Dall’arrivo del Coronavirus tutto il settore italiano delle costruzioni è stato travolto da uno tsunami di implicazioni che hanno prodotto un grave deficit di produttività e messo in ginocchio tutto il comparto.
Gli interventi legislativi hanno cercato di contenere il blocco dei cantieri e, come per tutte le altre attività produttive, si è lasciata libertà agli imprenditori di poter scegliere se operare o meno, chiaramente per evitare il disastroso tracollo di un comparto che vale il 15% del PIL del Paese.
Data quindi la libera scelta di lavorare o no in un determinato cantiere, in questi giorni l’imprenditore si sarà di certo trovato a dover valutare la sussistenza delle seguenti condizioni:
- comprendere se si è in possesso dei mezzi per poter lavorare: disponibilità di manodopera, tecnici per la direzione, possibilità ad approvvigionarsi di materiali;
- valutare il grado di sicurezza di lavoro dei propri operai attraverso: messa a disposizione DPI, pianificazione distanze di lavoro, disinfezioni ambienti, lavoro compartimentato, trasporto non collettivo, altro;
- considerare l’urgenza di portare avanti un determinato cantiere sia in base alla natura della commessa (opere pubbliche legate all’emergenza e/o opere strategiche, altro) sia in base alla messa sicurezza e rovina delle opere (un tetto scoperto, un ripiegamento cantiere in fase ultimazione, una messa in sicurezza per instabilità edificio, chiusura scavi, altro);
- soppesare la vantaggiosità economica di portare avanti un cantiere in cui la produttività delle maestranze sarebbe certamente ridotta e ci sarebbero poi maggiori oneri per la sicurezza con la conseguenza che potrebbe quindi venir meno ogni convenienza economica di operare.
Se per le ultime due condizioni l’appaltatore può traguardare rischi e benefici per comprendere la vantaggiosità di stare o meno fermo, cosa diversa avviene per i due primi punti che sono condizioni necessarie.
L’appaltatore non può operare senza i mezzi minimi e la sicurezza che la norma impone e siccome l’attuale livello di conoscenza che abbiamo riguardo il virus e l’epidemia è insoddisfacente ad avere certezze di esclusione di contagi nei cantieri, così come in ogni altro posto, ecco che l’appaltatore delle costruzioni si è dovuto fermare.
Del resto poi se la produzione di DPI è assorbita totalmente dalla Sanità Pubblica come può l’appaltatore sperare anche solo di metter in mano al proprio operaio una mascherina anticontaminazione?
Nel caso di un eventuale contagio del lavoratore, siamo certi che, effettuate le denunce all’INAIL, arriveranno i dovuti controlli e con molta probabilità l’imprenditore si troverà da lì a breve sul tavolo degli imputati per non aver adottato idonee misure di sicurezza per tutelare le sue maestranze.
Portare avanti un cantiere oggi e in queste condizioni, per l’appaltatore significa essenzialmente caricarsi di rischi ingenti e non propri e, dal momento che egli non è uno scommettitore che gioca sulla salute dei propri dipendenti, i cantieri si sono fermati nel 95% dei casi.
In questo scenario disastroso nel quale non si vedono soluzioni per far ripartire la macchina della produzione, almeno fino a quando perdurerà l’emergenza sanitaria, dobbiamo ridurre i danni e contenere l’emorragia finanziaria che deriverà dal fermo cantieri, oltre che preparare le basi per una ripartenza immediata.
Oggi, 17/03/2020, è stato pubblicato in Gazzetta il Decreto Legge n. 18, battezzato Cura Italia, “recante misure di potenziamento del servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”.
All’art. 91 “Disposizioni in materia ritardi o inadempimenti contrattuali derivanti dall’attuazione delle misure di contenimento e di anticipazione del prezzo in materia di contratti pubblici” sono state inserite due previsioni che tentano di risolvere alcune problematiche del settore costruzioni in maniera differente:
1) La prima parte del comma 1 dell’art. 91 prevede che, per l’esecuzione di tutti i contratti in genere, eventuali impedimenti derivanti il rispetto delle misure di contenimento dell’epidemia sono valutati ai fini dell’esclusione della responsabilità per inadempimento del debitore della prestazione (l’appaltatore nel nostro caso) ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1218 c.c. nonché del risarcimento del relativo danno cagionato di cui all’art. 1223 del c.c..
2) La seconda parte dell’art. 91 invece precisa che le consuete anticipazioni del 20%, previste per i contratti pubblici, siano estese alle commesse consegnate in via d’urgenza.
Le due disposizioni non sembrano poter incidere in modo significativo e non producono effetti rilevanti, in particolare perché non hanno portata innovativa e si limitano a precisare norme e disposizioni esistenti; se poi può essere comprensibile la puntualizzazione in merito agli anticipi, appare del tutto ovvia l’esclusione di responsabilità civilistica, un’inezia rispetto alle necessità impellenti.
Quindi data l’apparente mancanza di visione attuale e in attesa delle prossime disposizioni, vorremo fare alcune riflessioni su misure alternative, facilmente attuabili, che potrebbero dare un immediato positivo impatto sul settore.
1 – Sia per i lavori pubblici sia privati, stante l’uniforme incertezza che sussiste sul tema, deve essere definito a cura delle autorità competenti un protocollo unico nazionale di misure minime di sicurezza anti covid-19 che l’appaltatore deve attuare per operare con le proprie maestranze nei cantieri. Adottando tale protocollo egli deve restare indenne da ogni responsabilità civile e penale derivante un eventuale contagio dei lavoratori. Questo per dare certezza all’appaltatore il cui operato non può essere gravato da rischi impropri data la straordinaria situazione sanitaria in atto e la dimostrata esistenza di misure anticontagio.
2 – Per gli appalti pubblici, in caso di sospensione dei lavori derivanti l’emergenza, vista l’eccezionalità dell’evento impedente e l’impossibilità di comprendere il perdurare dell’inattività, si deve prevedere l’obbligo di immediata predisposizione dello stato di avanzamento dei lavori svolti e garantire il contestuale pagamento all’impresa che si vedrebbe, altrimenti, ingiustamente immobilizzare liquidità a data da destinarsi. La norma dovrebbe operare in eterointegrazione, prevedendo la modifica dei contratti in essere con obbligo di pagamento del salizzato al momento della sospensione dei lavori da emergenza coronavirus, modificando così automaticamente la disciplina contrattuale dei pagamenti. Tale misura, in attesa di aiuti di Stato per il settore, potrebbe già dare sollievo alle casse degli imprenditori ormai prossimi al default.
3 – Per gli appalti pubblici non sembrano esserci particolari problematiche relativamente alle sospensioni dei lavori da emergenza coronavirus, in quanto la stessa rientrerebbe nelle fattispecie di sospensioni legittime previste dalla normativa e non esporrebbe perciò il pubblico a richieste risarcitorie da parte dell’appaltatore. Potrebbe definirsi invece una disciplina per ridurre il potenziale contenzioso che si verrà a creare in termini di maggiori oneri di esecuzione sostenuti dall’appaltatore in caso di proseguimento delle attività di cantiere. Ci saranno inevitabili e giuste pretese da parte dello stesso che si troverebbe a operare in condizioni non previste ab origine: adottando particolari misure di sicurezza nel momento dell’emergenza avrebbe quindi maggiori oneri di sicurezza, sperpero di manodopera, protrarsi illegittimo dei lavori, immobilizzo mezzi d’opera (si noti bene che il fenomeno opera in egual modo in ambito di privato dove l’eccessiva onerosità intervenuta innesca un fenomeno analogo). Si dovrebbe definire una modalità semplificata di ristoro che eviti interminabili procedure di contenzioso che rallenterebbero la ripresa e finirebbero per sovraccaricare i tribunali ordinari. La presente è una misura da valutare attentamente considerato che il legislatore si è solo preoccupato di salvare l’appaltatore dagli inadempimenti contrattuali derivanti l’emergenza.
4 – Per gli appalti pubblici si ritiene inoltre che questo momento di blocco della fase di esecuzione dei cantieri possa essere impiegato dalle stazioni appaltanti per avviare nuovi investimenti, creando così un’occasione di immediata ripartenza per il settore al momento della cessazione dell’emergenza; aiuterebbe molto in quest’ottica l’impiego dei mezzi telematici di acquisto e di piattaforme di procurement che virtuosamente ormai sono impiegate da tutte le stazioni appaltanti e che garantirebbero la riduzione di ogni contatto tra gli addetti. E’ necessario che in questo caso vengano evitati i sopralluoghi obbligatori, favorendo piuttosto ordinariamente una visita di cantiere facoltativa da parte delle imprese senza incontro tra addetti. Devono essere rimossi poi quei limiti temporali stabiliti dalle norme che, vista l’incertezza sulla data di avvio dei cantieri derivante il perdurare dell’emergenza, costituiscono un ostacolo allo stesso avvio degli investimenti: ad esempio deve essere valutata la disapplicazione del limite di quarantacinque giorni, a decorre dalla data di stipula del contratto, per la consegna dei lavori. In questo modo le stazioni appaltanti potranno procedere a pianificare, progettare, affidare e stipulare i contratti delle commesse senza doversi trovare, al perdurare dell’emergenza, nella situazione in cui l’operatore economico possa accampare pretese risarcitorie o chiedere una risoluzione del contratto per la mancata consegna delle opere nei limiti anzidetti.
Per quanto descritto urge una riflessione profonda e lungimirante, necessaria per delineare le basi di una pronta ripresa delle attività al termine di un’emergenza che, per quanto lunga ed estenuante possa essere, dovrà prima o poi giungere al termine.
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