Il “cumulo alla rinfusa” e l’Araba Fenice

Con due recentissime sentenze, una del Consiglio di Stato e una del Tar per il Lazio, si è sostenuto che il “cumulo alla rinfusa” sia ancora presente e goda di ottima salute

Matteo Valente 5 Maggio 2021
Modifica zoom
100%
Qualche settimana fa avevamo commentato una pronuncia del Giudice Amministrativo che aveva decretato la “scomparsa” del Cumulo alla rinfusa dal panorama giuridico nazionale. In quel caso era stato affermato che il nuovo testo dell’art. 47 comma 2 bis del Codice dei contratti non permetteva più ai consorzi stabili di poter “usufruire” dei requisiti di partecipazione di una consorziata se questa non fosse stata indicata tra quelle esecutrici della specifica commessa.

Con due recentissime sentenze, una del Consiglio di Stato e una del Tar per il Lazio, si è al contrario sostenuto che il “cumulo alla rinfusa” sia ancora presente e goda di ottima salute.

Insomma, della serie “a volte ritornano”!

La Quinta sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 2588 del 29 marzo 2021 ha analizzato puntualmente il testo del nuovo comma 2 bis dell’art. 47 introdotto dal DL n. 32 del 2019 secondo cui “la sussistenza in capo ai consorzi stabili dei requisiti richiesti nel bando di gara per l’affidamento di servizi e forniture è valutata, a seguito della verifica della effettiva esistenza dei predetti requisiti in capo ai singoli consorziati”. Il Giudice di appello ha ritenuto che detta disposizione non modifichi affatto la modalità partecipativa dei consorzi stabili alle gare, consentendo loro di potersi servire dei requisiti di tutte le proprie consorziate, senza la necessità che poi queste ultime siano indicate quali esecutrici della singola procedura.

A detta dei Giudici di Palazzo Spada ai sensi della disposizione in commento non può desumersi che il singolo consorziato, indicato in gara come esecutore dell’appalto, debba essere a sua volta in possesso dei requisiti di partecipazione. E ciò proprio sulla base del fatto che diversamente opinando si altererebbe la natura stessa del Consorzio stabile, che si concretizza in un’impresa operativa che fa leva sulla causa mutualistica e, come tale, può avvalersi di qualsiasi contributo, in termini di requisito, dei consorziati, senza dover ricorrere allo strumento dell’avvalimento oppure a dovere indicare questi ultimi quali esecutori della commessa.

Dello stesso avviso è poi un’ulteriore pronuncia del Tar per il Lazio (Sez. I, 19 aprile 2021, n. 4540) che riprendendo le argomentazioni del Consiglio di Stato aggiunge anche un’interessante digressione sulla ratio dell’intervento normativo del 2019 che ha introdotto il comma 2bis all’art. 47.

Invero, l’analisi della Relazione illustrativa della legge di conversione del D.L. n. 32/2019, fornisce la conferma che la volontà del legislatore era quella di mantenere e, anzi, potenziare l’operatività del meccanismo del cumulo alla rinfusa. Detta Relazione, nell’illustrare la modifica apportata all’art. 47 comma 2 del Codice osserva che essa “è tesa a chiarire la disciplina dei consorzi stabili onde consentire l’operatività e sopravvivenza di tale strumento pro-concorrenziale” mentre, con riferimento al comma 2 bis, l’intento è stato quello di “colmare un vuoto normativo” relativo a servizi e forniture.

Dunque, l’intervento del legislatore nel 2019 va correttamente inteso nel senso di avere chiarito che il consorzio stabile si può giovare, senza necessità di ricorrere all’avvalimento, dei requisiti di idoneità tecnica e finanziaria delle consorziate stesse. Senza obbligo che queste ultime siano tra quelle indicate quali esecutrici.

In conclusione, il “cumulo alla rinfusa”, come l’Araba Fenice, sembra risorto dalle sue stesse ceneri e di sicuro ci accompagnerà anche per il prossimo futuro.

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento