L’art. 63 disciplina le cc.dd. incompatibilità d’interessi, le quali hanno la finalità di impedire che possano concorrere all’esercizio delle funzioni dei consigli comunali soggetti portatori di interessi confliggenti con quelli del Comune o i quali si trovino comunque in condizioni che ne possano compromettere l’imparzialità (cfr. Corte Costituzionale, sent. 20 febbraio 1997, n. 44 e sent. 24 giugno 2003, n. 220).
In particolare, l’ipotesi prevista dal comma 1, n. 2), del menzionato art. 63 è ravvisabile in presenza di un duplice presupposto: il primo di natura soggettiva ed il secondo di natura oggettiva. Sul piano soggettivo, è necessario che l’interessato rivesta la qualità di “titolare” (ad esempio, di impresa individuale) o di “amministratore” (ad esempio, di società di persone o di capitali) ovvero di “dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento”, quale può essere, a titolo esemplificativo, l’istitore o il procuratore di un’impresa commerciale o il direttore generale di una società per azioni.
L’ampia formulazione della norma dimostra che le menzionate qualità soggettive devono risolversi, in definitiva, in poteri di gestione e/o di decisione relativamente all’appalto.
Dal punto di vista oggettivo, è necessario che l’amministratore locale, rivestito di una di tali qualità, in tanto può considerarsi incompatibile, in quanto abbia parte in servizi nell’interesse del Comune.
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