ordinanza di riesame non determina, ex se, l’illegittimità dell’informativa antimafia, laddove questa si fondi su autonomi elementi indiziari non valutati in sede cautelare penale.

6.5. Il venir meno del grave quadro indiziario, posto a base dell’ordinanza custodiale annullata in sede di riesame, non comporta in altri termini la caducazione degli ulteriori elementi, posti a base dell’informativa antimafia, che siano rimasti estranei alla valutazione del giudice penale.

6.6. Non esiste una corrispondenza biunivoca, infatti, tra gli atti di indagine penale valutati ai fini cautelari e gli elementi indiziari apprezzati dal Prefetto a fini interdittivi né è corretto ipotizzare, come fa il primo giudice, un rapporto di ancillarità tra i primi e i secondi che comporti l’invalidità derivata dell’informativa antimafia quale effetto automatico dell’annullamento dell’ordinanza di custodia cautelare disposta in sede di riesame.

6.7. Di qui, evidentemente, l’erroneità della sentenza impugnata che, senza avvedersi degli ulteriori elementi di inquinamento mafioso valorizzati dall’informativa e capaci di giustificarne l’emissione (il contenuto delle intercettazioni, dalle quali emerge una situazione di inquietante vicinanza di-OMISSIS–OMISSIS- ad ambienti criminali, al di là della “tenuta” della ipotesi di turbata libertà degli incanti a lui contestata, e le altrettanto significative frequentazioni con uomini riconducibili al clan -OMISSIS-, indipendentemente dalla loro formale posizione di associati ai sensi dell’art. 416-bis c.p.), ha istituito un nesso di derivazione necessaria tra l’annullamento dell’ordinanza custodiale e l’annullamento dell’informativa antimafia.

7. Peraltro, anche volendo ammettere che tale nesso concretamente possa sussistere in alcuni casi diversi dal presente (allorché, ad esempio, l’informativa si limiti a recepire pedissequamente i soli elementi indiziari valorizzati dell’ordinanza custodiale annullata dal Tribunale del riesame), il giudice amministrativo non può dal solo annullamento dell’ordinanza cautelare far discendere ipso iure l’annullamento dell’informativa, come ha fatto il T.A.R. per la Campania, senza scrutinare con attenzione le motivazioni del riesame.

7.1. È ben possibile ed anzi ben frequentemente accade che il giudice penale, pur avendo ritenuto non sussistere i «gravi indizi di colpevolezza» di cui all’art. 273, comma 1, c.p.p., capaci di supportare, allo stato delle indagini, l’ipotesi accusatoria e di giustificare l’emissione dell’ordinanza custodiale, abbia appurato o, comunque, non escluso l’esistenza di taluni dei fatti o degli elementi investigativi recepiti nell’informativa.

7.2. Il giudice amministrativo, nello scrutinare la “tenuta” del quadro indiziario posto a base dell’informativa antimafia soprattutto se recepito, almeno in parte, da ordinanze cautelari penali, deve valutare integralmente le motivazioni di tutti i provvedimenti giurisdizionali (v., sul punto, Cons. St., sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743), anche ad effetto “scagionante”, per appurare se effettivamente essi abbiano privato funditus di rilevanza gli elementi fattuali, se e nella misura in cui l’apprezzamento dell’autorità amministrativa, come nella vicenda in esame, si sia (correttamente) svincolata dalla pedissequa recezione delle risultanze penali.

7.3. E tanto in punto di fatto, anche volendo prescindere dai rilievi in diritto sopra svolti, è accaduto nel caso di specie.

7.4. L’informativa antimafia qui impugnata, alla luce dell’autonoma istruttoria svolta dal Gruppo Investigativo Antimafia e dell’autonoma valutazione compiuta dal Prefetto, ha mostrato di sapere ben distinguere il piano dell’accertamento penale da parte del G.I.P., nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, e quello amministrativo ai fini preventivi antimafia, laddove ha tenuto conto, in particolare (ma, come detto, non in via esclusiva), «delle circostanze addotte nella misura cautelare sopraindicata che evidenziano un significativo quadro indiziario sul piano cautelare antimafia».

7.5. Questo quadro è stato autonomamente valutato dall’autorità prefettizia nei suoi elementi fattuali, al di là delle motivazioni che avevano indotto il G.I.P. a ritenere sussistente un quadro gravemente indiziario dell’ipotesi delittuosa – quella di cui all’art. 353 c.p. – contestata ad-OMISSIS–OMISSIS-, ed autonomamente esso avrebbe dovuto essere esaminato dal T.A.R. per verificare se, nonostante l’ordinanza di riesame, la valenza indiziaria di quegli elementi ai fini antimafia ne risultasse o meno inficiata.

7.6. Al riguardo, come bene ha rilevato infatti il Ministero dell’Interno, appellante incidentale, nel suo ricorso (pp. 5-6), l’ordinanza del Tribunale del riesame non ha affatto negato la esistenza di alcuni di quegli elementi gravi, precisi e concordanti che, seppure inidonei in sede cautelare a giustificare l’emissione dell’ordinanza cautelare ai sensi dell’art. 273, comma 1, c.p.p., ben possono essere posti dall’autorità prefettizia a fondamento dell’informativa.

7.7. Nel caso di specie, come ha rilevato il Tribunale del riesame, costituiva «motivo di sospetto» (p 7 dell’ordinanza) che-OMISSIS–OMISSIS-, imprenditore di-OMISSIS-, legato da rapporti di parentela con-OMISSIS–OMISSIS-, detto “-OMISSIS-”, cognato di -OMISSIS- -OMISSIS-, uno dei tanti imprenditori legati «a doppio filo» a -OMISSIS- -OMISSIS-, in anticipo di alcuni mesi rispetto all’aggiudicazione della gara faceva riferimento a due degli imprenditori aggiudicatari, -OMISSIS-e-OMISSIS–OMISSIS-, quest’ultimo, appunto, socio e amministratore unico della-OMISSIS-

7.8. Particolarmente significative appaiono in quest’ottica le dichiarazioni rese dall’imprenditore coindagato -OMISSIS-e dal collaboratore di giustizia -OMISSIS-, esaminate dal Tribunale del riesame nell’ordinanza del 7 agosto 2015, citate a p. 7, secondo cui-OMISSIS–OMISSIS-, dominus di -OMISSIS-faceva parte del “cerchio di imprenditori” di fiducia di -OMISSIS- -OMISSIS-.

7.9. Il quadro indiziario, quale emerge anche dall’ordinanza del riesame, si deve dunque considerare grave ai fini che qui rilevano e, lungi dallo smentirla, conforta la valutazione prefettizia di impermeabilità mafiosa dell’impresa per i legami di-OMISSIS–OMISSIS-, emergenti dalle risultanze investigative, con il mondo della criminalità organizzata di stampo camorristico.

7.10. E ciò senza qui dover ricordare, ancora una volta, che-OMISSIS–OMISSIS- è stato controllato più volte in compagnia di -OMISSIS-e di-OMISSIS–OMISSIS- ritenuti uomini organici o comunque contigui al clan -OMISSIS- – elemento anche questo già bastevole, in sé, a giustificare l’emissione dell’informativa e ben valorizzato da questa – mostrando, così, una inquietante prossimità ad ambienti criminali di sicuro rilievo ai fini di prevenzione antimafia che qui interessano.

8. Le contrarie argomentazioni sviluppate da-OMISSIS- nella memoria difensiva depositata il 9 agosto 2016 e nei successivi scritti, nell’enfatizzare la centralità dell’annullamento dell’ordinanza emessa dal G.I.P. e l’incidenza di tale evenienza processuale sulle sorti dell’informativa, non meritano condivisione alla luce di quanto sin qui esposto.

8.1. L’annullamento in autotutela dell’informativa antimafia emessa a carico di -OMISSIS-di -OMISSIS–OMISSIS-& C. s.a.s. (doc. 4 fasc. parte appellata), da parte della Prefettura di Caserta, è circostanza del tutto neutra ai fini del presente giudizio, sia perché essa riguarda, formalmente, la posizione di una società diversa dalla -OMISSIS-sulla quale pende ricorso R.G. n. 753/2016 avanti al T.A.R. per la Campania, sia soprattutto perché dall’esame del provvedimento liberatorio non è dato evincere le ragioni che abbiano indotto la Prefettura di Caserta a riesaminare con esito positivo il precedente provvedimento interdittivo e, in particolare, non è possibile conoscere il contenuto della relazione del 26 febbraio 2016 e degli elementi emersi nel corso della riunione del Gruppo Investigativo Interforze, di cui, appunto, si legge nell’informativa liberatoria del 3 marzo 2016.

9. Quanto esposto impone, radicalmente, la riforma della sentenza n. 2732 del 26 maggio 2016 che, accogliendo il ricorso originario e i motivi aggiunti proposti da -OMISSIS-ha statuito l’annullamento dell’informativa antimafia e, per invalidità derivata, anche del recesso e degli atti consequenziali e ha riconosciuto erroneamente a-OMISSIS- il diritto alla conclusione dell’appalto, diritto che peraltro, a tutto concedere, sarebbe spettato al Consorzio aggiudicatario, come si vedrà, e non certo alla consorziata-OMISSIS-

10. Le motivazioni esposte rendono improcedibile l’appello principale proposto da G. s.p.a. in quanto:

a) il primo motivo (pp. 6-8 del ricorso), relativo all’error in iudicandorelativo al soggetto effettivo titolare del contratto di appalto e dell’eventuale diritto alla sua prosecuzione, non è più sorretto da alcuna ragione di interesse a seguito dell’integrale riforma della sentenza n. 2732 del 2016 – per l’accertata legittimità dell’informativa antimafia presupposta al recesso – anche nella parte in cui ha accertato in capo alla ricorrente-OMISSIS- a completare l’esecuzione del contratto;

b) il secondo motivo (p. 8 del ricorso), relativo al presunto contrasto di giudicati, deve ritenersi ormai anche esso privo di interesse perché, dopo la riunione delle impugnative disposta in sede di appello con la presente sentenza e la riforma della sentenza n. 2732 del 2016, non vi è più ipotetica ragione di contrasto con la pronuncia n. 2220 del 2016, che di seguito si passa ad esaminare.

11. Devono essere ora esaminati, infatti, i vizi propri del recesso, che hanno indotto il T.A.R. per la Campania, con la separata pronuncia n. 2220 del 2016, ad annullare detto atto anche indipendentemente dalla legittimità, o meno, della presupposta informativa.

11.1. La sentenza n. 2220 del 4 maggio 2016 del T.A.R. per la Campania, come si è anticipato, ha annullato il recesso esercitato da G. s.p.a. nei confronti del Consorzio per un vizio proprio di questo, svincolato dalla legittimità della presupposta informativa, rilevando, a p. 10, che il recesso contrattuale, gravato dal Consorzio in prime cure, era stato disposto senza consentire al Consorzio di attivare il procedimento di cui all’art. 95, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 195 del 2011.

11.2. L’appellante G. s.p.a. ha contestato tuttavia le statuizioni della sentenza qui impugnata, articolando cinque motivi di censura tra i quali ha peraltro dedotto, con il penultimo (pp. 12-13 del ricorso) e l’ultimo motivo (p. 13 del ricorso), l’error in iudicando conseguente alla mancata trattazione congiunta dei ricorsi separatamente proposti in primo grado dal Consorzio e da-OMISSIS- perché, come già ampiamente veduto, con la sentenza n. 2732 del 2016 lo stesso T.A.R. per la Campania, che non aveva disposto la riunione dei ricorsi, ha annullato l’informativa emessa dal Prefetto di Napoli nei confronti della-OMISSIS- per mancanza degli elementi necessari a supporto dell’informativa, statuendo peraltro la prosecuzione del rapporto con la-OMISSIS-

11.3. Il quarto e il quinto motivo tuttavia, alla luce delle motivazioni sin qui esposte e della riforma della sentenza n. 2732 del 2016, sono divenuti improcedibili, dovendosi qui richiamare, per obbligo di sintesi (art. 3, comma 2, c.p.a.), quanto già esposto in relazione al secondo motivo di appello proposto da G. s.p.a. avverso la sentenza n. 2732 del 2016, sicché non si pone alcun problema di contrasto tra divergenti statuizioni giudiziali e di incompatibilità effettuale nei rapporti interni tra il Consorzio e-OMISSIS- quanto alla prospettata prosecuzione del rapporto contrattuale, peraltro ormai esauritosi in seguito al completamento dei lavori ormai effettuato da A. s.r.l.

12. Il Collegio passa ora al sintetico esame, nel merito, dei restanti tre motivi proposti da G. s.p.a., tutti infondati alla luce delle ragioni che qui di seguito, in breve, si passano in rassegna.

13. Quanto al primo motivo (pp. 6-7), con il quale G. s.p.a. ha eccepito il difetto di giurisdizione in capo al giudice amministrativo perché essa avrebbe asseritamente inteso esercitare il diritto potestativo di recesso previsto dall’art. 134 del d. lgs. n. 163 del 2006, ne è evidente l’infondatezza.

13.1. G. s.p.a. non ha affatto inteso esercitare il diritto di recesso, previsto dall’art. 134 del d. lgs. n. 163 del 2016, come a torto sostiene, ma il diritto di recesso dall’appalto espressione di quella speciale potestà pubblicistica conferita alla stazione appaltante in esito all’emissione dell’informativa antimafia, di cui sopra si è detto, e ciò «ai sensi del d.lgs. n. 159/2011 e ss. mm. e ii. », come si legge a chiare lettere e in modo inequivocabile nel provvedimento di recesso (doc. 7 fasc. parte appellante).

13.2. Tale inoppugnabile constatazione destituisce di qualsivoglia fondamento l’eccezione di difetto di giurisdizione qui riproposta da G. s.p.a.

13.3. Alle considerazioni svolta svolte, circa la natura pubblicistica e speciale di tale potere spettante alla stazione appaltante (v., supra, §§ 4.8-4.10), si aggiunga qui che le Sezioni Unite della Cassazione (v., ex plurimis, Cass., Sez. Un., 29 agosto 2008, ord. n. 21928; Cass., Sez. Un., 18 novembre 2016, ord. n. 23468) hanno costantemente riconosciuto, nella loro giurisprudenza, che la deliberazione di recedere dal contratto di appalto, «consequenziale all’informativa prefettizia di infiltrazioni mafiose nell’impresa appaltatrice, resa ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. 3 giugno 1998, n. 252» e ora dall’art. 92, comma 4, del d. lgs. n. 159 del 2011, è espressione di un potere di valutazione di natura pubblicistica, diretto a soddisfare «l’esigenza di evitare la costituzione o il mantenimento di rapporti contrattuali, fra i soggetti indicati nell’art. 1 del medesimo d.P.R. » e le imprese, nei cui confronti emergano sospetti di legami con la criminalità organizzata.

13.4. «Conseguentemente, trattandosi di atto estraneo alla sfera del diritto privato, in quanto espressione di un potere autoritativo di valutazione dei requisiti soggettivi del contraente, il cui esercizio è consentito anche nella fase di esecuzione del contratto ai sensi dell’art. 11, comma 2, citato D.P.R., la relativa controversia appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo» (Cass., Sez. Un., 18 novembre 2016, n. 23468).

13.5. Di qui, con evidenza, l’infondatezza del primo motivo di appello proposto da G. s.p.a.

14. Va respinto anche il secondo motivo di appello (pp. 7-10 del ricorso), con il quale G. s.p.a. sostiene, una volta di più, che essa ha inteso esercitare un potere di recesso, ai sensi dell’art. 134 del d. lgs. n. 163 del 2016, e che, diversamente da quanto ha sostenuto il T.A.R., l’esercizio di tale affermato potere poggerebbe su ragioni interne concernenti l’opportunità di proseguire il contratto.

14.1. Tali ragioni, esternate nella fase esecutiva del rapporto contrattuale, porrebbero G. s.p.a. in una posizione paritetica rispetto al Consorzio nell’esercizio di un potere privatistico, che radicherebbe la giurisdizione del giudice ordinario, come ha chiarito l’Adunanza plenaria nella decisione n. 14 del 20 giugno 2014.

14.2. Anche tale motivo è destituito di fondamento perché, occorre ribadirlo, il recesso esercitato da G. s.p.a. non è riconducibile al paradigma “privatistico” dell’art. 134 del d. lgs. n. 163 del 2006, ma a quello pubblicistico dell’art. 92, comma 4, del d. lgs. n. 159 del 2011, come è reso palese dal tenore letterale, prima ancor che dalle sostanziali motivazioni, del recesso esercitato in (esclusiva) conseguenza dell’informativa antimafia a carico di-OMISSIS-

15. È anche infondato il terzo motivo di appello (pp. 11-12 del ricorso), con il quale G. s.p.a. sostiene che il T.A.R. per la Campania non avrebbe tenuto conto del fatto che il Consorzio, dinanzi alla comunicazione prefettizia, non avrebbe espresso alcuna indicazione di sostituire l’esecutore delle opere entro i 30 giorni fissati dall’art. 37, comma 19, del d. lgs. n. 163 del 2006 e dall’art. 95, comma 1, del d. lgs. n. 159 del 2011.

15.1. Il Consorzio si sarebbe solo limitato a comunicare a G. s.p.a. il verbale assembleare del 28 ottobre 2015, relativo all’esclusione di-OMISSIS- dalla propria compagine, nonché di avere intentato un’azione risarcitoria in sede civile contro la stessa -OMISSIS-ma una siffatta comunicazione non sarebbe di alcuna utilità nella prosecuzione del rapporto che, poi, lo stesso Consorzio pretenderebbe di fare valere in sede giudiziaria.

15.2. Il primo giudice, conclude l’appellante, con una inversione logica avrebbe finito per ribaltare sulla stazione appaltante gli effetti del comportamento inattivo, e finanche ambiguo, tenuto dal Consorzio.

15.3. Il motivo, seppure alla luce delle ragioni che seguiranno, va respinto.

15.4. La V Sezione di questo Consiglio si è invero pronunciata, in sede di appello cautelare, con l’ordinanza n. 1183 del 7 aprile 2016, osservando che «il provvedimento di recesso impugnato fa esclusivo riferimento all’interdittiva antimafia emessa nei confronti della consorziata esecutrice-OMISSIS-. e, come già evidenziato dal giudice di primo grado, non è stato preceduto dalle formalità previste dall’art. 95, commi 1 e 2, delle leggi antimafia di cui al d. lgs. 6 settembre 2011, n. 159».

15.5. Ritiene il Collegio di dovere condividere e fare propria la valutazione espressa dall’ordinanza cautelare.

15.6. L’art. 95, comma 1, ult. periodo, del d. lgs. n. 159 del 2011 prevede che «la sostituzione può essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione delle informazioni del prefetto qualora esse pervengano successivamente alla stipulazione del contratto».

15.7. Ora la documentazione prodotta in primo grado dal Consorzio ricorrente dimostra che esso, appena ricevuta l’informativa prefettizia (il 26 ottobre 2015), abbia tempestivamente estromesso-OMISSIS- dalla propria compagine (il 28 ottobre 2015), con comunicazione inviata a G. s.p.a. il giorno successivo (29 ottobre 2015), e addirittura abbia intrapreso una controversia civile contro la stessa -OMISSIS-iscritta ruolo il 24 novembre 2015 presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.

15.8. A tale comunicazione è, però, seguito il recesso ex abrupto esercitato dalla stazione appaltante il 29 ottobre 2015, senza consentire al Consorzio di indicare una nuova impresa esecutrice dei lavori nel termine di 30 giorni dalla recezione dell’informativa, avvenuta il 26 ottobre 2015.

15.9. Tale recesso appare vieppiù illegittimo perché, dopo la immediata estromissione di-OMISSIS- dal Consorzio comunicata a G. s.p.a., non appariva affatto eventualità remota che il Consorzio indicasse una nuova impresa adatta allo scopo nel termine di 30 giorni, che G. s.p.a. avrebbe dovuto comunque rispettare prima di esercitare il recesso e di procedere all’interpello.

15.10. L’impossibilità di indicare una impresa sostituta, a fronte dell’inopinato e immediato recesso della stazione appaltante senza il rispetto dei 30 giorni, ha impedito al Consorzio di esercitare la facoltà di sostituzione riconosciutagli dall’art. 95, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 159 del 2011, con conseguente illegittimità del recesso stesso.

16. È ben vero, come sostiene l’appellante, che l’art. 95, comma 1, del d. lgs. n. 159 del 2011 – e con esso anche le disposizioni dell’art. 37, comma 18, del d. lgs. n. 163 del 2006 – non configura un obbligo di “interpello” a carico della stazione appaltante, residuando in capo ad essa, anche a fronte dell’estromissione e della sostituzione dell’impresa infiltrata, il potere di apprezzare l’opportunità di proseguire il rapporto con il Consorzio alla luce di tutte le complesse circostanze del caso concreto, ma è altresì innegabile che la disposizione imponga alla stazione appaltante di rispettare almeno un termine di trenta giorni al fine «di contemperare il prosieguo dell’iniziativa economica delle imprese in forma associata con le esigenze afferenti alla sicurezza e all’ordine pubblico connesse alla repressione dei fenomeni di stampo mafioso, ogni volta che, a mezzo di pronte misure espulsive, si determini volontariamente l’allontanamento e la sterilizzazione delle imprese in pericolo di condizionamento mafioso» (Cons. St., sez. III, 7 marzo 2016, n. 923).

16.1. Queste pronte misure espulsive nel caso di specie, come detto, sono state efficacemente poste in essere dal Consorzio e tempestivamente comunicate a G. s.p.a.

16.2. G. s.p.a. avrebbe dovuto attendere l’indicazione del Consorzio anziché recedere immediatamente dal contratto, al fine di valutare se sussistessero i presupposti e i requisiti – a cominciare, ovviamente, dalla sua accertata impermeabilità mafiosa – in capo al Consorzio per proseguire nel rapporto contrattuale.

16.3. Quanto al comportamento “ambiguo” dello stesso Consorzio, che non avrebbe subito esercitato la propria facoltà di sostituzione, nel termine di 30 giorni, nell’incertezza del proprio diretto coinvolgimento nella vicenda di inquinamento mafioso che aveva colpito la consorziata-OMISSIS- (p. 12 del ricorso), tale ragione è del tutto ininfluente ai fini che qui rilevano.

16.4. G. s.p.a., se avesse ritenuto che le ragioni impeditive alla prosecuzione dell’appalto estensibili anche al Consorzio, avrebbe dovuto renderle ostensibili e farne menzione nel provvedimento di recesso, ben potendo la stazione appaltante recedere dal contratto con lo stesso Consorzio laddove le ragioni di inquinamento mafioso coinvolgano anche questo e non solo l’impresa consorziata (v., sul punto, Cons. St., sez. V, 12 ottobre 2010, n. 7407, per l’ipotesi di inquinamento mafioso, oltre che della consorziata, anche del consorzio stesso, con conseguente legittimità del recesso esercitato nei confronti del consorzio).

16.5. Ma ciò non è stato fatto perché il provvedimento di recesso menziona, seccamente, quale unico presupposto l’informativa emessa a carico di-OMISSIS- e non già eventuali motivi ostativi riguardanti alla prosecuzione del rapporto con il Consorzio nella sua totalità.

16.6. Di qui, per le ragioni espresse, l’infondatezza anche del terzo motivo proposto da G. s.p.a.

17. Quanto al quarto motivo (pp. 12-13 del ricorso) e al quinto motivo (p. 13 del ricorso) di appello, come si è premesso, essi sono divenuti improcedibili per effetto della riforma della sentenza n. 2732 del 2016.

18. Ne deriva che la sentenza n. 2220 del 2016 merita conferma, per le ragioni esposte, con conseguente annullamento del recesso esercitato da G. s.p.a. per violazione dell’art. 95, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 159 del 2011, salvi gli ulteriori provvedimenti che l’Amministrazione, ora per allora, adotterà, sia rivalutando le ragioni poste a base dell’informativa antimafia sia tenendo conto, ormai del mutato contesto fattuale, che ha visto concludersi i lavori oggetto di appalto.

18.1. Al riguardo, peraltro, si deve considerare che il Consorzio non ha impugnato a sua volta la sentenza n. 2220 del 2016 nella parte in cui ha escluso il ristoro in forma specifica, mediante ripristino dell’affidamento, proprio per la necessità di attivare il procedimento di cui all’art. 95, comma 1, del d. lgs. n. 159 del 2011.

19. In conclusione l’appello di G. s.p.a. contro la sentenza n. 2220 del 2016 quindi, deve essere respinto, quanto ai primi tre motivi, e dichiarato improcedibile, quanto agli ultimi due motivi, con conseguente conferma, seppure per le ragioni esposte, dell’annullamento del recesso e degli atti consequenziali, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione, la quale valuterà ora per allora, nel proprio discrezionale apprezzamento, se sussistessero i presupposti per la conclusione dei lavori con il Consorzio.

20. Deve essere invece accolto, come detto, l’appello incidentale proposto dal Ministero dell’Interno nei confronti della sentenza n. 2732 del 26 maggio 2016, laddove questa ha erroneamente annullato l’informativa antimafia, con conseguente integrale riforma della sentenza impugnata, e invece deve essere dichiarato improcedibile l’appello principale proposto avverso detta sentenza da G. s.p.a.

21. Devono essere interamente compensate tra le parti, all’esito del presente contenzioso, le spese processuali del grado di appello del giudizio avente R.G. n. 4910 del 2016, relativo alla sentenza n. 2220 del 4 maggio 2016, attesa la complessità del quadro fattuale sin qui esaminato.

21.1. Per le medesime ragioni devono essere compensate anche le spese del doppio grado del giudizio avente R.G. n. 4911 del 2016, relativo alla sentenza n. 2732 del 26 maggio 2016.

21.2. Rimane definitivamente a carico di G. s.p.a. il contributo unificato corrisposto per la proposizione degli appelli avverso le sentenze qui impugnate.

21.3. -OMISSIS-attesa la sua sostanziale soccombenza quanto all’impugnazione dell’informativa antimafia, deve essere condannata a versare il contributo unificato richiesto per la proposizione dell’appello incidentale da parte del Ministero dell’Interno, mentre rimane a suo carico il contributo unificato versato per la proposizione del ricorso e dei motivi aggiunti in primo grado nel giudizio R.G. n. 5601/2015 avanti al T.A.R. per la Campania, sede di Napoli.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sulle impugnazioni, come rispettivamente proposte da G. s.p.a. avverso la sentenza n. 2220 del 4 maggio 2016 del T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, nonché da G. s.p.a., con appello principale, e dal Ministero dell’Interno, con appello incidentale, avverso la sentenza n. 2732 del 26 maggio 2016 dello stesso T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, previa loro riunione, in parte respinge e in parte dichiara improcedibile l’appello proposto da G. s.p.a. avverso la sentenza n. 2220 del 4 maggio 2016; accoglie l’appello incidentale proposto dal Ministero dell’Interno, mentre dichiara improcedibile quello proposto da G. s.p.a. avverso la sentenza n. 2732 del 26 maggio 2016 e, per l’effetto, conferma ai sensi di cui motivazione la sentenza n. 2220 del 4 maggio 2016 del T.A.R. per la Campania e riforma, invece, la sentenza n. 2732 del 26 maggio 2016, con definitivo annullamento del solo recesso esercitato da G. s.p.a. e dei consequenziali atti impugnati con motivi aggiunti.

Compensa interamente tra le parti le spese del solo grado d’appello del giudizio avente R.G. n. 4910/2016 e quelle del doppio grado del giudizio avente R.G. n. 4911/2016.

Pone definitivamente a carico di G. s.p.a. il contributo unificato corrisposto per la proposizione degli appelli.

Condanna-OMISSIS- a versare il contributo unificato richiesto per la proposizione dell’appello incidentale da parte del Ministero dell’Interno.

Pone definitivamente a carico di-OMISSIS- il contributo unificato corrisposto per la proposizione del ricorso in primo grado e dei motivi aggiunti nel giudizio avente R.G. n. 5601/2015 avanti al T.A.R. per la Campania, sede di Napoli.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, del d. lgs. n. 196 del 2003, a tutela dei diritti o della dignità delle parti interessate, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare -OMISSIS–OMISSIS-di -OMISSIS–OMISSIS-& C. s.a.s., -OMISSIS- -OMISSIS-,-OMISSIS–OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-,-OMISSIS–OMISSIS-,-OMISSIS–OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-e di-OMISSIS–OMISSIS-.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 12 gennaio 2017, con l’intervento dei magistrati:

Marco Lipari, Presidente

Francesco Bellomo, Consigliere

Raffaele Greco, Consigliere

Giulio Veltri, Consigliere

Massimiliano Noccelli, Consigliere, Estensore

 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Massimiliano Noccelli Marco Lipari

IL SEGRETARIO

 

 

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