Concessioni balneari e gare: no della Regione Calabria

A cura di Vincenzo Laudani

Vincenzo Laudani 4 Giugno 2024
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Con deliberazione 28.5.2024 n. 258 la Regione Calabria afferma che i propri enti locali non siano tenuti, di norma, ad applicare la direttiva Bolkestein alle concessioni demaniali marittime.
Ciò in quanto, secondo la ricognizione effettuata, la risorsa non potrebbe dirsi “scarna” con riferimento al territorio costiero calabrese.
Resta fermo che le determinazioni finali restano di competenza degli enti locali, che potranno quindi valutare autonomamente se ritengano sussistere, per le caratteristiche del loro territorio o per la presenza di un interesse trasfrontaliero certo, le condizioni per procedere all’assegnazione con gara.

Indice

I. La direttiva Bolkestein e la nozione di “scarsità” della risorsa. Brevi cenni.

Come è noto, la direttiva cd. Bolkestein (direttiva 2006/123/CE) prevede l’obbligo per gli Stati membri di procedere delle autorizzazioni per lo svolgimento di attività mediante procedure comparative (procedure di selezione) laddove le risorse naturali, o le capacità tecniche, siano scarse.
Tale obbligo è previsto dall’art. 12 della direttiva.

Art. 12 direttiva 2006/123/CE
Selezione tra diversi candidati
1. Qualora il numero di autorizzazione per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento.
2. Nei casi di cui al paragrafo 1 l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o persone che con tale prestatore abbiano particolari legami.
3. Fatti salvi il paragrafo 1 e gli articoli 9 e 10, gli Stati membri possono tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario.

Tale articolo va letto anche alla luce del considerando (62), che specifica che in tali casi l’autorizzazione deve avvenire una durata limitata al periodo di tempo necessario per il recupero dei capitali investiti e l’ottenimento di una remunerazione adeguata.

Considerando (62) direttiva 2006/123/CE
Nel caso in cui il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche, è opportuno prevedere una procedura di selezione tra diversi candidati potenziali, al fine di sviluppare, tramite la libera concorrenza, la qualità e le condizioni di offerta di servizi a disposizione degli utenti. Tale procedura dovrebbe offrire garanzie di trasparenza e di imparzialità e l’autorizzazione così rilasciata non dovrebbe avere una durata eccessiva, non dovrebbe poter essere rinnovata automaticamente o conferire vantaggi al prestatore uscente. In particolare, la durata dell’autorizzazione concessa dovrebbe essere fissata in modo da non restringere o limitare la libera concorrenza al di là di quanto è necessario per garantire l’ammortamento degli investimenti e la remunerazione equa dei capitali investiti. La presente disposizione non dovrebbe ostare a che gli Stati membri limitino il numero di autorizzazione per ragioni diverse dalla scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche. Le autorizzazioni in questione dovrebbero comunque ottemperare alle altre disposizioni della presente direttiva relative ai regimi di autorizzazione.

La direttiva, come si vede, non individua i criteri per definire se una risorsa possa considerarsi scarsa o meno. In merito, la Corte di Giustizia ha affermato che:

– Gli Stati membri godono di un margine di discrezionalità nel definire i criteri da utilizzare per l’individuazione delle risorse “scarse”[1], purché questi siano obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionali[2];

– Nell’elaborare tali criteri lo Stato membro può utilizzare sia un criterio generale e astratto valido per tutto il territorio nazionale sia un criterio specifico che tenga conto delle condizioni afferenti ai territori dell’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione (di solito i Comuni nel nostro ordinamento) o, ancora utilizzare dei criteri misti[3].

Il legislatore nazionale, come è noto, ha cercato di dare vita a tale approccio combinato istituendo un apposito tavolo consultivo tecnico per la definizione dei criteri nazionali e la mappatura del territorio. Ad oggi però il Tavolo consultivo non è giunto ad esiti definitivi[4], ed anzi quelli parziali sono stati oggetto di contestazione in un parere della Commissione Europea[5]. Inoltre, per il Consiglio di Stato i lavori del tavolo tecnico sarebbero caratterizzati da un errore di fondo: la norma istitutiva, infatti, richiederebbe di individuare le risorse scarse sulla base anche dell’eventuale esistenza di una rilevanza economica transfrontaliera, mentre la direttiva Bolkestein non richiederebbe un simile requisito dando rilevanza anche alle situazioni nazionali, con conseguente obbligo di disapplicazione della previsione[6].

Nelle more della definizione del criterio il Supremo Consesso ha affermato una sorta di presunzione di scarsità delle risorse del demanio marittimo[7], dovendo quindi chi sostiene l’insussistenza di un obbligo di applicazione della direttiva Bolkestein provare il carattere non scarso dell’oggetto dell’autorizzazione.

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II. La nozione di “scarsità” e la sua applicazione nel territorio della Regione Calabria.

Secondo la deliberazione di giunta in questione, nel territorio calabrese non vi sarebbe una situazione di “scarsità” delle risorse del demanio marittimo, con conseguente inapplicabilità della direttiva Bolkestein da parte degli enti locali[8], salvo che questi non rilevino l’esistenza di un interesse transfontaliero certo o di altri criteri oggettivi[9].

Tale affermazione viene fondata sul rilievo per il quale la normativa regionale calabrese prevede un obbligo di assegnazione di riservare almeno il 30% delle coste all’uso pubblico[10]. Se ne desume, a detta della Giunta, l’inesistenza di una situazione di scarsità delle risorse, anche sulla base delle risultanze del Tavolo Tecnico (che vengono richiamate a sostegno della decisione pur dandosi atto dell’esistenza della contestazione da parte della Commissione Europea[11]).

III. Indirizzi operativi.

Sulla base di quanto precede la Giunta conclude che, di regola, non vi sia alcun obbligo di applicazione della direttiva Bolkestein da parte dei propri enti locali.

Questi ultimi, unici soggetti che devono decidere in merito, sono comunque chiamati a verificare l’eventuale esistenza di condizioni di deroga, consistenti in:

– Verifica dell’esistenza di aree riservate all’uso pubblico nel rispetto della normativa regionale e di eventuali concessioni assegnate ma non attive, effettuando una valutazione qualitativa che prenda in considerazione l’esistenza di aree sufficienti per lo svolgimento delle prestazioni di servizi nel proprio territorio;

– Esistenza di un interesse transfrontaliero certo[12].
Si tratta di indirizzi forniti agli enti e non di un vero e proprio atto vincolante, potendo quindi l’ente queste giungere a diverse valutazioni conclusive rispetto a quelle fatte proprie dalla Regione.

Note

[1] CGUE, sez. III, 20.4.2023, C-348/22, Comune di Ginosa, punto 46: <<l’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2006/123 conferisce agli Stati membri un certo margine di discrezionalità nella scelta dei criteri applicabili alla valutazione della scarsità delle risorse naturali>>.
[2] CGUE, sez. III, 20.4.2023, C-348/22, Comune di Ginosa, punto 48: <<è necessario che i criteri adottati da uno Stato membro per valutare la scarsità delle risorse naturali si basino su criteri obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati>>.
[3] CGUE, sez. II, 20.4.2023, C-348/22, Comune di Ginosa, punto 46: <<Tale margine di discrezionalità può condurli [riferito agli Stati membri] a preferire una valutazione generale e astratta, valida per tutto il territorio nazionale, ma anche, al contrario, a privilegiare un accordo caso per caso, che ponga l’accento sulla situazione esistente nel territorio costiero di un comune o dell’autorità amministrativa competente, o addirittura a combinare tali due approcci>>.
[4] Cons. Stato, sez. VII, 19.3.2024 n. 2664: <<detti criteri … non risultano essere stati adottati>>
[5] Commissione Europea, parere motivato 16.11.2023, C(2023)7231: <<risulta che i risultati dei lavori del “Tavolo Tecnico” non siano idonei a dimostrare che su tutto il territorio italiano non vi è scarsità di risorse naturali oggetto di “concessioni balneari”. In conclusione, poiché i risultati del “Tavolo tecnico” non sembrano pertinenti e considerando, al contrario, gli elementi individuati dalla CGUE e dal Consiglio di Stato, è opportuno ribadire la posizione della Commissione illustrata nella lettera di costituzione in mora, nel senso che è evidente che, quanto meno per una parte delle proprietà demaniali marittime, lacuali e fluviali disponibili per le attività ricreative e turistiche in cui sono rilasciate “concessioni balneari”, esiste un elemento di scarsità>>
[6] Cons. Stato, sez. VII, 20.5.2024 n. 4481: <<l’art. 10-quater, comma 2, del d.l. n. 198 del 2023 ha previsto che il predetto Tavolo tecnico definisca i criteri tecnici per la sussistenza della scarsità della risorsa naturale disponibile, tenuto conto anche della “rilevanza economica transfrontaliera” e, al riguardo, tale elemento non può essere rilevante ai fini della valutazione della scarsità, dato che … il capo III della Dir. 2006/123/CE … si applica anche a situazioni puramente nazionali, senza che sia necessaria una valutazione della rilevanza transfrontaliera … In questa prospettiva, dunque, deve essere disapplicato anche l’art. 10>>
[7] Si veda Cons. Stato, sez. VII, 19.3.2024 n. 2664, laddove rigetta la tesi volta a sostenere la non scarsità delle risorse in quanto <<non emerge alcuna evidenza idonea a comprovare la non esiguità della risorsa naturale nel territorio che viene in rilievo>> e ciò <<a prescindere da elementi suscettibili di deporre nel senso esattamente opposto>>.
[8] Dal testo della delibera: <<PRECISATO che nella Regione Calabria la risorsa – salve specifiche situazioni comunali – non può ritenersi scarsa, per come emerge dalla ricognizione sopra richiamata>>; <<DATO ATTO che la lettura delle pronunce pare evidenziare l’insussistenza dell’obbligo di applicazione dell’art. 12 della Dir. 2006/123/CE e/o dell’art. 49 del T.F.U.E dal momento che sussisterebbe tale obbligo soltanto in presenza di scarsità delle risorse o di interesse transfrontaliero certo, la cui valutazione compete all’amministrazione locale competente>>
[9] Dal testo della delibera: <<CONSIDERATO che ciascun comune dovrà valutare, ai fini delle proprie determinazioni: a) Per quanto attiene alla scarsità della risorsa, l’estensione delle aree demaniali di propria competenza riservate all’uso pubblico ed alla libera balneazione e l’esistenza di aree disponibili sufficienti a permettere lo svolgimento della prestazione di servizi anche ad operatori economici diversi da quelli attualmente “protetti” dalla proroga ex lege; b) Per quanto attiene all’interesse transfrontaliero certo della concessione, la sussistenza dei criteri oggettivi individuati dalla Corte di Giustizia, come sopra riportati>>
[10] Dal testo della delibera: <<CONSIDERATO che l’articolo 6, comma 1, lettera a) della legge regionale 21 dicembre 2005, n. 17, ha individuato in una percentuale non inferiore al 30 per cento delle aree ricadenti sul marittimo di ogni singolo comune rivierasco, quelle da riservare all’uso pubblico ed alla libera balneazione>>
[11] Dal testo della delibera: << CONSIDERATO, altresì, che il documento prodotto dal “Tavolo tecnico” governativo è stato contestato dalla Commissione Europea in quanto dallo stesso è emerso che la quota di aree occupate dalle concessioni demaniali equivale, attualmente, al 33 per cento delle aree disponibili, ma lo stesso: 1) non riflette una valutazione qualitativa delle aree in cui è effettivamente possibile fornire servizi di ‘concessione balneare’; 2) non tiene conto delle situazioni specifiche a livello regionale e comunale>>
[12] La delibera, pur richiamandole, ignora le conclusioni cui è giunto il Consiglio di Stato nelle sentenze 4779, 4480 e 4481 del 2024 secondo le quali le direttive europee non prevedono la presenza di un interesse transfrontaliero certo quale criterio per l’applicazione delle direttive, essendo sufficiente la rilevanza meramente nazionale.

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